Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Francesca Romana Pinzari (Perth, 1976)

Nasce in Australia Francesca Romana Pinzari, ma la sua vita si svolge a Roma, dove studia pittura presso l’Accademia di Belle Arti e dove partecipa alle prime mostre. L’ambito in cui prende a muoversi la sua ricerca, però, ben presto si amplia. E accoglie la scultura – fatta di materiali originali ed eterogenei, spesso di recupero – l’installazione e la performance art.

Innamorata della natura, è proprio in lei che spesso incontra ciò che poi entrerà nel suo studio per essere lavorato: rami, crini, cristalli.

Tra i suoi lavori più noti e particolari ricordiamo le straordinarie sculture realizzate intrecciando capelli o crini di cavallo, sospese nello spazio come fragili e leggere apparizioni, o i più recenti assemblage di cristalli blu e rami spinosi. La lenta e meditata gestazione di queste opere, la cui realizzazione richiede tempi di attesa e di esecuzione piuttosto lunghi, diviene essa stessa performance. L’azione dell’artista che trasforma la materia è già un atto performativo, oltre che alchemico.

Questa è la sua voce creativa per voi:

Chi è Francesca?

È una sognatrice ad occhi aperti, una creatura dei boschi, apprendista alchimista, banco in ultima fila, ruggito di rabbia, apripista, collezionista di desideri, amazzone.

Se non fossi un’artista?

La pulsione del fare arte ha superato tutto il resto e non riesco di conseguenza ad immaginarmi altrove, ma se avessi coltivato anche le altre mie passioni con la stessa forza forse ora canterei in una rock band o mi sarei dedicata all’equitazione.

Il tuo pensiero più frequente.

Come posso fare meglio?

La tua paura più frequente.

Ho paura praticamente di tutto, ma col tempo ho scoperto che la paura è mia alleata e mi dà quella adrenalina che mi fa trovare il coraggio di affrontarla, come il panico da palcoscenico che mi ha dato la forza e la voglia di sperimentare anche la performance.

Il colore del tuo sentire.

Il nero dei miei abiti, il blu dei miei cristalli, il rosso del mio sangue e il verde dei miei boschi.

In quale periodo storico avresti voluto vivere da artista?

Siamo tutti figli del nostro tempo e devo dire che come donna artista sono fortunata a vivere in quest’epoca, ma sarei curiosa di sapere come sarà il futuro.

La tua ricerca ha una radice autobiografica?

Penso che tutti i gli artisti, anche i più razionali, attingano dalle loro esperienze per la realizzazione dei loro lavori. Nella mia ricerca questo è vero più che mai. Parlo di esperienze collettive, di emozioni note al genere umano attraverso quello che sento sulla mia pelle e nel mio cuore in primis.

Cristalli, rami, spine, capelli, crini di cavallo… come arrivi all’adozione di questi materiali e dove li recuperi?

Il mio lavoro è fatto di tanta sperimentazione e ricerca, arrivo gradualmente e lentamente all’utilizzo di un determinato materiale, a volte realizzo un’opera a distanza di anni da quando l’ho pensata e progettata. I materiali che ho utilizzato finora sono frutto di riflessioni sulla natura, l’identità personale, le emozioni, i sentimenti e l’alchimia ma non escludo di utilizzarne presto di diversi.

Mi piace lavorare su un concetto e poi adottare la tecnica e il materiale che a mio avviso si sposa meglio con esso, non mi lego quindi ad un materiale specifico, anzi non vedo l’ora di trovarne di nuovi. Per quanto riguarda i materiali che hai elencato li recupero direttamente in natura, passeggiando nei boschi o nelle scuderie che frequentavo.

Ci racconti la genesi di una tua scultura?

Per una scultura in crini di cavallo o una in cristallo ci vuole tempo. Sono procedimenti molto diversi ma tutti i miei lavori hanno una costante: la ritualità. Per i cristalli lascio che siano l’alchimia e la chimica ad aiutarmi a trovare il risultato finale, realizzo la forma iniziale intrecciando pazientemente corde o rami spinosi che poi immergo in soluzioni sature preparate in solitaria in campagna, all’aperto. E aspetto. Aspetto giorni, settimane o mesi e poi ripeto tutto il procedimento da capo, fino a quando non arriva la forma che mi soddisfa. Possono passare mesi prima di trovarla.

Se un tuo lavoro fosse un racconto che hai letto, quale sarebbe?

Le Metamorfosi di Ovidio.

E se un tuo lavoro fosse una poesia… me ne scrivi i versi?

Prendo in prestito una poesia di Alessandra Baldoni:

La rosa è l’ultima cosa
prima viene il rovo
il covo di sterpi
la spina
e non c'è bellezza pacata e mansueta
ma la grazia si aggrappa alla barbarie
come esile papavero all'erba cattiva.

Di quali letture ti nutri?

Qualche testo di alchimia e rispolvero vecchi classici ogni tanto.

Sei una donna, come ti relazioni al sistema dell’arte italiano e come lo senti?

Sono sempre stata trattata da outsider, probabilmente perché lo sono.

Scegli 3 delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.

Chimera 2013 (crini di cavallo su struttura metallica)
La serie di sculture in capelli e in crini di cavallo dal titolo Chimera rappresentano grandi esseri dall’aspetto mostruoso che apparentemente fluttuano leggeri nell’aria proiettando ombre metamorfiche sulle pareti. L’aspetto ibrido tra creature antropomorfe e zoomorfe di queste strutture fluttuanti, leggere e vuote come esoscheletri che contengono anime misteriose, è in realtà una riflessione sull’identità contemporanea.

All of Me 2015 (performance)
La performance è parte integrante del mio lavoro, si può dire che perfino i miei manufatti abbiano un rituale performativo. Con All of Me ho voluto rendere il mio corpo un mezzo per i fruitori, sono diventata un veicolo per liberarsi di un loro segreto. Bendata e seduta ad un tavolo aspettavo che venissero, uno per volta, a sussurrarmi i loro segreti all’orecchio, per poi trascriverli su di un foglio che giravo immediatamente, perché non lo leggesse chi arrivava successivamente. A fine performance ho sparpagliato in ordine casuale i segreti raccolti in maniera che il pubblico potesse avvicinarsi per leggerli. Il singolo segreto in mezzo a tutti gli altri era al sicuro ma allo stesso tempo liberato.

È stato solo un incidente 2020 (solfato di rame su sedie)
Questo è uno degli ultimi lavori che ho realizzato per la mostra Casa Spina, in corso da inizio marzo presso lo spazio indipendente Casa Vuota. La cristallizzazione, rispetto alle serie sulla natura che ho realizzato negli ultimi anni, qui ha un aspetto e un significato diversi. Le sedie ribaltate, dal titolo emblematico, suggeriscono un episodio violento che viene fermato e fossilizzato nel tempo. L’assenza dei protagonisti ci fa domandare cosa possa essere successo mentre i cristalli blu acuminati rendono inutilizzabili le sedie.

L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?

Un lavoro qualsiasi di Mona Hatoum.

Un o una artista del passato con chi avresti voluto farti una chiacchierata?

Sono così tanti, su due piedi ti direi Max Ernst perché era il mio mito adolescenziale.

Un o una artista contemporaneo di cui visiteresti volentieri lo studio?

Anche qui sono numerosissimi, il primo che mi viene in mente è Arcangelo Sassolino.

Un o una artista che avresti voluto esser tu.

La migliore versione di me stessa, ci sto lavorando su.

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Mi piacerebbe qualcuno che sia intellettualmente onesto e che abbia voglia di entrare sul serio nel lavoro di un'artista.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Canto ovunque: sotto la doccia, sui palchi dei pub, ora ho anche un duo blues.

Work in progress e progetti per il futuro.

Ho due progetti che mi girano da un po’ in testa e che vorrei realizzare. Approfitterò di questo periodo di riposo forzato per buttare giù i progetti e le idee.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

Chi si ferma è perduto!