Quando ho letto che Ed Freeman avrebbe tenuto un corso di Photoshop al Los Angeles Center for Photography, non ho esitato neanche un momento e mi sono iscritta subito. Non capita spesso la fortuna di avere un artista come insegnante. Le sue immagini di nudi fluttuanti nell’acqua blu mi ricordano i corpi affrescati da Michelangelo nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, la stessa definizione, lo stesso intersecarsi e incrociarsi, spesso su un fondo di un simile blu. La serie in bianco e nero sui surfisti delle Hawaii ti fa sentire come il Viandante su un mare di nebbia del dipinto ottocentesco di Caspar David Friedrich. La serie sugli immobili del deserto, Desert Realty, fa partire la musica di Calling You, la canzone di Jevetta Steele, colonna sonora del film tedesco Baghdad Café.

Se le serie sugli immobili conducono su una dimensione onirica, le foto dei senzatetto di Los Angeles riportano a una realtà che narra non di un disagio astratto ma di individui il cui sguardo non è perso o vitreo ma esprime carattere e bellezza. Una simile sensazione di serenità si trova nelle fotografie di viaggio di Ed Freeman, caratterizzate da una luce morbida, diffusa che conferisce una calma quasi da meditazione. Agli antipodi delle foto di edifici ci sono le serie che Freeman chiama Urban e Western Realty. Strutture fatte di linee semplici che sembrano quasi disegnate, quasi modellini in un progetto architettonico surreale. Per concludere le foto delle orchidee, seducenti vagine cannibali dai toni cupi aprono la porta su un percorso fantastico che fa girare la testa.

Cos’è per te la bellezza?

La bellezza non è definibile ma si riconosce. Cerco la bellezza e la trovo anche dove è difficile scorgerla, nelle espressioni dei senzatetto, negli edifici abbandonati, sulle strade di poveri villaggi.

Nella prima parte della tua vita sei stato un musicista e hai scritto musica per artisti come Carly Simon e Cher, hai prodotto dischi fra i quali American Pie di Don Mc Lean, sei stato road manager nell’ultimo tour dei Beatles del 1966. Come è avvenuto il passaggio alla fotografia?

Io sono un animale sociale. A un certo punto mi sono reso conto che trascorrevo il mio tempo a comporre musica d’avanguardia su un computer, ero annoiatissimo e quindi ho trasformato il mio hobby, la fotografia, nel mio lavoro. Ma una volta che sei musicista lo sei per tutta la vita e suono ancora oggi ma sono totalmente concentrato sulla fotografia.

Cosa pensi della fotografia digitale e dell’elaborazione delle immagini al computer?

Prima delle fotocamere digitali, a parte la composizione, dovevi solo esporre correttamente e mettere a fuoco. Le fotocamere digitali e poi i software per l’elaborazione hanno aperto un mondo di possibilità per esprimere la propria creatività e questo mi ha fatto drasticamente cambiare opinione. Ricordo che andai a una mostra a San Francisco e vidi le prime immagini manipolate, non mi piacquero e pensai che non le avrei mai fatte. Qualche mese dopo iniziai a usare Photoshop e il mio lavoro fu rivoluzionato. Il gap tra fare una fotografia e creare un’immagine è diventato enorme. Tutti possono fare una fotografia dalla corretta esposizione e messa fuoco ma lo standard della fotografia d’arte si è innalzato. La fotografia si sta sempre più allontanando dal concetto di ritratto della realtà per divenire espressione della creatività del fotografo.

In che direzione pensi si stia sviluppando la fotografia?

La fotografia sta diventando senza limiti e gli effetti speciali sono diventati la norma. Probabilmente il futuro è il video e l’immagine in movimento. Quello che non cambia è la qualità: una bella fotografia resta sempre una bella fotografia.

Guardando il lavoro artistico di Ed Freeman, le sue astrazioni, si nota immediatamente il ruolo importante che l’arte occidentale ha svolto nella sua formazione e nelle sue opere il confine tra fotografia e pittura quasi scompare.

Sono sempre stato attratto dai limiti esterni delle cose, il punto di transizione in cui una cosa si trasforma in un’altra. Città di frontiera, tramonti, coste. Sono affascinato dalla DMZ sempre più sottile che separa fotografia e pittura, cattura e manipolazione. Amo lo spazio indefinibile tra realismo e astrazione, severità e sensualità, ripetizione e causalità. Queste immagini sono il risultato dell’esplorazione di questi confini. Sono un fotografo ma queste non sono fotografie. Non sono un pittore ma questi sono dei quadri – eccetto che non sono dipinti.

La fotografia mente o dice la verità?

Anche un semplice atto di ritaglio di una fotografia può raccontare una storia diversa rispetto alla realtà. La gente spesso pensa che la fotografia sia fotogiornalismo e rappresentazione fedele della realtà. Ma la fotografia è un mezzo artistico ed è andata oltre il ruolo originale che ha svolto. Quindi la fotografia racconta la storia che vuoi che racconti.

Il più complesso recente progetto editoriale?

Sicuramente la copertina del numero estivo di Playboy del 2019. Ho fatto oltre diecimila fotografie in due giorni. La difficoltà stava nel creare una foto sensuale con tre nudi di donna che non avrebbe però fatto scattare il requisito della “busta nera” in edicola e così la copertina è stata fatta. D’altro canto, passare due giorni in piscina circondato da bellissime donne con un catering di cibo raffinato mi sembra un ottimo modo di trascorrere la propria giornata di lavoro!

Per le immagini in acqua lavori sempre con modelli?

Lavoro con modelli che sono spesso anche danzatori e con alcuni di loro come Brian To e Marisa Papen ci lavoro diverse volte. I danzatori hanno un’armonia naturale e rendono il lavoro molto piu semplice. Si muovono e io devo solo fotografare pensando alla composizione dell’immagine senza preoccuparmi di metterli in posa.

Tu sei originariamente di Boston, vicino alla bellissima luce di Cape Cod, quella luce speciale che si vede nei dipinti di David Hockney. Come ti sembra la luce della California?

Quando sono arrivato in California ho pensato che la luce fosse pessima. Poi ho scoperto la luce meravigliosa di downtown Los Angees, del cuore della città. Nitida, conferisci agli edifici un tono particolare. Amo il deserto e quando mi sono trasferito qui volevo fare foto di paesaggi ma per il paesaggio va bene solo la luce dell’alba, per me troppo presto, o quella del tramonto, quando mi piace bere un bicchiere di vino e rilassarmi. Solo gli edifici possono essere fotografati con la luce forte del giorno fatto, così ho iniziato la mia serie sugli edifici.

La tua serie sugli edifici è a volte surreale, specialmente nel contrasto con il cielo.

In molte di quelle foto l’editing è cruciale per creare delle immagini surreali. Per questo fotografo spesso il cielo, una certa luce, certi colori, certe nuvole le utilizzerò in fase di post-produzione. Ho migliaia di queste immagini e spesso il cielo può drasticamente cambiare un edificio trasformandolo da ordinario e anonimo in straordinario.

Incontri interessanti?

Nel corso della mia vita di produttore discografico ho avuto la fortuna di lavorare con grandi maestri d’orchestra come quello del Bolshoi o dell’orchestra sinfonica di Tokyo, in studio suonavano musiche molto semplici ma sarebbero stati capaci di fare qualunque cosa.

Un aneddoto?

Mi trovavo a Roma per fare delle fotografie dei posti turistici per l’agenzia Getty Images. Il tassista, dopo la fermata alla fontana di Trevi e a tutti i grandi monumenti, mi portò a un piccolo cimitero fuori Roma. Non capivo perché mi ci avesse portato ma sono ugualmente entrato a visitarlo. A un certo punto mi sono girato e ho visto la tomba del pittore russo Karl Bryullov, non ci potevo credere, era un mio prozio!

A quale progetto stai lavorando adesso?

A causa del lockdown devo stare a casa e quindi fotografo fiori. Uso una tecnica speciale chiamata focus stacking. Faccio anche sessanta foto diverse dello stesso soggetto in cui cambio solo il punto di messa a fuoco e poi le metto insieme con Photoshop, solo grazie a questa tecnica riesco ad avere una messa a fuoco perfetta in ogni singolo punto del fiore. Prima lo facevo a mano ma adesso grazie alla Nikon D850, è la macchina che fa il lavoro in automatico mentre io faccio qualcos’altro.

Oggi, quando non viaggia, Ed Freeman vive nella Chinatown di Los Angeles. Ha in progetto di insegnare Photoshop su Zoom in modo che gli studenti possano apprendere non solo da lui ma anche l’uno dall’altro.