Al cospetto di scatti altamente evocativi è difficile trovare parole o connotazioni adatte. Tuttavia, è possibile andare ancora più a fondo nella scoperta di un’immagine, se guidati dal fotografo stesso, come nel caso di Cristina Pedratscher.

Protagonista attenta di questo botta e risposta, l’artista si mette a nudo e ci svela parte dell’universo celato dietro ad una posa.

Le tue immagini fotografiche paiono voler ricreare interi scenari. Come ti sei avvicinata all’universo della fotografia e come hai scelto una strada così personale?

Prima ancora della fotografia ho sempre avuto una grande passione: il teatro. E credo che questo abbia influenzato molto il mio modo di intendere uno scatto. In più la passione fotografica è arrivata più tardi, prima la mia ricerca era rivolta soprattutto al disegno e alla pittura, quindi anche questo ha contribuito al mio modo di vedere le cose. Mi piace infatti pensare che la macchina fotografica è uno strumento che mi permette di creare altro oltre alla realtà, mi permette di rendere visibili delle emozioni che spesso rimangono nella nostra interiorità, nel nostro inconscio.

Ho studiato tecnica fotografica all’Istituto Grafico Pubblicitario, ma poi solo nel 2009 ho deciso di utilizzarlo come mezzo d’espressione. Inizialmente con l’intenzione di fotografare dei soggetti per poi riprodurli su tela, ma poi ho iniziato ad innamorarmi della sua immediatezza e del piacere di ricreare sul momento le situazioni, un po’ come a teatro. A volte gli studi sono molto precisi e gli scatti vengono schizzati su carta prima della realizzazione, altre volte invece c’è molta improvvisazione ed è più un lasciarsi vivere da una sensazione o da un momento.

Il corpo è sempre in primo piano nei tuoi lavori. Cosa speri di evocare in chi li osserva?

Quando realizzavo gli autoscatti il mio ritrarre il corpo era utile per osservarmi e per farmi osservare. Era una ricerca legata all’espressività emotiva attraverso dei gesti e dei movimenti, il linguaggio non verbale comunica molto di più rispetto alla parola e mi è sempre piaciuto indagare questo aspetto. Quando ho deciso di non comunicare più con la mia immagine, ho cercato di fare la stessa cosa osservando gli altri. In più sono affascinata dal mondo del teatro-danza, che è strettamente legato alla comunicazione corporea. La mia ricerca è quella di provare a raccontare delle sensazioni attraverso un’immagine statica, ma che al suo interno ha energia, movimento e storia.

Il colore o il bianco e nero sono – da sempre – chiavi di lettura opposte o complementari per un fotografo. Come ti approcci verso l’una o l’altra opzione?

La maggior parte dei miei lavori sono soprattutto in bianco e nero, esprimono a mio avviso più l’emotività interiore e le luci e le ombre risaltano ulteriormente questo aspetto. In molti progetti il colore avrebbe reso troppo “rumorosa” la scena ed espresso dei sentimenti errati, mentre il bianco e nero va all’essenziale, e questo mi piace molto. Negli ultimi anni ho iniziato ad esplorare anche l’uso del colore, per esempio, per il progetto Ruinenlust, dedicato ad uno spazio abbandonato, il colore gli dava un valore aggiunto, non riuscivo a vederlo tutto in bianco e nero. Non avrebbe reso l’idea.

Oppure I cinque sensi nell’Amore, la mia intenzione era di trasmettere calore, il calore umano, il calore della pelle, il calore di un sentimento, quindi quell’ambrato era ideale. Il nuovo progetto che sto elaborando Kalòs, l’ho immaginato totalmente a colori, nella mia mente non riesco a vederlo altrimenti, non comunicherebbe con la stessa efficacia il messaggio che mi piacerebbe trasmettere. Per cui tutto dipende dal messaggio che si vuole far trapelare e quale stato d’animo deve essere raffigurato.

Come interagisci con i tuoi soggetti? Quali sono le strategie per creare la giusta alchimia con ognuno di loro?

In molti casi si crea una situazione di dialogo e di ascolto. Spesso la musica diventa un elemento fondamentale, per poter mettere la persona a proprio agio, ma anche per me, per farmi trasportare in una certa dimensione. Tendo a mettere poco le persone in posa, a meno che non si tratti di uno schema specifico, ma tendo più a “seguirla”, a cercare i suoi punti di forza, il suo vissuto interiore e qualcosa di particolare che possa legarsi ad una determinata sensazione.

Possiamo chiederti se stai lavorando a qualche progetto futuro?

Come ho già accennato prima, uno dei progetti sarà Kalòs, sarà dedicato alla Bellezza dell’Umanità, alla ricchezza della sua diversità e del confronto. Rispetto ai miei precedenti progetti, più essenziali, questo sarà più elaborato, per cui ci vorrà anche più tempo per vederlo ultimato, ma seguire il pensiero che pian piano prende una forma è davvero emozionante.

Oltre a questo lavoro ho molte altre piccole idee su dei progetti dedicati ad esperienze sensoriali, alla resa scultorea del corpo e al concetto del contatto, una ricerca che mi affascina da tempo.