D'altre cose io' non dico, che fôr m[olti],
ché soperchia docenza a mo[r]te men[a],
e però tacio, a te i pens[e]r rivolti.

(Raffaello Sanzio)

Tanto si parla dei misteri legati agli artisti che hanno fatto grande il Rinascimento.

Si è discusso innumerevoli volte della genialità non catalogabile di Leonardo, della sua concezione del mondo, della religiosità naturale o dell’approccio agnostico verso l’invisibile, così come della presunta omosessualità o degli enigmi nascosti nelle sue opere e della capacità di progettazione di un futuro che per molti versi resta tale ancora oggi. Così come sono state dedicate incalcolabili pagine e disquisizioni a proposito di Michelangelo, sulle simbologie nascoste nei suoi dipinti, sulla sua religiosità in odor di eresia, sul senso reale o presunto del suo non-finito. Troppo poco invece, rispetto agli altri due mostri sacri, lo si è fatto con Raffaello Sanzio. Come se la sua figura, solo apparentemente più mite, più accomodante, meno esagerata fosse più semplice e chiara da leggere, da decifrare e da comprendere.

Niente di più sbagliato, nulla di più lontano dalla realtà. Anzi, possiamo dire che è esattamente il contrario.

Tra i tre lumi artistici del Rinascimento, Raffaello è indubbiamente quello più colmo di segreti, di misteri filologici, soteriologici, ermeneutici diremmo oggi, più intriso di riferimenti ad una simbologia occulta e ad una sapienza antichissima.

Possiamo affermare che il giovane Sanzio fu fra i tre grandi del Rinascimento il Mago per eccellenza, colui che si prese più di ogni altro la responsabilità, attraverso la propria arte incomparabile, di traghettarci fino ai nostri giorni con il fil rouge che una parte dell’umanità tramanda da migliaia e migliaia di anni riguardante le 0rigini e l’evoluzione della coscienza.

Raffaello nelle sue opere ci ha lasciato centinaia di riferimenti, particolari e vere e proprie mappe che riguardano la storia segreta dell’umanità e dell’individualità; possiamo comprenderlo osservando i diversi piani di lettura di tesori unici come per esempio la Scuola di Atene (la mirabile opera che Raffaello stesso, ricordiamolo, intitolò Causarum Cognitio proprio a sottolinearne la centralità universale ed epistemologica della raffigurazione, atta a descrivere in termini pittorici la nostra evoluzione interiore, esotericamente ed essotericamente).

Il valore ineguagliabile di Raffaello e la produzione di centinaia e centinaia di opere appaiono ancora più impressionanti se pensiamo alla sua morte precoce a soli 37 anni, età quanto mai simbolica nella storia dell’arte come ha rilevato Flavio Caroli in Trentasette. Il mistero del genio adolescente: come lui Parmigianino, Valentin de Boulogne, Zuccari, Fetti, Watteau, Van Gogh, Modigliani e tanti altri.

Si potrebbe dire che la sua morte precoce riconducibile e raffrontabile ad altri geni della storia dell’arte sia in realtà solo il termine, l’omega del mistero.

Raffaello, il giovane Raffaello, il genio assoluto dell’armonia e del sublime, l’allievo che per molti versi superò maestri passati e contemporanei, l’artista che anticipò quelli futuri, l’uomo più amato dagli amici, dalle donne, dai potenti e dal popolo del Cinquecento, ci pone un’infinità di interrogativi, molti nascosti nei suoi dipinti.

In queste pagine intendo proporvi un itinerario inedito che parte dall’osservazione di una serie di opere del Maestro urbinate atte a cogliere le basi dell’invisibile percorso di Raffaello. Il suo fu un vero e proprio viaggio nel mondo del sapere primordiale, pervaso dalla conoscenza che tanti maestri del pensiero dell’umanità, rappresentanti della filosofia, della religione, della scienza, dell’alchimia portarono avanti per millenni; un viaggio che mai si fermò e che anzi attraversò le ombre indicibili che si nascondevano dietro al Romanticismo ed all’Illuminismo e vive ancora oggi nell’epoca attuale, contraddistinta dall’apparente disgregazione e frammentazione delle forme e dall’unilateralità ossimorica del pensiero unico.

Infatti, sotto l’odierno tecnoscurantismo, dietro la maschera del relativismo dominante, all’ombra della scienza quale nuova chiesa con i suoi nuovi riti e i suoi nuovi sacerdoti, di nascosto dai neo risorgimenti fondamentalisti e nazionalisti, continua a scorrere l’antico fiume di sapienza a cui si abbeverò anche Raffaello.

Il sogno del cavaliere

Il sogno del cavaliere è una delle opere più enigmatiche del genio urbinate. Faceva parte, con le Tre Grazie, della Collezione Borghese a Roma. Alla fine del Settecento l’opera venne acquistata per finire in territorio inglese, passando per la collezione Ottley, fino ad altre collezioni private. Nel 1847 trovò la sua dimora definitiva, la National Gallery di Londra.

La datazione dell’opera rimane piuttosto incerta. Una delle date più probabili resta quella del 1503 o massimo 1504, durante un probabile soggiorno romano di Raffaello in occasione della consacrazione papale di Giulio II.

Teniamo conto che Raffaello all’epoca era poco più che ventenne ed il periodo romano storicamente accertato e documentato inizierà solo nel 1509; in tutti questi anni antecedenti Raffaello portò avanti la sua opera tra Città di Castello, Perugia e, dopo esser diventato un giovanissimo pittore di grande fama in tutta l’Umbria, fu chiamato a Siena da Pinturicchio, con il quale era nata un’intensa amicizia. Sicuramente questo fu un incontro decisivo per la sua formazione culturale. Con Pinturicchio e a Siena Raffaello venne letteralmente impregnato di tutte quelle conoscenze Neoplatoniche che saranno in qualche modo il faro culturale della sua produzione artistica, se non dal punto di vista prettamente tematico, sicuramente dal punto di vista sostanziale.

La composizione de Il sogno del cavaliere risulta formalmente semplice, con una simmetria apparente che rispecchia la serenità del momento onirico del combattente a riposo. Il grande equilibrio fa sì che la base sia rappresentata dal corpo stesso del cavaliere, disteso orizzontalmente nella parte inferiore. Come partisse dal suo stesso corpo si alza l’albero che sorregge l’opera al centro, a sottolineare il perfetto equilibrio tra le masse. Diversi piani degradanti invitano lo sguardo a seguire l’orizzonte, tra montagne bluastre che si perdono in lontananza, rocche e rocce impervie sulla sinistra e un ponte che domina il fiume sulla destra, nel pieno rispetto della lezione leonardesca della spiritualità immanente del regno della natura che si fonde con l’armonia delle costruzioni figlie dell’ingegno umano.

Perché sottolineo l’importanza del Neoplatonismo di Raffaello? Perché quello è il vero cuore filosofico ed esistenziale che scorre nelle vene del genio e tale resterà fino all’ultima delle sue opere, la nota Trasfigurazione (databile tra il 1518 e il 1520) e passando per l’opera delle opere, la bibbia delle conoscenze neoplatoniche, il sunto visivo dell’evoluzione del pensiero e della coscienza umana che da Zarathustra arriva ai nostri giorni: Causarum Cognitio, meglio conosciuta come La scuola di Atene.

Tornando a Il sogno del Cavaliere, la simmetria viene rispettata dalla presenza di due figure femminili poste ai lati del riquadro: Virtus e Voluptas, umiltà e bellezza, anima e corpo; la prima porge al cavaliere dormiente la spada e il libro, simboli del coraggio e della sapienza. La seconda, in abiti più cortigiani, porge un fiore, icona dell’amore, amor sacro e amor profano.

Le due figure non si contrappongono ma sono in relazione: sono anche assecondate dai rispettivi particolari del panorama che fa loro rispettivamente da sfondo, uno più severo, l’altro più dolce. Tra loro non c’è contrasto, neppure un interrogativo rivolto all’uomo/eroe finalizzato a compiere una scelta tra i due mondi, tra le diverse ricchezze fisiche e spirituali. Non si tratta di un dilemma tra bene e male. È invece un doppio apporto a cui il cavaliere, se vuole proseguire nel suo eroico viaggio, non può e non deve rinunciare. Per combattere devi conoscere, per conoscere devi combattere: per conoscere e combattere devi amare. Per amare devi amare con il corpo e con lo spirito. Ecco che si compie il percorso iniziatico dell’eroe che in realtà rappresenta il viaggio che tutti noi, esseri umani pellegrini di questo mondo, dobbiamo intraprendere se vogliamo progredire ad elevare la nostra coscienza.

L’iniziazione avviene attraverso il sogno, ci spiega Raffaello il Mago. Nella notte, durante il sonno, l’itinerario della nostra coscienza superiore descritto fin dall’antichità è quello del viaggio tra le sfere celesti, tra angeli e arcangeli, tra entità di un’altra dimensione che poi, esaurito il sonno profondo e approdando nella fase intermedia del sogno, spesso diventano immagini riconoscibili, tradotte nel nostro vocabolario visivo quotidiano. Spesso al risveglio non ricordiamo quasi più nulla di questo pellegrinare notturno, eppure la maggior parte delle conoscenze e dei tesori è lì nascosta, ben conservata. Con il nuovo bagaglio di conoscenze affrontiamo il giorno successivo, spesso al risveglio troviamo le risposte alle domande che ci si era posti la sera precedente: spesso la notte risana; spesso il sonno ristabilisce equilibrio nella nostra vita.

È lo stesso equilibrio che qui ritroviamo nell’opera di Raffaello, il Mago artista che ci ricorda come, per il vero iniziato, il sogno sia già un risveglio: sia già una Rinascita.