I shall act always so as to increase the total number of choices.

(Heinz von Foerster, Disorder/Order: Discovery or Invention?)

L'ostensione ha luogo quando un dato oggetto o evento prodotto dalla natura o dall'azione umana, ed esistente come fatto in un mondo di fatti, viene selezionato da qualcuno e mostrato come espressione della classe di oggetti di cui è membro.

(Umberto Eco, Trattato di semiotica generale 3.6.3+)

In qualsiasi lingua gli uomini possono ritrovare lo spirito, il soffio, il profumo, le tracce del plurilinguismo originario. La Lingua Madre non era una lingua unica, bensì il complesso di tutte le lingue. Forse Adamo non ha avuto questo dono, gli era stato solo promesso e il peccato originale ha interrotto il suo lento apprendimento...

(Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta)

Un’opera d'arte che è un alfabeto e un alfabeto che include tutti i segni del mondo. Sembra un paradosso e una provocazione e invece è l'opera di Gaetano Grillo la quale è apprezzabile sia quale riformulazione radicale del concetto di segno che quale presentazione di un senso ambivalente e innovativo del concetto di forma sia per le opere alfabetiche che per la sua serie di schiene di Veneri concave e convesse.

Ma andiamo per ordine. Iniziamo dall'alfabeto. Dopotutto in principio fu la Parola, no? Grillo presenta una nuova lingua sia leggibile che visiva, che unisce la grafica occidentale alla potenza visiva e ideogrammatica orientale. L'innovazione non sta solo nel farsi nuovo segno di singole grafiche e realtà iconiche ma ancora prima nel riportare l'immagine alla profondità unitaria delle tre sue dimensioni basiche: corpo, visione, funzione.

Le parole del Grillico presentano una nuova e strana freschezza visuale, una vibrante comunicatività istintiva che va ben oltre alla loro riconoscibilità del contesto culturale di appartenenza. Gli ideali di Comenio e degli enciclopedisti di ogni tempo sembrano realizzarsi nella via più semplice e più profonda: ricomporre in unità universale di senso la babele iconica della società di massa, ridonando verticalità e circolarità ad una dimensione altrimenti mono-orizzontale. Questo viene dato sia dalla loro vivacità cromatica che dall'intenzionalità linguistica impressa dal loro autore. In questo modo ogni segno del Grillico appare sia oggetto che visione, sia strumento di relazionalità che valore intensivo.

Grillo riesce a conferire valore visivo e talismanico a ogni reperto a cui conferisce nuova vita. Una magia insolita, rarissima, che ci porta a riflettere sul linguaggio e, quindi, sulle radici dell'esserci. Le frasi e le parole si fanno opera d'arte, senza dispersioni decorative o retoriche in quanto ogni opera è oggetto e ogni oggetto “matrice di messaggio” che resta strutturalmente nell'opera. Non è un caso che i tasselli segnici composti in muraglia dall’artista richiamino visivamente echi assiro-babilonesi, perché è mesopotamico il cuore linguistico della nostra civiltà europea e mediterranea. L’incidere con un cuneo su argilla resta ancora oggi archetipo ancestrale e vivente del mutare il reale raccontando.

Nei lavori di Gaetano si percepisce un senso di aggraziata giocosità di mediterranea luminescenza, di spigliata e solare istintività che coniuga l'unicità dell'opera d'arte quale singolarità e l'aspetto connettivo e sociale proprio del linguaggio. Questa rara percezione penso si esperisce anche perché, come dicevamo, Gaetano riesce miracolosamente a ricomporre in unità vivente una pragmatica del segno, che riscatta la morfologia dall'uso e dall'usura e da ogni iconismo alienante (anche perché il Grillico è ai suoi albori), un'estetica del segno, che irradia un valore visivo autonomo dalla comprensione dell'alfabeto e simile al valore segnico del tatuaggio e della calligrafia orientale (georgiano compreso) e un'etica del segno, in quanto la scelta linguistica cosmotetica, generativa, tanto fondativa quanto inclusiva, aprendo quindi ad un'etica della responsabilità, della variazione, dell'equilibrio nella differenza.

Se l'atto selettivo si fa forma universale allora contiene un valore etico strutturale, anche perché la scelta resta implicita ma non visibile nel suo complesso e quindi, appare anima mundi, matrice del proprio mondo che si può scoprire solo usando il Grillico e non solo contemplandolo.

L'opera di Gaetano appare etica e formativa anche per il suo ricordarci fisicamente che ogni arte è forma ed esperienza-esperimento di linguaggio, e pure dimostra nei fatti come ogni segno presenti un valore relazionale quanto un valore performativo proprio che possiamo definire come intransitivo, intenzionale, intrinseco.

Se il segno, come ci insegna Umberto Eco, è ciò che indica, ciò che può essere interpretato e, aggiungiamo, ciò che modula il campo della semiosi, tanto che il termine “significato” nella sua origine medioevale voleva dire: imprimere il segno nella materia, il farsi segno della materia, il poter essere visto come segno, il Grillico compie l'audace e spiazzante impresa di realizzare un’arte-linguaggio del tutto semiotica ma nel contempo pure del tutto antiretorica e antideologica. Un'opera universale che esprime valori di coerenza, armonia e completezza, un ciclo-sistema vastissimo che resta per sua natura aperto in quanto chiama chi guarda a parlarlo-vederlo, ad entrarvi, a parteciparlo.

Un’arte aperta perché parlante, perché segnica che, per sua natura, si consegna alla ricezione attiva e all'interpretazione, anche inconscia e istintiva, di chi vi entra in contatto. Anche per chi come me ama contemplare i dipinti di Grillo senza chiedersi cosa dicano se “tradotti” accade comunque di essere indotti da tale relazione con l'opera ad entrare in un processo ermeneutico circolare, visivo, comunicativo e “in-formazionale”, dove l’informazione non è già preconfezionata ma va co-costruita, filtrata, ad-presa.

Lo stesso meccanismo che accade quanto ammiriamo esteticamente i geroglifici egizi, le aste del cuneiforme, i testi etruschi, il misterioso manoscritto Voynich, la bella grafia della lingua della Georgia, così ricompare quanto ammiriamo un dipinto di Grillo. È la struttura del linguaggio che modula il tempo? È dalla lingua che viene il senso dei tempi? Ci parla non perché lo comprendiamo ma perché vi riconosciamo dei segni consapevolmente impressi per chi vuole accoglierli. Esiste una componente rituale, magnetica, celebrativa e quasi sacrale in ogni linguaggio e specie in questa nuova Lingua universale che condensa e ricombina la bellezza del segno da ogni cultura umana.

La forza futurista, dinamica ed energizzante del Grillico viene da molti fattori: il suo porsi quale opera d'arte e dentro un'opera d'arte ma nel contempo superandola a livello visivo, semantico e pragmatico, il suo non essere pienamente abbracciabile, dato il numero assai vasto e assai eterogeneo delle sue lettere, la multiculturalità dei segni, spiazzante quanto rigenerante, il mistero della sua stessa presenza.

Non manca alcun ingrediente alla messa in scena della magia della parola scritta, al fascino ancestrale del racconto condiviso, offerto, donato. Comunicazione che appare espressione di un discorso etico-culturale, e di un discorso trans-culturale, ma non nel senso di un sincretismo sentimentale o di una superficiale esibizione di buonismo valoriale ma un discorso che modula le invarianti valoriali per mezzo delle identità e della loro orchestrazione corale.

Siamo di fronte, quindi, allo spettacolo rasserenante del danzare di una tensione ricostruttiva, del dipanarsi di un’intenzionalità diffusa ma lucidissima nella propria consapevolezza. Superficie smaltante e laccata ma non superficiale sia perché l'alfabeto è logica, è rete, mantra, ciclo che arabesca e intesse dentro se stesso all'infinito immanente delle sue innumeri possibilità quanto le innumeri mosse nelle 64 caselle degli scacchi o le musiche generabili dalle sole medesime sette note.

La pittura grillica sembra tornare alla radice primigenia della civiltà, ai segni rupestri, dove non si distingue tra arte e grammatica, fra visione e racconto, dove il centro è ovunque, anche nei confini e nelle intercapedini. La pittura grillica coglie e irradia il senso centrale e organico di ogni semiosi quale ambiente, processo partecipato, esigenza e fatto sociale, o, a dirla con Eco: soggetto che si manifesta quale continuo e incompiuto sistema di significazioni che si rispecchiano (Trattato di semiotica generale. Il soggetto della semiotica).

Grillo glorifica il soggetto umano quale matrice di linguaggi e di significanza, regalandoci anche il senso della compiutezza insieme al valore dell'universalità e dell'apertura a nuove possibilità dimostrando come l'arte possa inverare e superare la ricerca intellettuale e la teorizzazione. Questo perché l'arte creando muta il mondo mentre la teoria intellettuale resta sempre un passo indietro nell'inseguirla: ora la vita è un insieme arricchito da ogni nuova opera; la mappa che si consultava è già mutata! Solo la letteratura di Borges o i paradossi di Heinz Von Foerster (e non a caso entrambi riflettono sul rapporto tra mappa e reale) possono accogliere una “complessità in movimento” così profonda e ampia quanto quella che vive dentro la pittura di Gaetano.

Una pittura che possiamo definire come autoperformativa, in quanto include in se stessa chi la incontra restando se stessa quale linguaggio ma mutando in un proprio percorso di inevitabile evoluzione-traduzione. Un'opera mappa e territorio insieme in quanto indica più vie-visioni e pure modalità di loro ricombinazioni e relazioni. Non è questa l'essenza della lingua? L'essere cioè sia simbolo e traccia che materia, magari mentale, da attraversare? Non presentano i segni lo stesso mistero dei nomi? Più delle “idee del reale” che reale stesso! Pittura quale filosofia.

Se poi ci soffermiamo sulle sue magnifiche e duali schiene allora la riflessione filosofica si allarga al concetto di forma. Le schiene di Gaetano presentano due volti: la pelle aurea, lucente, eidetica, quasi neobizantina del lato convesso e il lato parlante e segnico del lato concavo. Due valve distinte, quasi autonome ma non separate. Un sinolo quasi non ricomponibile che nel suo quasi non visibile margine esprime la purezza dell'idea di forma. Il dentro lascia una via all'interpretazione, accoglie e risuona, il fuori luce e permane ipnotizzante. È questo il segreto del Mediterraneo assoluto di Gaetano Grillo? Le sue statue perché mostrano solo la schiena? Un’allusione alla Parola come essere sfuggente, quale corpo dentro il quale ci dimeniamo come nella poesia di Caproni? Il non visibile quale antro dove appare l'intimo prodigio del segno che va letto-frainteso? Il corpo sublimato dall'oro appare disincarnato nelle sue forme che allora si lasciano cogliere come totalità compiuta, quale spazio delimitato solo dalla propria percettibilità e, quindi, universale e singolare.

L'assenza di luce e di volto manifesta invece il percorrersi del concetto di discorso, l'apparire di un flusso continuo, l'emergere di un passaggio, di una traslazione, il formarsi di una sosta in un lungo viaggio. Ma la visione non si dà insieme. Non è possibile vedere la schiena e le parole con un unico atto. Sembrano implicarsi ed escludersi a vicenda. Quali sono le due dimensioni del linguaggio a cui esse alludono? La schiena rimanda al segno quale immagine, quale forma? L'interno allude al valore del segno quale componente, quale riferimento? La schiena non rinvia ad altro che alla propria luce e la propria luce al proprio confine cioè al limite della luce. Le parole invece rinviano ad altre parole, al rapporto fra frammento e discorso, fra corpo e sue parti. Necessitano quindi di oscurità, di curvatura, di rarefazione.

Anche nelle sue statue “aperte”, dimidiate, segno e forma elevano la loro musica, colorano il loro silenzio, e la mappa muta al mutare del territorio percorso come il territorio muta al disegno della mappa, alla forma che è la mappa. L'Opera-Lingua agisce sia come mappa che come territorio. Un unicum biunivoco, percorribile da punti di partenza oppositivi. Se è vero infatti che “la mappa non è il territorio” (e viceversa) o che anche non abbiamo che la mappa, la mappa è il territorio (Heinz Von Foerster, Come ci si inventa; Monika Brocker, Parte-del-mondo, la posizione di Heinz Von Foerster) Grillo ci aiuta a comprendere come sia errata ogni fuga nonimalistica, ogni resa di rassegnata diffidenza verso la fecondità del linguaggio quale discredito verso il mondo. Grillo ci aiuta a sentire il linguaggio-opera quale territorio sia del segno che dell'incontro, ci aiuta a credere ancora alla socialità e alla corporeità irrinunciabile della Lingua quale terreno di incontro e di costruzione.

Se non garantisce riconoscimenti verso un reale che sembra sfuggire il linguaggio comunque si presenta infatti corpo vivo e reagente verso chi lo usa e verso chi lo accoglie, e perciò si pone come fatto irrinunciabile nel rapporto dell'umano con se stesso, nella dimensione dell'autoapprendimento relazionale di ciascuno del proprio linguaggio. Da un certo punto di vista accade per il discorso grillico come quello che accade al Discorso alchemico: il discorso alchemico è un discorso al quadrato, è il discorso dell'alchimia sui discorsi alchimistici (Eco, I limiti all'interpretazione). Così in questa arte l'opera si rivela “discorso sull'opera”, l'arte s’apre sia come produzione che come “discorso sulla produzione”, in quanto viene esibito il momento intimo in cui l'arte si fa discorso e il discorso opera. In questo senso l'opera-lingua riesce a realizzare il paradosso dell'esistenza di quella mappa 1:1 descritta da Borges e ripresa da Eco (Secondo Diario Minimo).

È la quarta dimensione dell'arte, dove ancora la percezione della forma non sembra stabilizzata ma in formazione partecipata. L’opera grillica incrocia il senso del flusso, della continuità organica con la celebrazione dell’incontro e della singolarità differenziale e riesce a “vincere”, a superare finalmente il lungo autunno della deriva post-pop proprio nel cuore strutturale del pop quale campo semantico, con la sua serialità e replicabilità innate. Lo supera, aprendo scenari nuovi e più liberi, proprio perché opera in senso pre e meta-linguistico quale scelta fondativa e compositiva universale e super-includente.

E così il pop quale conformismo di stilema e postura, che blobbisticamente tutto ingloba e indifferenzia, si è trovato superato per ampiezza e larghezza proprio da questa arte che è deliberatamente un nuovo tentativo di Lingua Universale per via segnica e iconica ma libera dalla rigidità e autoreferenzialità dell’icononismo di massa. Gaetano riporta l’icona e il totem alla dimensione più umana, fisica e sociale del segno. La morfologia grafica acquista quindi finalmente un senso e un destino superiore e più sistemico, superando la doppia tara della reificazione dell’immagine e della sua riduzione a decorativismo o a congettura astratta. Si percepisce il “pathos del Logos”, non idealizzato ma già a portata di mano, in azione!

Il segno rispetto al simbolo possiede una presenzialità e una fisicità basiche connesse ad ampie possibilità di uso, di ricombinazione e di lettura. Il Grillico respira a due polmoni sublimando due polarità: il senso semantico-mistico del segno alfabetico quale grafia, che viene dalla cultura ebraica dove ogni lettera è concreta azione divina, e il senso ideogrammatico della scrittura sino-nipponica, dove la lettera è mappa e illuminazione.

Tutti possono leggere e scrivere in Grillico, tutti possono appropriarsene, oppure limitarsi a contemplarlo. Il segno riprende tutta la sua efficacia e pienezza: estetica, performativa, relazionale, pratica, eidetica. Non c’è più spazio per la retorica e l’ideologia, per il culto sterile del frammento muto, autoreferenziale. Una nuova freschezza aurorale ci conquista. I lavori grillici talvolta si fanno anche tele-teche, opere-cornici, valorizzando un ulteriore piano di valore e di lettura: quello della celebrazione, dell’esaltazione della singolarità e del suo sguardo selettivo. Ma si tratta di una selezione non conflittuale ma relazionale, connettiva, dal grande valore formativo, culturale, etico.

I lavori grillici trovano spazi mentali interstiziali fra il modello dell’epigrafe, del monumento-memento e l’intimità del ritratto. Questo è il mondo del segno: poter veicolare piani multipli, un’innata polisemia ermeneutica, senza perdere unità di valore e concretezza percettiva. Ogni lavoro diventa così trans-costruttivo, oltre che interculturale, quale agognata “Lingua delle lingue”. Umberto Eco ha scritto molto sul tema millenario dell’ideale-utopia di una Lingua universale, adamitica, edenica, storicamente da alcuni individuata durante il Romanticismo nell’ebraico o nel sanscrito o nell’Esperanto. Grillo sembra aver retto all’immensità del sogno e della sfida non tramite chiusure conflittuali o oppositive ma al contrario tramite uno spirito solare e ottimistico che riconverte dall’immagine oggettuale nella nobiltà del segno umano.

Non sfiducia nella storia quindi ma neppure sua idealizzazione o strumentalizzazione ideologica. Prima di Grillo abbiamo solo un altro caso: le opere di Magritte e i lavori di Francesco Correggia, che dipinge scritte in stampatello stagliate su cieli irreali e soffusi. In Magritte il testo all’interno del dipinto svolge un effetto da una parte ironico-ipertestuale e dall’altra visionario, o meglio: autovisionario, come fosse una scelta dell’opera stessa, non del suo autore. La pipa dipinta che dice di non essere una pipa da una parte gioca con la potenza iconica del realismo magico e visionario, dall’altra delinea la distinzione fra artificio, sovra-realtà e lettura di ricezione del dipinto stesso. Se con Magritte l’arte ancora parla a se stessa autofondandosi come racconto iconico autonomo, linguaggio nominalistico indipendente in Grillo invece assistiamo alla rigenerazione della pittura quale “con-testo” e traccia narrativa che siamo chiamati a vivere e a possedere.

L’esempio di Francesco Correggia appare ancora altro percorso che possiamo qualificare quale non più iconico ma non ancora neolinguistico. Correggia crea una pittura noetica, contemplativa, quasi non più ironica ma assertiva sulla base della formula della citazione. Mentre Correggia sembra traslare la pittura verso la presenzialità assertiva del motto, dell’epigrafe decontestualizzata, Grillo al contrario celebra le nozze fra immagine e racconto, fra visione e oggetto, fra segno e suo contesto, scelto nell’insieme del suo proprio medesimo linguaggio. Se è vero infatti che un segno non è un’entità fisica dato che l’entità fisica è al massimo l’occorrenza concreta dell’elemento pertinente dell’espressione (Eco, Trattato di semiotica generale. Teoria dei codici) è pure vero che lo squadernamento segnico di questa pittura e di questa scultura grillica fa sì che ogni segno rinvii coerentemente al proprio linguaggio quale referente operativo, generando un ciclo unitario fra immagine, segno e lingua. E l’opera d’arte, essendo non solo esibizione di un linguaggio, ma, in questo caso, espressione della sua produzione-enunciazione, si fa fatto concreto, fisico, sociale, cioè “lingua già parlata”.

Eco ci ricorda cosa sia una “funzione segnica”, cioè una situazione in cui il segno è costituito da uno o più elementi di un “piano dell’espressione” correlati convenzionalmente da uno o più elementi di un “piano del contenuto” (Trattato di semiotica generale. Teoria dei codici) allora i testi d’arte di Gaetano sono una funzione segnica e si mostrano quale funzione segnica speciale in quanto in essi espressione, enunciato e riferimento sono complementariamente uniti e percorribili in due sensi reversibili: dal linguaggio al suo elemento alfabetico e dal singolo elemento al suo contesto semantico e pratico, che è il linguaggio stesso di cui è espressione. Le parole grilliche esprimono e indicano esse stesse quali indici di una nuova Lingua quindi appaiono sia segni che segnali e indici ma dentro un codice aperto che contribuiscono a costruire ed esporre con la loro presenza.

L’opera d’arte così non esce dal campo della Lingua e, quindi, dal campo del valore e della semantica, salvandosi dal nichilismo come dall’eccesso di individualismo. Così come il Grillico redime l’oggetto d’arte dalla rigidità tautologica di un iconismo quale isomorfismo pseudosemantico. Non c’è più un senso in quanto si rinvia deluzianamente (ripreso da Baricco con i suoi “Nuovi Barbari”) ad altro nodo di rinvio ad infinitum, ma il cerchio, amplissimo, si chiude armonicamente in una logica valoriale posizionale sia statica che dinamica propria della connettività propria della Lingua che è “con-testo”, cioè intreccio vivente. Sotto questo profilo in una tale arte si “sente” fisicamente il lavoro dell’autore, il suo impegno selettivo e combinatorio, per cui i lavori appaiono segnici anche dall’altro approccio della semiotica: quella del processo di produzione segnico (Eco, Trattato di semiotica generale. Teoria della produzione segnica).

La ricchezza di questa pittura e scultura si può apprezzare anche quale sistema organico di asserti sia visivi che testuali e oggettuali. Siccome questa complessità è tipica sia del corpo che del racconto comprendiamo bene come si tratti di lavori-sistemi che implicano una dimensione antropologica di forte presenza, tanto operativa quanto mentale. Semioticamente siamo in presenza di un anomalo sinolo fra segno e alfabeto. Il segno emerge sia autonomamente che in quanto uso-rivelazione di un nuovo alfabeto e l’alfabeto viene manifestato e costruito nell’opera d’arte, quale segno realizzato e usato. Se l’arte diventa quindi segno di un codice qui il codice diventa, attraverso l’arte, segnale di se stesso e delle proprie possibilità, replicabile, modulabile. Il referente costante è la scelta autoriale e creazionale, quindi anche l’artista viene riposto antropologicamente al centro della scelta esistenziale ed estetica, oltre all’esigenza di rigenerare la Lingua.

I lavori sul corpo umano, sulle schiene, ci fanno riflettere profondamente sul concetto di “forma”, così dimenticato e così essenziale. Se la forma è coerenza di una normazione interna, se l’etica è la praxis della scelta, se la filosofia e la scienza non possono mai fare a meno del linguaggio quale distinzione e nominazione, allora questa valorialità della formalizzazione assume un prezioso ruolo di operazione intellettuale quale opera d’arte che “coglie dentro” la propria essenza di corpo facendone dimostrazione e illustrazione nel fatto della sua definizione. Cogliere l’essenza senza restare invischiati nell’accessorio, nel cliché. Come la parola e il nome entrano nel reale restando liberi quali forme di captazione, imprimitura e irradiazione delle essenze così l’opera grillica si fa lavacro e ridonazione di senso e di racconto tramite la riformalizzazione tanto dell’alfabeto quanto del corpo umano. Nel lato concavo delle schiene dorate sembra dominare il rapporto fra segno e spazio-ambiente, dentro il corpo quale campo semantico ultimo, generativo. Nel lato convesso emerge invece il rapporto fra luce e limite. Il corpo-segno si fa registrazione e modulazione di tale rapporto dialettico e connettivo. Il corpo come segno e il segno che si fa corpo trovano nuovi spazi di incontro, incrocio e ricomposizione.

Questo percorso infine ci permette di apprezzare in pieno la grande efficacia strutturale dell'arte quale fenomeno semiotico multilivello:

Un testo estetico implica un lavoro particolare vale a dire una manipolazione dell'espressione; questa manipolazione provoca (ed è provocata da) un riassestamento del contenuto; questa doppia operazione, producendo un genere di funzione segnica altamente idiosincratica e originale viene a riflettersi sui codici che servono di base all'operazione estetica, provocando un processo di mutamento di codice; l'intera operazione anche se mira alla natura dei codici produce di frequente una nuova visione del mondo.

(Umberto Eco, Il testo estetico come esempio di invenzione)

Sotto questo aspetto il lavoro di Gaetano Grillo si pone come processo rivelativo dell'arte non solo nel rapporto con il segno e la forma ma nel rapporto con se stessa. L'arte che mostra la propria radice linguistica in svolgimento, la propria intima assertività e presenzialità antropologica, è un’arte segno dell'Opera, un arte segno di quanto siano ampie le proprie capacità.