Oggi parleremo di un dipinto realizzato nella seconda metà del Trecento da un pittore chiamato Giottino di cui sappiamo ben poco.

Era uno dei giotteschi di seconda generazione, vale a dire quei pittori seguaci del grande maestro e che operarono dopo la sua morte.

Di lui ci parla Vasari nelle Vite (1550-1568) considerandolo discepolo di suo padre, il pittore Stefano e definendolo Giottino poiché “prontissimo imitatore di Giotto”.

Un altro critico, Baldinucci, nel 1681 dichiara che egli era pittore e nipote del grande maestro, essendo figlio di Caterina figlia di quest’ultimo.

È molto difficile per i critici anche stilare un elenco delle opere del pittore, una delle poche opere certe è quella di cui parleremo: la Pietà di San Remigio. La dipinse nel 1360 circa ed è conservata alla Galleria degli Uffizi di Firenze.

Si tratta di un’opera incredibile molto avanti rispetto ai suoi tempi e che era conservata nella chiesa di San Remigio a Firenze, fino alla metà del secolo scorso era stata attribuita dal Vasari a Maso di Banco; fu Roberto Longhi che si accorse dell’erronea attribuzione e decretò che l’autore era Giottino.

Analizzando l’opera, quello che colpisce, è soprattutto la forte espressività mostrata dai personaggi rappresentati e la constatazione di come il pittore abbia dato a ciascuno di loro una vera e propria identità. Essa si esprime soprattutto attraverso il diverso modo di agire di ciascuno di loro difronte allo stesso evento, la morte di Cristo.

Nell’angolo in basso a destra vediamo come Maria Magdalena pianga, da sola; la Vergine invece esprime la sua sofferenza inginocchiata, abbracciando il figlio morto, mentre Giovanni Evangelista, in piedi, unisce le mani in segno di rassegnazione. Le due figure in alto a destra non mostrano alcun segno di sofferenza, parlano tra di loro. Il personaggio di destra che tiene tre chiodi in una mano e il vasetto con l’unguento nell’altra è Giuseppe di Arimatea, difronte a lui vestito di verde abbiamo Nicodemo. Entrambi membri del sinedrio giudaico, si erano avvicinati alla nuova religione con l’arrivo di Cristo.

A sinistra abbiamo una situazione diversa; in piedi con il pastorale nella mano sinistra vediamo San Remigio, il patrono della chiesa, che tiene l’altra mano sulla testa di una nobildonna inginocchiata e con le mani incrociate sul petto in segno di umiltà.

A sinistra vediamo invece San Benedetto, vestito di bianco, anch’egli in piedi e con la mano sinistra che riposa sulla testa di una monaca inginocchiata.

La monaca e la nobildonna sono le uniche due figure che non hanno l’aureola sulla testa, quindi non sono sante ed è per questo motivo che il pittore ha deciso di rappresentarle in una dimensione più piccola un richiamo alla proporzione gerarchica tipica dello stile bizantino del Duecento. Esse molto probabilmente sono le committenti dell’opera.

Sullo sfondo vediamo come Giottino abbia fatto ricorso alla foglia d’oro per dare luce all’opera e per creare un mondo divino dove i personaggi vivono fuori dal tempo e dallo spazio.

Adesso concentratevi sui volti di San Benedetto, San Remigio, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo e vi accorgerete della forte espressività che essi manifestano, tale intensità sarà quella che caratterizzerà il Rinascimento 60 anni più tardi, ma qui siamo nel 1360 e solo un grande pittore come Giottino precursore dei suoi tempi poteva arrivare a dipingerla.