Del fenomeno dell’esplorazione urbana o “Urbex”, come comunemente viene definito in gergo, ne abbiamo sentito parlare abbondantemente e sotto molti punti di vista.

Quello che pochi sanno sono le origini di questo movimento che unisce moltissimi fotografi in tutto il mondo.

A parte qualche sporadico esempio di fotografia di abbandoni negli anni ’60 in America, un timido approccio di Luigi Ghirri in Italia e un lavoro documentale dei coniugi Becher in Germania, il successo di questa particolare forma di documentazione fotografica è dovuto principalmente al lavoro di un canadese di Toronto. Jeff Chapman, meglio conosciuto sul web con lo pseudonimo di Ninjalicious, nel 1996 creò una rivista on line dal nome Infiltration dove, per la prima volta, si parlava in maniera strutturata di tutti gli aspetti legati all’esplorazione urbana. Nel 2005, poco prima della sua morte per un carcinoma, pubblicò il libro Access alla Area, divenuto in breve tempo una sorta di testo sacro per gli amanti dell’Urbex. Da quel giorno il movimento è cresciuto in tutto il mondo in modo esponenziale costruendo negli anni un vero e proprio manifesto il cui motto è: “Prendi solo foto e lascia solo impronte”. Curiosa la paternità di questa citazione che, opportunamente traslata ai giorni nostri, sembra appartenere ad un capo nativo americano famoso per la sua dedizione alla salvaguardia del territorio. Proprio intorno a queste parole orbita il pianeta Urbex.

Il filo trainante, che guida il movimento è, senza dubbio, la voglia di riportare alla memoria luoghi senza più futuro e l’impegno per la loro salvaguardia. Azioni portate avanti attraverso documentazione fotografica, articoli, blog, sensibilizzazione sociale, organizzazione di eventi tesi a risvegliare l’attenzione dell’opinione pubblica. L’esploratore urbano si innamora irrimediabilmente dei luoghi visitati, non si accontenta di scattare qualche foto, sente il desiderio di conoscerne la storia, l’impatto sul territorio, i miti e le leggende. Per questo ne diventa protettore fedele.

L’approccio è sempre rispettoso, come recita il motto, il fotografo cerca di mantenere lo stato originale dei luoghi, senza spostare o sottrarre niente e cercando di lasciare intatta l’atmosfera trovata. Questo è uno dei motivi per cui l’esploratore urbano è sempre restio a divulgare pubblicamente le proprie scoperte, da sempre gli edifici abbandonati sono preda di ladri, organizzatori di eventi poco legali, ragazzi in cerca di emozioni forti e profanatori vari. Purtroppo gli esempi di edifici completamente deturpati sono sempre meno rari.

Il lato buono è che, grazie al lavoro di appassionati fotografi, tante associazioni e istituzioni hanno preso a cuore questi luoghi creando progetti di salvaguardia e rivalutazione, riportando all’antico splendore dimore storiche, complessi industriali e altre realtà custodi di memoria. Io stesso, nei sette anni di continuo peregrinare alla ricerca di abbandoni, mi sono impegnato nel sensibilizzare la collettività tramite mostre dedicate, incontri con le amministrazioni, collaborazioni con riviste e quant’altro.

Nell’ultimo progetto The sound of oblivion ho letteralmente ridato voce ad alcuni luoghi creando delle installazioni multimediali in cui le immagini venivano accompagnate dai suoni e dalle voci che, presumibilmente, erano presenti prima che la struttura in questione cadesse nell’oblio. Attraverso questo processo di riconsiderazione possiamo tornare a vivere attivamente la storia del nostro Paese, prendendosi cura del territorio e dei gioielli che custodisce. Noi siamo il frutto di queste storie, degli sforzi che i nostri predecessori hanno fatto, è nostro compito onorare questi lasciti in modo che le future generazioni ne possano beneficiare.