Rita Urso è lieta di inaugurare I love the gallery - 20th anniversary exhibition, una mostra che racconta l’attività della galleria dagli esordi nel 2001 fino agli anni più recenti, attraverso un’ampia selezione di opere tratte dalla sua collezione. I lavori sono allestiti appositamente per l’occasione in uno spazio collaterale, un ex laboratorio di fine ‘800 situato nel cortile, destinato a diventare la futura sede della galleria.

Il titolo è ispirato al video I love the gallerists and they love me (2001) di Adrian Paci, proiettato nella sua prima personale a Milano a cura di Edi Muka. Nell’opera, che vede protagonisti Rita e Remo Urso, si scorgono le mani dell’artista che intervengono a modificare le posizioni e i volti dei galleristi. Metafora raffinata del potere di trasformazione dell’arte sull’animo umano, il video costituisce una rappresentazione significativa dell’evoluzione di una galleria d’arte come percorso di vita ed atto d’amore verso una professione. Per questa ragione l’opera si colloca in una posizione a sé stante all’interno della mostra, ponendosi sia come punto di partenza che conclusione del percorso espositivo.

Dallo storytelling delle opere esposte emergono tre principali sezioni tematiche sulle quali si è focalizzato nel corso degli anni il programma e l’attività della galleria.

Le prime due parti si concentrano sulla modalità di ingresso e di approccio in un luogo che unisce spazio pubblico e spazio domestico: Artopia per la sua connotazione architettonica, per la sua vicinanza alla casa della gallerista e della sua famiglia, nasce all’insegna di un connubio indissolubile tra intimità e professione, tra esposizione e rivelazione intima, sovvertendo, con la produzione di progetti site specific che sconfinano nell’abitazione, lo stereotipo del white cube.

La mostra di Marzia Migliora dal titolo In punta di piedi a cura di Emanuela de Cecco, inaugura ufficialmente lo spazio della galleria nel 2001, simulando un ingresso “in punta di piedi”, “in casa d’altri, … predisponendosi all’ascolto”, come sottolinea la curatrice nel testo del catalogo. Il percorso espositivo si apre dunque con l’opera di videoarte 59 passi di Marzia Migliora, a seguire i lavori di Paola Gaggiotti, Margherita Morgantin, Enzo Umbaca e Martina della Valle. Nei progetti ideati per la galleria questi artisti italiani affrontano concettualmente i temi della casa e dell’identità: si esalta la necessità di andare oltre la nostra soglia percettiva al fine di comprendere meglio noi stessi e la realtà che ci circonda, ponendo attenzione agli affetti che compongono la nostra vita ma ragionando anche sull’alterazione di equilibri prestabiliti attraverso l’introduzione di elementi estranei.

La seconda sezione di I love the gallery è dedicata ad Adrian Paci, Maja Bajevic, Phil Collins e Jelena Tomašević. Questi artisti, provenienti dall’area balcanico-orientale o comunque sensibili alle questioni urgenti di quella regione, come nel caso dell’irlandese Phil Collins che ha vissuto per anni a Belgrado, vengono proposti dalla galleria in Italia per la prima volta, con la produzione di grandi progetti site specific. Nelle loro mostre per Artopia viene affrontato, con un approccio poetico ma al contempo sociopolitico e radicale, il concetto di sradicamento, dell’essere scissi in diverse dimensioni spazio-temporali, senza alcuna reale appartenenza: la casa è da una parte un luogo speciale in cui trovare conforto e rifugiarvisi quando se ne sente il bisogno, ma rappresenta anche lo specchio interiore di situazioni traumatiche, la perdita della propria identità ed il confronto con i nuovi modelli occidentali.

La terza parte espositiva nasce da un ampliamento del programma della galleria con l’intento di intraprendere un percorso ancora più dinamico e articolato accostandosi a nuovi linguaggi come il cinema, la perfomance, l’architettura ed il design. Sono stati scelti per l’occasione i lavori di ZAPRUDER filmmakersgroup, Elizabeth McAlpine e Jean-Baptiste Maitre, tutti artisti che riflettono, attraverso il filtro del linguaggio cinematografico, sul concetto di tempo, sulle forme che da esso si generano e sul rapporto fra temporalità ed immagine filmicofotografica, mettendo in luce gli effetti che il cinema produce sulla società contemporanea con un’estensione dei confini di visione e di narrazione. La dimensione paradossale del tempo presente nell’opera di ZAPRUDER filmmakersgroup si accosta così a quella stratigrafica dell’immagine aniconica della McAlpine per assumere le caratteristiche di uno spazio misurabile attraverso i fotogrammi di carta di Maitre.