Ho conosciuto Fede Galizia parecchi anni fa e me ne sono innamorata perdutamente: guardo le sue opere incantata dalla loro luce chiarissima, dalla dolcezza delle forme, dalla elegantissima e sobria composizione. Le sue opere non sono molte, ma ti riempiono di uno stupore incredibile per il perfetto equilibrio, per la sobrietà e per la perfezione del colore.

Le notizie relative alla nascita di Fede Galizia sono incerte: si sa che il padre, Nunzio Galizia, era originario di Trento e che si era trasferito a Milano verso il 1570 per trovare migliori opportunità di lavoro in una città importante. Dalle documentazioni pervenuteci, ma non certe, si ritiene che Fede sia nata nel 1578. Incerta anche la città di origine, si pensa sia nata a Milano, ma potrebbe anche esservi giunta in tenera età.

Fondamentale per la sua formazione è stato sicuramente il padre nella cui bottega di artigiano di lusso era cresciuta, dimostrando precocemente grande disposizione per il disegno, per l'incisione e per la pittura. Il padre ebbe qualche difficoltà iniziale a farsi conoscere, ma in seguito, con la sua attività di miniaturista e costumista, ebbe estimatori e committenti. Su richiesta del duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, gli disegnò e realizzò gli ornamenti per le nozze di Ferdinando de' Medici: diede prova del suo squisito talento decorativo a cui non era estranea la collaborazione della figlia Fede.

Dipinse stemmi nel duomo di Milano per papa Gregorio XV. Realizzò anche costumi di scena per opere teatrali. Contattato dalla corte sabauda vi si trasferì alla fine del secolo con importanti commissioni e pare che vi rimanesse con la figlia Fede fino al 1616. Abbiamo comunque testimonianza che in seguito tornò a Milano ove abitava con la famiglia e quindi con Fede nella parrocchia di S. Nazaro. Morì forse negli anni Venti, mentre Fede presumibilmente fu vittima della peste, che nel 1630 fece strage di milanesi. Proprio in quell'anno Fede aveva steso il suo testamento, lasciando eredi la nipote e il cugino, a cui faceva da madre, ma alla morte dei medesimi la sua intera e personale quadreria era destinata ai Padri Teatini di S. Antonio.

Fede si distinse presto dal padre per le competenze e per la bravura nelle incisioni che attestano quanto fosse dotata nella ritrattistica. Giovanissima, all'età di 18 anni, dipinse il ritratto di Paolo Morigia in cui rivela la sua bravura fisiognomica e tecnica.

Le realizzazioni figurative di Fede ci rivelano come abbia doti indagative e morali notevoli, che attestano la sua bravura: la sua materia è pallida, opalescente, si sofferma su osservazioni tenere con infiniti languori cromatici, immobilizzando la sua opera come dietro una lastra di vetro.

Nel 1596 firmò e datò la Giuditta, in cui si ritiene si sia rappresentata: in quest'opera è evidente la maestria appresa dal padre nella perfetta resa dei vestiti e dei gioielli trattati con cura meticolosa. Ne dipinse più copie, una è alla Galleria Borghese di Roma. Ebbe molte committenze di ritratti di personaggi importanti, per cui riscosse molto successo, attestato anche da rime dedicatele da Manfredi e Rinaldi in cui viene definita “verginella man dotta”.

A Milano, nella chiesa di Santo Stefano è conservata la sua opera Noli me tangere, in cui l'acconciatura della Maddalena appare curatissima e dove è presente anche una stupenda natura morta centrale. È la penultima opera di Fede documentata, del 1616. Il paesaggio in questo capolavoro è selvatico e come illuminato da una luce astrale di tramonto, le vesti sono accarezzate, piega per piega e il bouquet centrale è una natura morta madida di rugiada, di fiori, di erbe, che confermano l'equilibrio e la fermezza della pittrice, molto singolare anche rispetto a tutta la pittura sua contemporanea.

Fede oggi è riscoperta infatti per le sue meravigliose nature morte, che rispecchiano la sua personalità particolare.

La pittrice non appartenne ad alcuna scuola, apprese i rudimenti dal padre, nella sua bottega si perfezionò e divenne famosa, rinunciando a formarsi una famiglia propria. A quei tempi una donna non aveva possibilità di gestirsi autonomamente, e sicuramente rinunciò al matrimonio per poter continuare a coltivare la sua arte nella bottega del padre. Contribuirono alla sua educazione artistica tutti gli spunti della tradizione lombarda e la conoscenza dei testi di Leonardo e del Correggio, dei quali dipinse parecchie copie delle loro opere, il che la rese molto cara ai collezionisti del tempo, che non la conobbero certamente per le nature morte, genere ancora poco conosciuto e apprezzato ai primi del ‘600, ma da lei prediletto in quanto poteva esprimere la sua personalità artistica senza costrizioni.

Non è possibile localizzare le origini del genere “natura morta” che intorno ai primi del 600 si stava affermando come genere a sé stante, sicuramente venne incoraggiata dalle richieste delle committenze private della ricca borghesia che si andava affermando e cominciò ad emarginare il protagonista dell'arte, l'uomo. Il pittore investe gli oggetti inanimati, privi di vita, del compito di esprimere i tumulti dell'animo umano, l'espressione dei suoi sentimenti, delle emozioni e degli impulsi che travagliano il suo intimo. La Lombardia è importante per favorire questo processo a causa dell'influsso spagnolo e per i gusti raffinati del cardinal Borromeo, che commissionò al Caravaggio la Fiscella, meravigliosa opera d'arte insuperata, che fa di lui il più grande artista di questo genere.

La zona lombarda è molto importante per la nascita della natura morta. A quei tempi c'era anche una fittissima relazione tra Spagna e Lombardia, si suppone che i dipinti lombardi siano stati inviati in Spagna e replicati e che può essere avvenuto anche il processo inverso. Va anche ricordata la stupenda cesta di frutta di Ambrogio Figino, eseguita in Lombardia nel 1595, a conferma dell'assoluta centralità e precocità di questo genere nella pittura lombarda, in cui si è formata Fede Galizia e naturalmente i fiamminghi non vanno dimenticati perchè Bruegel sostò a lungo a Milano.

Vi è comunque un'evoluzione in lei: non vi sono le meraviglie luministiche del Caravaggio e lei pare non aver attinto agli artisti del suo tempo: dopo le prove iniziali la pittrice arricchisce la composizione di oggetti e vi è una maggiore indagine luministica, aumentano i frutti, compare il fiorellino semi avvizzito, che altri artisti hanno copiato da lei; infatti, ha avuto molti imitatori, vi è il disegno particolare di una foglia di fico e la materia diventa più pastosa e tormentata.

Ma vi è sempre l'esattezza non retorica della luce sulle cose: solo lei sa essere accattivante e ritrosa, vi è una precisione nei dettagli degna dei fiamminghi, derivata però dalla tradizione plastica italiana.

Fede non ha equivalenti, né in Lombardia, né in Spagna, né in Fiandra perché lei è un caposaldo nell'evoluzione della pittura di genere verso il profondo e da allora il ruolo della natura morta è stato di costante avanguardia per tutte le ricerche di ciò che ha spinto l'arte verso la rappresentazione di ciò che c'è, ma non si vede.

La storia della natura morta è storia di cose sempre uguali, che riflettono nel tempo e col tempo i sentimenti e i pensieri di coloro che li hanno concepiti: le cose che sono sempre uguali, nell'arte sono sempre diverse perchè l'idea del mondo attraverso la visione dell'artista muta e col mutare dell'arte.

E Fede Galizia, con perizia scenografica, con la sua visione fa emergere gli oggetti dal buio alla luce, devota assoluta alla rappresentazione realistica del visibile.

Il suo dipinto Alzata con prugne datato 1602 è uno dei primi autentici esempi di natura morta che coglie le caratteristiche essenziali di questo genere. È una scena sobria, in cui l'alzata centrale contiene delle prugne dal colore spento mentre una rosa sull'orlo del disfacimento è colta nel momento in cui la corolla è al massimo della sua apertura, un attimo prima che i petali comincino a cadere inesorabili.

L'immagine ferma il tempo sulla bellezza dispiegata, sul suo simbolo più comune, appena prima che sfiorisca. C'è il senso della vita che passa, della giovinezza e della bellezza che sfioriscono, ma c'è anche la bellezza che resiste eterna agli attacchi del tempo, catturata e immortalata dai colori e dalla luce sulla tela.

La sua rosa è l'ibernazione del disfacimento della natura, è il tempo che si ferma, la morte che avanza, la bellezza che se ne va: la rosa beve luce fino a stingere nel bianco. Ma la perizia di Fede si nota anche nel rosso di una pera che si trasmuta in giallo, nel rintocco dei susini paglierini sui colori susina di frutti occhieggianti come gatti neri nel buio: è la luce che entra ed esce dalle cose, da cui passano tutti i grandi artisti.

La pittura della Galizia è intima ed elegante allo stesso tempo e ne testimonia la segreta vita interiore.

Non è stata fatta ancora piena luce sulle effettive nature morte dipinte dalla pittrice. Il suo catalogo viene continuamente rivisto dagli studiosi del campo, anche per la sorprendente contiguità delle sue opere con quelle del suo contemporaneo e concittadino Panfilo Nuvolone: tuttavia le composizioni di Fede hanno caratteristiche che le identificano per l'essenzialità del taglio compositivo, la presenza di un piano di appoggio con inquadratura ravvicinata e quasi sempre frontale, lo sfondo scuro, la ricorrenza di un'alzata della medesima foggia, frutti e fiori trattati con gusto geometrico della forma e un forte senso della rarefazione atmosferica e sospensione temporale.

Panfilo Nuvolone, a differenza di Fede, è incapace di spingere la propria arte oltre una certa soglia, è “cotonoso”, la sua frutta pare fatta di batuffoli, è legato nei movimenti, molto più semplice: ci è utile però per capire la grandezza della Galizia, facendone il confronto.

La pittrice milanese crea, a giudizio dei critici, nature morte attente, ma come “contristate”: Flavio Caroli afferma che Fede è intima e desolata come i pomeriggi solitari di una donna milanese nubile.

Infatti, i suoi oggetti giacciono silenziosi sul loro piano d'appoggio, diventando presenze poetiche in grado di esprimere i sentimenti e i pensieri della pittrice che con le sue austere ed eleganti alzate colme di frutta è all'origine della rappresentazione di quello che definiamo oggetto-stato d'animo, inaugurando la linea introspettiva dell'arte occidentale.

La messa in scena della Galizia, pur variando di volta in volta, sviluppa un’architettura omogenea, caratterizzata dalla figura dell'alzata colma di frutta, che troneggia nella totalità del campo e da altre figure più o meno isolate posate direttamente sul piano d'appoggio. È il trionfo della natura che mostra la sua bellezza e contemporaneamente segni della sua deperibilità. È la poesia dell'effimero reso immortale dalla sua pittura.

Fede Galizia affolla ed agita le composizioni, utilizza ortaggi spinosi come i carciofi e gli asparagi, movimenta il ritmo compositivo con foglie che sembrano uscite da un compasso, con moti divergenti delle linee, c'è volontà di fare teatro in lei, anche nelle ultime meravigliose opere in cui resta sempre l'alzata come nelle prove giovanili, l'appoggio della luce a volte forzato. Il suo non è un messaggio drammatico: per trasmetterlo nella sua purezza non ha bisogno di drammatizzare i temi.

Infatti nelle ultime opere vi è in lei una meravigliosa impennata finale: ora c'è una piena orchestrazione che prima non c'era, ricchezza di densità tonale solo adombrata nei dipinti giovanili, equilibrio tra l'affollamento del motivo e la rarefazione dell'ordito luministico.

Sono grandi capolavori: le pere si ergono come fortezze medievali, le pesche si arrotolano con la minacciosa potenza di macchine da guerra e su tutto soffia un vento dolcissimo, segregatissimo, di una luce che ha la consistenza ed echi sentimentali di eternità: luce zenitale e metafisica, ma anche luce di spiragli estivi di antiche finestre milanesi.

Ogni volta che ho la possibilità di rivedere una delle sue nature morte non posso fare a meno di pensare a lei, a come deve essere stata la sua vita, alla sua gioia nel vedere realizzate le opere che andava immaginando nella sua mente: perchè sono il prodotto purissimo della sua grande spiritualità: quella di una donna che si è immolata all'arte!