Non si chiamava Savinio. E nemmeno Alberto. Il nome lo aveva 'rubato' a tal Albert Savine, editore, traduttore e irrilevante letterato francese che forse neanche conosceva. Si dice che lo avesse deciso in un incerto giorno del 1914 prima del suo debutto come scrittore e musicista nel circolo delle 'Soirées de Paris' per distinguersi dal già noto fratello Giorgio de Chirico e anche per evitare quella storpiatura francese in 'Sciricò' che non gli piaceva per niente. Comunque sia, i nomi per Andrea de Chirico, alias Alberto Savinio, sono qualcosa di mobile, persino convertibile a seconda del momento della vita.

Il giovane Nivasio, di cognome Dolcemare, soggetto della sua fantasiosa autobiografia, altro non è che l'anagramma del suo primo e più conosciuto pseudonimo. Ma nella sua letteratura incontriamo anche il signor Dido e il signor Munster, per non parlare di Ermafrodito e di molti eroi della mitologia, da Orfeo a Ulisse. Tutti alias, forse alla ricerca di un'unica identità, o magari interpreti delle tante verità nascoste in ognuno di noi.

D'altronde, non è un segreto che Savinio, l'imponderabile, sia da sempre un rompicapo per i critici. Lui che è stato scrittore e filosofo, ma anche musicista; pittore, ma anche illustratore; drammaturgo, ma anche scenografo e costumista. Con un'inclinazione profonda verso la poesia, ma, per non lasciare niente di intentato nella molteplicità dei talenti umani, dotato anche di un robusto istinto per il sarcasmo sconfinante a volte nel grottesco. Così nella frenesia per la 'specializzazione' che accomuna oggi tutti i 'saperi', può accadere che un artista tanto 'poliglotta' rimanga sbiadito sullo sfondo della cultura del suo tempo, fino a restare nell'immaginario collettivo solo come il fratello del famoso pictor optimus, il Giorgio de Chirico riconosciuto artefice della Metafisica, da cui tanto voleva distinguersi.

Una mostra monografica di dipinti nello storico Palazzo Altemps, in piazza Sant'Apollinare a Roma - a pochi passi da piazza Navona - rompe un lungo silenzio e concentra l'attenzione su un frammento dell'attività artistica e intellettuale di un genio delle avanguardie di inizio Novecento. 90 opere provenienti da musei e collezioni private italiane e straniere per addentrarsi in una personalità complessa che ci parla con un linguaggio visionario fatto di simboli, oppure di mostri inquietanti che lasciano aperta la porta dell'ambiguità.

Siamo negli anni Venti del secolo scorso: in Italia il fascismo ha cominciato la sua ascesa dopo i disastri della Prima guerra mondiale. Savinio aveva passato da tempo la trentina quando, nel 1927, insieme alla moglie Maria Morino, attrice della compagnia teatrale di Eleonora Duse, si trasferisce a Parigi. Non era la sua prima volta nella capitale francese. Aveva già frequentato i salotti della borghesia e quelli degli intellettuali parigini quando di anni ne aveva appena venti, collezionando una serie di insuccessi come compositore di opere musicali.

Fu solo nella sua maturità che cominciò a dipingere. Poche tele, quasi monocromatiche, che nel secondo soggiorno parigino sfociarono in figure e forme bizzarre di realtà inesistenti, frutto non di sogni, ma di unioni ponderate tra immaginazione e pensiero. Le rincontriamo oggi in un allestimento originale, curato da Ester Coen, mentre si fanno largo tra le sculture classiche del Museo Nazionale Romano ospitato a Palazzo Altemps. Uno strano connubio tra le divinità dell'arte antica e quegli stessi personaggi della mitologia convertiti spesso da Savinio negli anti-eroi della società borghese. Come Apollo, il vanitoso, trasformato in un dio dell'estetismo. “Apollo è il più fatuo degli dei olimpici, il più vanesio, il meno significante”, scrive Savinio nella Nuova Enciclopedia. “Gli Apolli abbondano tra noi”. E poi aggiunge: “Naturalmente non posso fare nomi”. In un dipinto del 1931 lo raffigura per metà capitello e per metà uomo dal torace palestrato, ma con la piccola testa di un pennuto che finisce con il becco dell'oca.

Nelle sale di Palazzo Altemps è facile confrontarlo con il marmoreo Mercurio proveniente dalla collezione Ludovisi, statua romana del I secolo dopo Cristo, copia dell'originale bronzeo di epoca ellenistica. Anche l'Apollo di Savinio ha la mano destra alzata e il mantello che scivola lungo il braccio sinistro, ma la postura maestosa del divino antenato si trasforma nell'atteggiamento narcisista di un giovinastro pieno di sé.

Quello stesso Mercurio, nella sua splendida nudità, 'dialoga' anche con un saviniano Prometeo che rivolge al mare il suo corpo senza testa. I due Dioscuri, Castore e Polluce, metaforica rappresentazione dei fratelli de Chirico, colloquiano invece con la statua di Afrodite, dea della bellezza e dell'amore, mentre una Niobe dolente dal volto di faraona che fuoriesce da una poltrona di pietra, grande tempera e olio del 1932, incrocia la diafana Afrodite che nasce dalla spuma del mare, come appare nel trittico marmoreo del Trono Ludovisi.

Connubi insoliti per un artista insolito. Atmosfere suggestive per un incontro originale tra tempi e mondi lontani. Spiega la curatrice Ester Coen: “I lavori esposti appartengono agli anni compresi tra il 1925 e il 1932 con un rapido affondo sulle ultime produzioni degli anni Cinquanta. Ho scelto tematiche che avessero un rapporto forte con il fascino del luogo. Innestando le opere di Savinio nella collezione permanente di arte antica del Museo si creano cortocircuiti che suggeriscono nuove affinità in un gioco di corrispondenza e accordi liberi e originali non solo con la statuaria classica ma anche con la decorazione a fresco degli spazi di Palazzo Altemps”.

Del resto, Savinio-de Chirico-Nivasio-Dido-Munster in Grecia c'era nato e cresciuto fino all'età di 14 anni e da questa terra aveva assorbito i favolosi miti degli dei dell'Olimpo mentre giocava tra le rovine dei templi. Dalla cultura nordeuropea erediterà poi la passione per quella ricerca metafisica che scopre l'altra realtà, quella nascosta dalle convenzioni e per questo ineffabile e deformata. Dall'unione tra le due culture nascono i suoi mostri, creature in via di trasformazione, né uomini, né animali, eppure sia uomini che animali. Ecco le madri-gallina, le donne-anatra e gli uomini-gufo. Ma ecco anche quelle montagne di giocattoli che si accavallano in un gioco di colori su sfondi oscuri e minacciosi. Forse un viaggio nella memoria dell'infanzia, unica consolazione di fronte ai tempi difficili della crisi economica e del regime. “Scomporre e scompaginare un ordine tradizionale. Un tentativo eccentrico per un artista eccentrico. Per un artista poliedrico e versatile come Alberto Savinio”, scrive Ester Coen nel catalogo edito da Electa dove 31 autori ci raccontano della sua caleidoscopica personalità. Dall'A alla Z, come in un dizionario, il volume 'indaga' i personaggi che hanno fatto parte della vita interiore e di quella reale di Savinio, da Achille innamorato a Zeus Giove. Una rassegna enciclopedica come enciclopedica è stata la sua produzione. Non solo la pittura, ma anche i suoi bozzetti teatrali sono esposti in mostra, insieme a dattiloscritti e manoscritti autografi di alcune opere letterarie, mentre le note dell'Oedipus Rex nell'esecuzione diretta da Herbert von Karajan risuonano nella Sala del Galata.

È vero che un genio non può mai essere capito del tutto, ma è certo che proprio quelle esperienze musicali e letterarie sono alla base della sua pittura, metamorfosi delle metamorfosi. “Le innumerevoli facce rientrano le une nelle altre e tutte in una faccia sola, la quale, però muta e si rinnova”, scrive Savino nel 1945 nel libro di racconti Tutta la vita. Quale di queste facce rappresenta la Verità? Nessuna. Semplicemente perchè tutte sono vere. Tante verità contro il conformismo e l'autoritarismo. Lui che mentre cresceva il nazionalismo già sognava un'Europa unita. Unita e varia, come quell'Isola dei giocattoli che, nel dipinto del 1930, galleggia variopinta su un mare tempestoso. Ancora aspettiamo che entri in porto.