I luoghi e gli spazi - pubblici e privati -, o le città al tempo della pandemia.

Situazioni e realtà del vivere quotidiano e di un presente interno/esterno che volge lo sguardo a un altro mondo.

E’ quanto indaga un gruppo di fotografi italiani nella mostra Italia in-attesa. 12 racconti fotografici , nell’ambito di un progetto fotografico che investe il nostro Paese durante l’emergenza sanitaria.

Promossa dal Ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo, l’esposizione, che si riaprirà a breve a Roma nelle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini, è curata da Margherita Guccione, Carlo Birrozzi e Flaminia Gennari Santori.

In mostra vi sono le opere di Olivo Barbieri, Antonio Biasiucci, Silvia Camporesi, Mario Cresci, Paola De Pietri, Ilaria Ferretti, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Francesco Jodice, Allegra Martin, Walter Niedermayr e George Tatge, che sono i fotografi selezionati da un Comitato scientifico presieduto da Margherita Guccione (Direttore MAXXI Architettura) e composto da Simona Antonacci (Collezioni fotografia MAXXI), Carlo Birrozzi (Direttore dell’ICCD), Pippo Ciorra (Senior Curator MAXXI Architettura), Fabio De Chirico (Dirigente DGCC), Matteo Piccioni (Storico dell’arte DGCC).

I temi di indagine sono il vuoto e la sospensione nella vita ordinaria durante la pandemia, attraverso paesaggi urbani ed extra-urbani, siti e luoghi della cultura del nostro Paese, in un racconto corale e polifonico della situazione attuale, su cui lockdown e l’emergenza sanitaria sono il segno connotativo dello sguardo di questi famosi fotografi.

Oltre cento le immagini che si snodano a Palazzo Barberini - dalla Sala delle Colonne alle Cucine Novecentesche, dalla Sala Ovale alla Sala Paesaggi - in un dialogo suggestivo tra presente e passato, storia e attualità, architettura e immagine.

Il percorso espositivo si sviluppa dal piano terra del palazzo, nella Sala delle Colonne che fu, nel Seicento, biblioteca e stanza delle antichità di Casa Barberini. In questo suggestivo spazio scenico Olivo Barbieri e Guido Guidi si confrontano con paesaggi profondamente diversi ma complementari. Infatti Olivo Barbieri muove dalla Camera degli Sposi di Andrea Mantegna, per condurre una riflessione sui meccanismi della percezione e sul sistema della rappresentazione, mentre Guidi volge lo sguardo al paesaggio minimo della quotidianità, conferendo pari valore al monumentale e all’ordinario e caricando particolari trascurabili della realtà di rinnovato senso e levità.

Attraverso un corridoio si passa alle “Cucine novecentesche”. In origine, l’ampio locale era “la stanza del leone” dove era tenuto uno degli animali esotici allevati a palazzo, poi fu destinato all’esposizione dei marmi antichi della collezione Barberini. E sono qui presentati i progetti di sei fotografi, che raccontano i luoghi del patrimonio culturale italiano e del loro spazio intimo e concettuale.

E’ così il “paesaggio affettivo” di Silvia Camporesi che ritrae i luoghi della sua infanzia, liberati dallo scorrere della vita quotidiana. Mentre in un clima metafisico e straniante muovono i centri storici umbri ritratti da George Tatge, in cui il silenzio e il senso di vuoto sembrano riflettere lo stato d’animo dell’autore. E sul tema dell’assenza è anche il lavoro di Allegra Martin: luoghi emblematici della cultura milanese, privati improvvisamente dell’azione e dello sguardo del pubblico.

E altrettanto suggestivo è il “reportage” di Francesco Jodice che investe su di un piano cognitivo e virtuale, quattro architetture simbolo della cultura italiana storica e contemporanea mediante immagini satellitari. E se di Mario Cresci è il micro-mondo costituito dalla sua casa di Bergamo, rappresentato da una città deserta, di Antonio Biasiucci sono invece le immagini visionarie di carattere simbolico: come i ceppi di alberi, ripresi in modo da richiamare forme antropomorfe, quali soggetti archetipici che rimandano alla circolarità del tempo.

Mentre nella “Sala ovale”, sono i paesaggi onirici ed eterei sono di Paola De Pietri che ritroviamo nella Sala ovale, e che raffigurano Rimini e Venezia le quali si echeggiano da due differenti latitudini dell’Adriatico, confrontandosi con l’architettura astratta progettata da Gian Lorenzo Bernini nel 1633. A far eco, nell’adiacente “Sala paesaggi”, sono le vedute dipinte della campagna romana - reali paesaggi della memoria della famiglia Barberini, luminose e affascinanti benché sbiadite dal tempo - le immagini surreali dei paesaggi montani di Walter Niedermayr, solitamente popolati e logorati dal turismo di massa ma ora quasi spettrali nell’assenza di presenza umana. E in chiusura di questo percorso è la suggestiva “Serra” restituita in questa occasione alla fruizione del pubblico, e dove si ritrovano i siti simbolo della città eterna insolitamente deserti, ripresi da Andrea Jemolo, in un confronto con alcuni centri storici danneggiati dal terremoto che ha colpito il Centro Italia nel 2016, ritratti da Ilaria Ferretti: luoghi in cui le tracce della vita sono rivolte solo al movimento delle ombre, verso un’idea di paesaggio e di identità altre in cui ritrovare nuovi racconti visivi.