Se io mi immagino
come sarebbe potuta andare,
sono contento per come è andata.

(Frank McCourt)

Roberto Spadoni medico cardiologo, nato a Bologna, residente in Germania, ad Amburgo, lascia la medicina nell’ormai lontano 1988 per dedicarsi interamente all’arte, il suo vero amore. Una decisione insolita, piuttosto coraggiosa quella di lasciare un lavoro così rinomato, al quale Spadoni ha dedicato molti anni della sua vita, una professione considerata “sicura” ed interessante per inseguire un sogno che a molti sembrerebbe più che altro una completa follia. Invece no. Lui lo ha fatto e come artista è riuscito a farsi conoscere, apprezzare e soprattutto amare in tutto il mondo. Vanta infatti più di venti mostre personali. Ma cosa fa realmente Roberto Spadoni? I mezzi principali che lo accompagnano giornalmente per la realizzazione delle sue opere d’arte sono una saldatrice ed un flessibile. Niente di più. I materiali usati? Soprattutto ferro e legno. Sì, avete capito, prende oggetti abbandonati, buttati via come spazzatura, ignorati, dimenticati da tutti e dà loro una nuova anima, una nuova vita, una nuova dignità. Li tratta come delle persone, come degli animali, come degli affetti da amare. Quello che riesce a creare va oltre l’opera d’arte in sé. Qui si tratta di “ascoltare” le voci che escono da questi materiali, i loro desideri, il loro percorso precedente e di farli risuscitare: in poche parole, di permettere loro di rinascere. Una cosa meravigliosa che a Spadoni riesce in modo magistrale.

Roberto, la tua storia è veramente unica, speciale, oserei dire emozionante. Ci racconti com’è iniziato il tuo percorso? Da medico ad artista?

Direi che artisti si nasce e medici si diventa. Io, lasciando il lavoro da medico, sono rimasto solo artista.

So che hai fatto un importante percorso di riflessione in preparazione alla tua vita da artista. Sei rimasto “dietro le quinte”: chi ti ha ispirato ed aiutato nel tuo intento?

I miei genitori sin da bambino mi hanno portato in musei o a mostre e questo mi ha sicuramente influenzato. Poi mi è stato di grande aiuto il feedback positivo ricevuto dalle persone a cui è piaciuto ciò che ho fatto e che hanno creduto in me come artista. Gli artisti che più mi hanno influenzato sono stati, all’inizio Jean Tinguely, poi Giacometti, David Smith e Julio Gonzalez.

Assembli pezzi di oggetti che un tempo avevano una vita, un valore ed ora, solo perché non funzionano più, la gente li butta via, come se “il funzionare” fosse l’unico valore di un oggetto. Tu questo proprio non lo sopporti. Giusto?

L’usura dei materiali che uso racconta la loro storia e questa per me ha un’importanza che è indipendente dalla funzionalità. In questa società ha valore solo ciò che funziona e produce. I materiali che uso per i miei oggetti, pur non essendo più in grado di funzionare, mostrano, nel loro nuovo contesto creativo, di avere una dignità, un valore datogli proprio dal loro percorso e dai segni che ha prodotto.

I materiali che salvi dalla “morte certa” ti parlano, ti dicono cosa vorrebbero diventare. So che tu li ascolti. Ma cosa ti dicono veramente? Tu ti fai ispirare dai pezzi, come per Pirandello le figure sono in cerca dell’autore?

Sì, in Pirandello i sei personaggi cercano di convincere gli attori a rappresentare la loro storia; a me sono i pezzi che trovo che chiedono di raccontare la loro storia. Raccolgo solo i pezzi che mi trasmettono subito, nel momento in cui li trovo, il messaggio di quello che vogliono diventare.

L’importanza del percorso. Illuminaci.

Il percorso, le esperienze fatte, lasciano dei segni che fanno parte dell’identità delle cose e delle persone. Il percorso è importante perché determina l'insieme di caratteristiche che rendono gli oggetti e gli individui unici e inconfondibili.

L’arte del vedere e dell’immaginazione?

L’arte del vedere in qualcosa qualcos’altro, dando la possibilità agli oggetti, inserendoli in un nuovo contesto, di raccontare la loro storia. Per me il contesto creativo deve essere il più semplice possibile in modo che si possa riconoscere il pezzo d’origine e contemporaneamente la nuova figura.

Attraverso le tue creazioni trasmetti anche il tema del “bambino interiore”. Sei tu quel bambino? Dove se n’è andato? Lo rincorri?

Il bambino interiore è in ognuno di noi. Solo prendendocene cura possiamo diventare adulti equilibrati. Questo desiderio mi ha spinto a creare oggetti sul tema. Il fanciullino pascoliano, ossia quell'io interiore che conserva la freschezza e la spontaneità del fanciullo pur senza la sua ingenuità, credo di averlo mantenuto anche nella maturità.

Molte delle tue creazioni raffigurano animali, come uccelli, cavalli, fenicotteri, cavallette e molti gufi, simbolo della saggezza.

Gli animali sono la natura incontaminata, crearli dai rottami è come riportare i rifiuti ad evocare la bellezza della natura. Il fascino della saggezza mi ha portato ai gufi. Ne ho fatti di vari materiali e anche quadri e acquerelli. Ad uno dei miei gufi, Cobiculus, è stato dedicato un libro di Siggi Weidemann su Jeronimus Bosch, pittore al quale i gufi erano molto cari.

La luce che li illumina. Fonte di energia o piuttosto una sorta di protezione celestiale?

La luce scopre le cose nascoste nell’ombra e crea ombre che hanno a loro volta un significato. Col gioco di ombre e colori la luce dà vita agli oggetti risaltandone i significati.

Roberto, hai un sogno nel cassetto? Intendo, uno speciale?

Mah, forse più che un sogno quello che mi auguro è di riuscire a far comprendere il significato delle mie opere e trasmettere il senso della bellezza che proviene dall’armonia delle composizioni ottenute senza ridondanze, con pochi elementi.