Da tempo le mie parole intessono conversazioni con l’arte di Octavia. È un’interlocuzione, la nostra, nella quale un idioma confluisce nell’altro in segreta risonanza. Ed è necessario recuperare il codice delle antiche sibille per instaurare quel canone a due voci che non è mai traduzione da linguaggio a linguaggio, ma piuttosto accordo sentimentale, simultanea traslitterazione.

Così accade per le suggestioni arcane che offre Nascita di un‘effimera, un’opera che non può essere decifrata se non abbandonando gli strumenti del pensiero razionale e accedendo a un contatto diretto con la vita dei simboli. Tutte le cose del mondo sembrano confluire in questo dipinto, ognuna con il suo modo di palesarsi e di offrire significato, ognuna in misteriosa relazione con le altre, nell’intimo rispecchiamento fra mondo di sopra e mondo di sotto. È una visione che può essere solo notturna, poiché quando regna la luce il popolo animico si nasconde.

In un’apparizione crepuscolare compaiono le creature del sogno: un piccolo popolo animico che si affaccia alla soglia della percezione, in una sacra processione sacerdotale, rivelandosi nella fantasmagoria di un eterogeneo mostrarsi. Sono le figure dell’immaginario di Octavia a sfilare, immerse in uno stato di trasognamento: presenze che sono solite palesarsi quando la soglia non è presidiata da guardiani e che rivelano l’essenza del suo fare arte. Prima di raccogliersi in questo convito variegato le hanno fatto visita nella rêverie, hanno preso vita nelle pagine dei suoi quaderni di appunti. Hanno la parvenza di figure sacerdotali ma sono teofanie dell’anima creativa.

Permangono in attesa, ognuna, di completamento, quindi di poter avere voce. Costituiscono il mio personale “caravanserraglio”. Le individuo, di volta in volta, tra le tante, per corrispondenza con ciò che mi sospinge a creare al momento, ma che può accadere che non sia definito; così cerco tra le pagine e avviene che le ri-conosca per poi orchestrargli il restante mondo intorno.

(Octavia)

Emergono da un altrove, queste chimere dell’immaginario, e incedono assorte in uno stato di contemplazione ieratica; sono forze che il mondo di superficie ha bandito, esiliato e alienato da sé. Un’entità una e trina illumina il cammino con una lanterna: ha lunghe orecchie, quasi antenne, forse in ascolto dell’armonia di note musicali che si insinuano nel silenzio del cosmo avvolgendo la muta processione, o addirittura generandone l’onda espansiva. Da corda a cuore, un’arpa espande le sue vibrazioni. L’arpa è strumento dell’eterno femminino che chiede di essere carezzato, che conosce il potere di risuonare da dentro e dal grembo cavo genera suono. Dalla tenebra, ovunque emanano scintille luminose. Ci sono poi le rane, ancelle lunari e antiche levatrici, che recano la loro offerta per fumum; ci sono altri animali, che guidano nel labirinto dei significati e rivelano il destino. Solo un piccolo fennec sembra rompere il ritmo ipnotico della celebrazione: ha lunghe orecchie, attente a captare voci sottili, ma appartiene alla dimensione di veglia, ed è l’unico che volge lo sguardo in una direzione diversa.

Ogni figura è detentrice di facoltà magiche, è figura di un sapere segreto che viene offerto solo nell’incedere misterico di un rito. Sono simili a quelle fate che portano doni al neonato, doni di visione e di facoltà di passo e danza in quel mondo che è tanto “effimero” quanto di vitale importanza e che definiamo “Anima”. Quel mondo folle che rende sana la mente. Qui si tratta di un incedere nel mondo “di sotto”, quello infero, notturno e di matrice oscura. Qui le creature si muovono in un mondo liquido, sfavillante, dove con i sensi comuni non è possibile orientarsi, dove solo chi è avvezzo al buio può conoscerne le leggi. Non vi è parola, forse sono percettibili solo gemiti, versi, balbettii, espressioni emotive e di perpetuo stupore e suoni espressi imprecisi, quasi una condizione originaria, precedente alla parola, alla strutturazione del linguaggio.

(Octavia)

È questo il senso del corteo rituale: celebrare la nascita di una forma di vita incarnata in un involucro fragile. Un’effimera, che è destinata a vivere per un solo giorno per poi dissolversi ed essere riassorbita nell’oscuro mistero che l’ha generata. È una presenza numinosa, delicata, animica, che si eleva leggera, sensibile ai passaggi di stato. In natura, le effimere, o efemerotteri, sono creature che vivono dove le acque sono pure, non inquinate. Vengono da una precedente, umbratile vita preimmaginale, ma la loro vera esistenza è destinata a durare un solo giorno. Il loro compimento è nella metamorfosi stessa: con essa perdono le branchie e acquisiscono ali, scivolando fuori dal liquido amniotico che le ha nutrite. Come una sirena, un’effimera abbandona la vita di profondità per esplorare la superficie, per fluttuare, librarsi al di sopra di essa. È a lei che le offerte sono dovute, alla sua impalpabile sussistenza: l’inspirazione e l’espirazione che si consumano nel tempo breve che serve alle volute dell’incenso per dissolversi.