Abbiamo chiacchierato con Yasmine Helou, curatrice italo-libanese, cresciuta tra Beirut e Roma. La grande consapevolezza multiculturale che ha coltivato fin dalla nascita le ha permesso di formarsi e lavorare a livello internazionale. Recentemente ha aperto Sinkingscapes, un progetto espositivo in collaborazione con Venice Art Project e che riunisce i lavori dell’artista libanese Tara Sakhi, e quelli di Loulou Siem, artista britannica.

Sinkingscapes è una mostra che riunisce i lavori dell’artista libanese Tara Sakhi, e quelli di Loulou Siem, artista britannica. Ci racconti la genesi del titolo del progetto espositivo e il concept che lo anima?

Avendo cominciato un dialogo artistico con entrambe le artiste più o meno allo stesso tempo, presto ho capito, anche se non subito, che la direzione che le loro ricerche rispettive stava prendendo, e la loro sensibilità si incontravano... Parlando con Loulou, trasferita da poco a Venezia, dei suoi lavori veneziani, ho subito visto una connessione con le fotografie di Tara. Entrambe esplorano nel proprio, e intimo modo le diverse dimensioni e percezioni del panorama, tra realtà e immaginazione, alterata sostanzialità e completa intangibilità… In qualche maniera, siamo spinti a pensare che ciò che si vede, spesso, non è mai abbastanza.

L’idea era di esplorare le diverse sfumature della realtà, e i molteplici modi di percepire il panorama. E in effetti, “panorama” in inglese è “landscapes”, ma il punto è che non ci sono veri e propri panorami, nel senso in cui ognuno percepisce e immagina la realtà, o le realtà in modo diverso, e questa fluidità tra vero, immaginario, falso, alterato, alienato, inventato... mi ricorda un sentimento di scorrevolezza che mi ha condotta a pensare al termine inglese “sinking” cioè “inabissarsi”. Fatalità, penso a questo titolo prima ancora di andare a visitare lo spazio espositivo di Venice Art Projects, e quando ci vado, realizzo che uno degli elementi più particolari dello spazio è proprio un lavello, “sink” in inglese. Non c’era più verso di pensare ad un’altra opzione, era un vero segno!

Come sei entrata in contatto con le ricerche di Tara Sakhi e Loulou Siem?

In modo indiretto conoscevo già i lavori di design e di architettura di Tara Sakhi fatti in collaborazione con sua sorella Tessa (via il loro studio di architettura TSakhi Studio), poi dopo averla conosciuta personalmente mi sono informata un po’ di più sulla sua pratica artistica, ed è stata, eventualmente, lei a mostrarmi le sue fotografie, prima solo per avere un mio parere che poi si è trasformato in collaborazione.

Era impossibile per me non essere sensibile a queste foto, prima di tutto perché mi toccano personalmente, e parlano di un episodio, un momento, un secondo, che nessun libanese potrà mai dimenticare, e poi perché il modo un po’ da alchimista in cui le ha trattate mi hanno trasportata in un’altra dimensione, tra malinconia e sogno.

Ho conosciuto Loulou Siem a Venezia, tramite amici in comune, siamo subito andate d’accordo, lei mi mostrò le sue sculture e qualche progetto passato come A pregnant woman wishing her child to be beautiful must look at beautiful objects, Brillante; “incredibile” è la parola che mi è venuta in mente, la sua, è una sorta di ricerca antropologica, che mescola ironia con sensibilità, mythologia, memoria e realtà. Nei mesi successivi, abbiamo continuato a vederci sporadicamente, fino a quando finalmente ci siamo prese un caffè (senza distrazioni esogene), abbiamo parlato per due ore. Inutile dire che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda, ero estremamente entusiasta all’idea di lavorare con lei! Da lì in poi abbiamo cominciato un dialogo continuo, scambiandoci idee, fino a concentrarsi sui suoi lavori “veneziani”, fra i quali The Memory of Artificial Landscapes, un video immersivo, che invita il pubblico ad entrare nella sua visione e illusione della sua propria vita a Venezia. Immaginato come un videogioco, dove spazio e tempo nascono da una soggettività distintiva più che da osservazioni analitiche, il video è un'espressione perfetta dell'autocoscienza in un universo al limite della sensibilità.

Com’è confrontarsi con una città storica, unica, bella e dannata come Venezia?

Più che confrontarsi a Venezia, bisogna capirla e rispettarla. La prima volta che sono venuta a Venezia, ho avuto la sindrome di Stendhal, cioè sono rimasta colpita, quasi scioccata dalla bellezza, dalla magia di questa città… e questo sentimento non mi ha mai lasciata. Ed è proprio per questo motivo che ho scelto di viverci, e di creare nuovi progetti pensati per Venezia, a Venezia, con persone che condividono le mie stesse motivazioni e credono nel potenziale della città, fuori dagli schemi turistici mainstream. È un privilegio poter viverci e lavorarci, anche se per certi versi complicato, rimane e rimarrà sempre magico.

I riferimenti in mostra spaziano da George Orwell a Jean Baudrillard, puoi elencarci qualche testo per approfondire i temi trattati, come la realtà e l’iperrealtà?

La mostra tratta di tematiche distopiche che ricordano i testi di Orwell, nel senso che siamo rinchiusi in dimensioni molto generali, che trascendono le personalità, bloccati in un mondo fasullo, più facile da vivere. In 1994, dice: “La realtà esiste nella mente umana e non altrove.” riferendosi alla superiorità dell’ideologia del partito in confronto alle opinioni personali, come un po’ i social media, il continuo flusso di informazioni superficiali che ci nutrono… rimanendo comunque sempre alla superficie.

Il video di Loulou, ricorda senz’altro l'iperrealtà di Baudrillard, per lui più reale della vita reale, costituito da “simulazione” e “simulacri”. Il mondo “vero” e meno attraente, le persone sono spinte a vivere e immergersi in una realtà multimediale molto più comoda, caratteristica di una società delle immagini. Lo scambio simbolico e la morte e Simulacri e Simulazioni, sono testi fondamentali.

Da curatrice, come vivi e cosa pensi dell’attuale sistema dell’arte?

È iperreale…! Punto.

Come definiresti la tua ricerca, da curatrice?

In realtà (tanto per cambiare), la mia ricerca è inevitabilmente molto influenzata dalla letteratura francese, avendo un background francofono, fare collegamenti con testi francesi e le cose che mi circondano mi è quasi automatico... Provo a lavorare principalmente con artisti più o meno della mia generazione, anche per poter avere la possibilità di crescere e sviluppare idee insieme. Per me il curatore porta un messaggio, e organizza un progetto, in sintonia con l’artista, come un direttore d’orchestra farebbe. La mia idea è di potere creare situazioni magiche e immersive per esplorare nuovi mondi.

Ci racconti, brevemente, la tua formazione e, se puoi, qualche prossimo progetto a cui stai lavorando?

Curatrice italo-libanese, essere cresciuta tra Beirut e Roma mi ha permesso di avere e utilizzare una consapevolezza multiculturale e multilingue nella mia vita personale e professionale. Ed è proprio per continuare questo percorso che ho deciso di studiare a Parigi. Attraverso i miei studi, ho avuto l'opportunità di lavorare in diverse entità del mondo dell'arte come gallerie d'arte, nel ruolo di assistente a Parigi o a Londra, e presso musei, come parte del team curatoriale e del dipartimento di mediazione culturale, tra i quali il Museo d'Arte Moderna della Città di Parigi.

Ho deciso poi di intraprendere un Master in curatela a Venezia, che mi ha portata a co-fondare nel 2018, a.topos, un collettivo curatoriale (di cui non faccio più parte) con sede nella città lagunare. Da allora sono stata coinvolta in diversi progetti culturali e mostre, come il Padiglione Nazionale di Malta alla Biennale d'Arte di Venezia 2019, o il DK Zattere Curatorial Lab della Fondazione V-A-C, collaborando anche con istituzioni internazionali come Ikon Gallery e artisti come Kryzalstyle, performer al Padiglione Nazionale della Francia alla Biennale d'Arte di Venezia 2019, l'artista britannica Kate Groobey o ancora Alice Cattaneo.

Nel dicembre 2020 ho organizzato Alwan Li Beirut - Colors for Beirut, una lotteria di beneficenza online per la ricostruzione della scena artistica e culturale di Beirut, fortemente danneggiata dall’esplosione del 4 agosto. Partecipando la gente aiutò alla ricostruzione di un aspetto essenziale della capitale levantina, guadagnandosi inoltre la possibilità di vincere un’opera d’arte di un’artista libanese. I premi erano nove opere di nove artisti libanesi con storie e backgrounds diversi.

Uno degli ultimi progetti è appunto la mostra: Sinkingscapes - la prima di una serie di eventi culturali che animeranno i spazi di Venice Art Projects; l'idea è di ridare vita a luoghi dimenticati di Via Garibaldi a Venezia, promuovendo arte, cultura e immaginazione, coinvolgendo artisti locali ed internazionali con gli abitanti del quartiere, e non solo. Venice Art Projects è un'organizzazione no-profit che agisce come una piattaforma aperta a progetti artistici multi concettuali tramite i suoi diversi spazi espositivi, con lo scopo di dare visibilità a creativi ed iniziative artistiche, rianimando il sestiere di Castello, a Venezia.

Infine c’è un altro progetto molto entusiasmante, e una mostra collettiva di artisti libanesi che curerò a gennaio 2022, a Miami… Ma non posso ancora anticipare nulla.