Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Monica Villa, (Monza, 1966).

I galleristi sono dei creativi. A Monza, in una vivace e deliziosa via del centro storico, esiste una galleria che da alcuni anni coraggiosamente propone un’arte di non sempre facile approccio, perché nuova, sperimentale, originale e autentica. Il taglio dato a questa galleria – e mantenuto con fede – dalla sua fondatrice, Monica Villa, è esattamente questo: proporre un’arte di ricerca. Ricerca nella forma e nella cromia, ricerca nei materiali, ricerca nel linguaggio. Ricerca nel messaggio. Dalla pittura all’installazione, dalla performance e al reading poetico, tutto spinge verso il nuovo. E verso una domanda.

A Monica interessa il percorso dell’artista nei luoghi della sperimentazione. Poi, il risultato di quel percorso anima di volta in volta il suo white cube. Allenatasi all’osservazione al fianco della nota Emi Fontana a Milano, Monica fonda Villa Contemporanea nel 2012. Negli anni ha proposto artisti che lavorano con materiali e linguaggi differenti, ha partecipato a fiere d’arte, e si è sempre mossa animata dall’entusiasmo della scoperta.

Ad oggi, Villa Contemporanea è uno spazio vibrante di sogni, idee, proposte e armonia di bellezza. Monica Villa vive e lavora a Monza. Questa è la sua Voce Creativa per voi.

Chi è Monica?

Una donna visionaria che ama l’arte; una gallerista e una mamma.

Cosa sognavi di fare da grande, quando eri un’adolescente?

Non so se mi convenga rispondere a questa domanda… ogni mese avevo un’idea diversa: ho avuto il periodo ascetico in cui pensavo di unirmi agli Arancioni, il periodo di rivendicazione femminista in cui mi immaginavo essere un’agente speciale stile Pepper Anderson, oppure una camionista alla guida di un potente Peterbilt, il periodo artistico in cui mi immaginavo essere una fotografa rampante… insomma molte idee e tutte confuse!

Come ti sei avvicinata all’arte?

Dopo aver preso la maturità artistica sono andata a Firenze per uno corso estivo di restauro: lì mi si è aperto un mondo! Ero in una delle città più ricche di opere d’arte e poter respirare quell’aria ha avuto su di me un effetto esplosivo! Credo proprio che tutto sia nato lì… In età adulta sono stata l’assistente di Emi Fontana a Milano: tutto quello che so, in ambito contemporaneo, lo devo a lei e al lungo periodo trascorso in galleria. Ho cominciato a sognare di aprire uno spazio tutto mio e, appena ho avuto la possibilità, ho realizzato il mio sogno.

Come nasce il progetto di avere una galleria d’arte?

In parte ti ho già risposto sopra: negli anni in cui ho lavorato a Milano, amavo esserci nella fase di allestimento, mi piaceva conoscere gli artisti, indagare le loro ricerche. Ho pensato che se avessi avuto una galleria mia avrei potuto vivere l’arte in modo totale.

Chi è stato il tuo “maestro”?

Professionalmente Emi Fontana, umanamente mio padre che amava l’arte e, sebbene avessimo il classico conflitto generazionale, mi ha trasmesso la sua sensibilità.

Il primo artista che hai scelto per Villa Contemporanea?

Eugenia Vanni.

Come sceglie un artista Monica Villa?

Mi piace capire come lavora un artista, cosa lo muove, quale ricerca persegue. Non mi interessa il mezzo, mi interessa lo studio che c’è dietro al lavoro. Il lavoro mi deve emozionare, mi deve incuriosire, mi deve rimanere in testa.

Ci racconti la prima mostra che hai realizzato nel tuo spazio?

Ho aperto la galleria a fine settembre 2012 con una personale di Eugenia Vanni. Le sono molto grata per aver accettato il ruolo di pioniera insieme a me. In mostra c’erano dei bellissimi ferri trovati arrugginiti nelle vecchie fattorie toscane che l’artista ha poi ripulito fino a trovarne l’animo di metallo. La pulitura implicava un considerevole assottigliamento del metallo che, giocando sulla manualità dell’artista e sul ribaltamento percettivo dell’oggetto, determinava la creazione di un oggetto altro, né nuovo, né antico. La posizione degli oggetti però era la stessa del ritrovamento, prima che l’artista li prelevasse. L’artista si fa quindi tramite di una trasformazione e testimone di un processo che rende la scultura astratta.

Come nasce, invece, il concept di una mostra?

Tendo a non influenzare gli artisti, non succede mai che la mostra venga stravolta rispetto all’idea originaria dell’artista, a meno che non sia l’artista stesso a volerlo. Ho provato a dare dei consigli, a trovare delle soluzioni tecniche ma, di solito, lascio carta bianca all’artista.

Monet o Degas?

Monet per la luce e l’uso sublime dei colori.

Il colore dell’orgoglio?

Giallo.

Cosa significa “credere” in un artista?

Significa capire la sua ricerca, sentire che quello che fa ti emoziona, aver voglia di vedere come prosegue il lavoro.

La frase più fastidiosa che ti sei sentita dire da un visitatore della tua galleria?

In realtà è stata una frase buffa… avevo appena aperto la galleria, una signora è entrata colpita dal nuovo spazio, mi ha chiesto che tipo di attività facessimo e alla mia risposta: “È una galleria d’arte”, lei ha ribattuto “Ah… allora poi farete delle mostre”… Non aveva nemmeno capito che una mostra era già in corso…

Un complimento indimenticabile che ti è stato fatto da un visitatore della tua galleria?

Apprezzo molto quando qualcuno riconosce i miei sforzi e mi elogia per l’attività di ricerca e sperimentazione.

Verde o viola?

Viola.

Quella cosa che di un artista ti conquista immediatamente.

La sensibilità ed il tormento interiore.

Quella cosa che di un artista proprio ti indispone.

L’arroganza.

Ci racconti la mostra più indimenticabile che hai realizzato?

Ovviamente sono molto legata alla prima mostra perché, sebbene fossi al settimo cielo, ero letteralmente terrorizzata dalla paura di fallire… Però, un’altra mostra che ha avuto un forte impatto su di me è stata la personale Silere di Thomas Scalco, a cura di Rossella Moratto, perché è stata inaugurata il 20 febbraio 2020, solo due giorni prima che si scatenasse l’inferno! Era una mostra bellissima con delle nuove opere pittoriche di Thomas, realizzate apposta per la mostra. Dopo pochi giorni, abbiamo dovuto chiudere a causa della pandemia. Ci ho impiegato un paio di mesi prima di pensare di fare un video da diffondere sui social. Quella mostra ha mosso comunque nuove soluzioni anche se rimarrà legata nel ricordo a quel terribile periodo e a quelle sensazioni.

Quella volta che un artista ti ha proprio commossa fino alle lacrime.

Mi è successo di piangere ammirando la Cappella Sistina… non solo per l’effettiva bellezza degli affreschi ma per la potenza di questo capolavoro. Mi sono immaginata Michelangelo, già vecchio quando ha realizzato il Giudizio Universale, con la sua fragilità, lui stesso giudicato da un Dio implacabile e mi sono commossa fino alle lacrime… lui che si autoritrae nella pelle scuoiata di San Bartolomeo… pensa a quanto deve aver sofferto, a quanto si possa essere sentito piccolo! È una sensazione terribile quella che si prova lì, un misto di turbamento ed estasi e, davvero, pensare che un uomo abbia potuto compiere un tale prodigio è pazzesco! Ecco l’arte sopra ogni cosa!

Se dovessi scegliere una città del Sud Italia dove aprire una nuova sede di Villa Contemporanea… Quale sarebbe e perchè?

Adoro Napoli, mi piace il suo fermento, i colori, i rumori, il mare. Credo che ci starei bene.

Il colore dell’empatia?

Verde.

Un quadro che rappresenta la tua personalità.

Non credo che ne esista uno solo… mi trovo nelle opere che celano turbamento forse perché ho forte il senso dell’empatia. Adoro i chiaroscuri di Caravaggio (il mio preferito è La conversione di San Matteo), L’Urlo di Munch ma anche Notte stellata di Van Gogh, le nature morte di Giorgio Morandi o la potenza e la perfezione dei colori di Mark Rothko ed Ettore Spalletti. Tra le opere contemporanee quella che ricordo con maggiore affetto è l’installazione The Weather Project di Olafur Eliasson, realizzata alla Turbine Hall della Tate Modern, a Londra nel 2003. Ricordo di aver organizzato il viaggio a Londra apposta per andare a vederla.

Una scultura che racconta le tue fragilità.

La Pietà di Michelangelo.

Un museo nel quale resteresti volentieri chiusa a chiave per una notte.

Gli Uffizi a Firenze.

Henry Moore o Donald Judd?

Donald Judd per il suo rigore.

Il colore della conquista?

Rosso.

In quale altra nazione o città apriresti una galleria?

Mi piacerebbe andare negli Stati Uniti e non avrei dubbi sulla città… New York.

Se potessi fare un salto indietro nel tempo, nello studio di quale artista vorresti finire?

Il periodo storico sarebbe sicuramente il Rinascimento per il suo fermento, per l’incredibile ricchezza artistica; vorrei andare da Michelangelo e dichiarargli il mio amore.

Un luogo storico – cattedrale, castello, palazzo, monumento – in cui ti piacerebbe realizzare una mostra istituzionale con gli artisti della tua galleria?

Mi affascina da morire Castel del Monte ad Andria, sarebbe un posto pazzesco per farci una mostra strepitosa!

Un’opera museale che sogni di avere nella tua collezione privata?

Non avrei dubbi… Fanciullo con disegno di Giovanni Francesco Caroto. È un’opera incredibile che mi ha letteralmente stregata! Se penso che è stata dipinta nel 1523 è da non credere! È un’opera così contemporanea! Il disegno del bambino è strepitoso ed il suo sguardo ammiccante è incantevole!

Cosa significa avere una galleria d’arte in Italia oggi?

Fare un sacco di sacrifici e sentirsi sempre in bilico. Io amo davvero il mio lavoro ma credo spesso che farlo in Italia sia, purtroppo, per pochi eletti… È una grande passione che però economicamente non ti ripaga per gli sforzi che fai ed è un vero peccato perché è un lavoro bellissimo che meriterebbe più considerazione.

L’obiettivo di Villa Contemporanea?

Continuare a proporre arte! Dare spazio alle nuove generazioni, essere un contenitore di idee.

Facci l’identikit del collezionista ideale.

Vorrei incontrare il vero mecenate, colui che sostiene l’arte perché la ama, perché capisce che le gallerie fanno davvero fatica a sostenere i costi, perché crede nel valore della cultura, perché si emoziona davanti ad un’opera.

Adesso invece facci l’identikit di un collezionista da evitare.

Quello che compra solo per un fine speculativo, che compra solo artisti storicizzati in asta. Per lui collezionare arte, diamanti o criptovaluta è lo stesso.

Gioie e dolori del mestiere del gallerista.

È un lavoro bellissimo che ti permette di essere libera, di aprire la mente, di stare in mezzo all’arte, di metterti in gioco. Per contro ti toglie il sonno, ti fa sentire perennemente in bilico… in questi nove anni di attività sapessi quante volte ho pensato di lasciare ma poi, l’amore per quello che faccio, mi ha sempre fatto desistere. Ogni tanto penso che, se avessi investito tutti i soldi spesi finora in questa attività, comprando arte, anziché aprire una galleria, a quest’ora sarei una grande collezionista.

Il mondo dell’arte contemporanea in tre aggettivi.

Sperimentale, complicato e appassionante.

Il mercato dell’arte contemporanea in tre aggettivi.

Segue vie sconosciute… non sono tre aggettivi ma è quello che penso.

Tre caratteristiche che un artista dovrebbe avere per raggiungere il successo.

Sensibilità, empatia e coraggio.

Tre caratteristiche che invece lo limitano.

Arroganza, superficialità e arrivismo.

La bellezza, secondo Monica Villa.

È un’emozione, un sentimento, un amore.

Work in progress e progetti per il futuro.

L’ultima parte dell’anno, intendo la ripresa dopo l’estate, la dedicherò ad artisti che lavorano con la luce. A ottobre – novembre ci sarà la personale di Nicola Evangelisti, a cura di Michela Ongaretti, che ci sarebbe dovuta essere lo scorso inverno. Vorrei fare anche una bella collettiva di pittura, magari tutta al femminile, ci sto lavorando. Sto seguendo anche un’artista spagnola che mi piace moltissimo ma non posso svelarti ancora il nome. Per quanto riguarda le fiere, invece, al momento posso dirti che ci sarà una mia partecipazione ad ArtVerona in uno stand condiviso con la Galleria Marrocco di Napoli.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

“I limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni”, Philippe Petit, trattato di funambolismo. È l’incipit che trovi nel mio sito.