Tra le varie mostre che si stanno realizzando in questo periodo di ritorno alla normalità a Milano, ve n'è una curata da Marianne Mathieu a Palazzo Reale, inaugurata il 18 settembre 2021, fino al 30 gennaio 2022, realizzata in collaborazione col Musée Marmottan Monet di Parigi: sono 53 splendide opere di Claude Monet.

Questo famoso museo possiede il nucleo più importante al mondo di opere dell'artista, donate dal figlio minore Michel nel 1966. È una mostra molto accurata che propone le opere fondamentali dell'Impressionismo e della produzione artistica di Monet, partendo dai primi lavori testimonianza del suo modo di dipingere en plein air, caratterizzato da opere di dimensioni contenute, indispensabile essendo tele trasportate a mano insieme al cavalletto, ai colori e ai pennelli, per raggiungere i luoghi che ispiravano l'artista. Monet al giornalista Emile Taboreaux, nel 1880, dichiarò: “Non ho mai avuto un atelier, la natura è il mio atelier!”

La mostra è suddivisa in sette sezioni molto dettagliate che percorrono l'evoluzione lenta e costante della poetica dell'artista, i contrasti e le difficoltà iniziali, la sua caparbietà nel credere in un genere ben poco apprezzato ai suoi tempi.

Monet ha avuto la forza di credere in sé e nelle sue opere, confortato dall'amicizia, dalla collaborazione e comprensione di alcuni artisti che condividevano le sue aspettative: perchè l'Impressionismo è anche la storia di grandi amicizie tra artisti che si sentivano incompresi, ma che amavano talmente la loro arte da sopportare stoicamente, tra mille stenti e sacrifici, l'indifferenza e il dileggio del pubblico, per almeno vent'anni: pian piano il gusto del pubblico si abituò alla nuova pittura, anche se fin dall'inizio ebbero comunque degli estimatori che furono sempre loro vicini.

L'evoluzione dell'arte di Monet si fa sempre più evidente, partendo dalla prima opera di rottura Impressione, sole nascente, opera dileggiata a tal punto che il giornalista Leroy scherzò, sulla sua rivista satirica, sul titolo nella sua critica, il che fu il motivo per cui questi artisti furono chiamati Impressionisti.

Si fa anche sempre più evidente la distanza col passato rispetto al soggetto dell'opera, in passato sempre più importante rispetto a tutto il resto.

Con gli impressionisti sono più importanti le sensazioni del paesaggio, dipinto en plein air e le scene di vita parigina. Monet, osservando i diversi momenti della giornata, si rendeva conto quanto fosse difficile catturare la luminosità sempre mutevole dell'atmosfera, quindi la sua pittura diventava urgente, rapida, per cogliere quell'attimo fuggente che non sarebbe mai più stato catturato altrimenti. Ne è testimonianza una sua lettera a Gustave Geffroy, giornalista e critico d'arte, suo ammiratore, in cui scrive nel 1890: “Lavoro con una lentezza esasperante, ma più avanzo e più vedo che occorre molto lavoro per arrivare a rendere quel che cerco: l'istantaneità, soprattutto l'involucro, la stessa luce sparsa su tutto e più che mai mi disgustano le cose facili, che vengono di getto”.

Ma la sperimentazione dell'artista non si è fermata all'attimo fuggente, ha voluto cogliere le atmosfere, come le nebbie di Londra, i fumi dei vapori dei treni o delle fabbriche.

Viaggiava molto, instancabile, cercando i luoghi più adatti alla sua ispirazione, ma alla fine a Giverny, ha voluto costruirsi il giardino ideale, costruito e creato da lui stesso, con le acque dai riflessi perfetti esaltati nelle sue opere. E ha coltivato le ninfee, che con i loro colori cangianti l'hanno ispirato negli ultimi trenta anni della sua lunga vita. Nel 1914, al gallerista e amico Paul Durand-Ruel scriveva: “Ho dipinto un’infinità di ninfee, cambiando sempre punto di osservazione, modificandole a seconda delle stagioni e adattandole ai diversi effetti di luce che il loro mutare crea. E l'effetto cambia incessantemente, non soltanto da una stagione all'altra, ma anche da un istante all'altro...”.

Le sue ninfee diventano col tempo sempre più abbozzate: della vegetazione che tanto ha dipinto rimane solo il riflesso, portando la sua ricerca alle estreme conseguenze di rarefazione a causa della diminuzione progressiva della sua vista. Ma così è pervenuto dove altri avrebbero continuato. Ad un certo punto la forma è svanita, la rappresentazione è sempre più indecifrabile, lasciando una profonda influenza sugli artisti del '900.

Di Monet è stato detto tanto, di lui si sa tutto o quasi, Giverny, la sua ultima amatissima dimora è sede di continue visite da parte di appassionati alla sua arte, che giungono da ogni parte del mondo, le sue mostre ottengono il maggior numero di visitatori.

I suoi capolavori vengono venduti raramente, appartengono ormai a Musei, a Fondazioni e a pochi fortunati, raggiungono prezzi sempre più elevati se vengono battuti alle aste più prestigiose: tutti conoscono Monet, è il più famoso artista dall'800 in poi.

Cosa fa di lui un artista che supera il tempo ed è sempre attuale?

Nulla avviene mai per caso: le grandi opere artistiche sono frutto di evoluzioni costanti, supportate da cambiamenti sociali. L'arte da sempre ha subito l'evolversi sociale degli uomini, ha raggiunto il suo massimo ideale tecnico e artistico fin dal periodo classico greco, corrispondente a situazioni storiche e politiche di grande sviluppo, è stata una mera ripetizione nel periodo romano, è decaduta con le rozzezze barbariche, si è lentamente ripresa nel Medioevo, pian piano è arrivata agli sviluppi giotteschi, e al successivo esplodere di un'arte sempre più perfetta con i grandi, immensi artisti rinascimentali. E la Storia, nonostante i suoi flussi e riflussi, ne ha seguito gli allori.

Monet non è arrivato all'Impressionismo da solo, non è stata una sua creazione. In una lettera inviata all'amico artista Frédéric Bazille del 1868, Monet scrisse: “Ciò che farò avrà almeno il merito di essere diverso da ciò che fanno tutti gli altri, o almeno lo spero, perchè sarà esclusivamente l'espressione di quello che io, e io solo, sento...”.

L'arte è in costante evoluzione e come la storia dell'uomo, in questa evoluzione, è arrivata ad un certo punto alla perfezione, al punto del non ritorno. Ed è il punto in cui la creatività si spegne... l'artista è tale perchè crea, perchè si esprime attraverso la propria personalità, il proprio sentire, il gusto, la capacità tecnica.

Alla fine, le regole troppo rigide accademiche hanno compresso gli artisti, che, seguendo l'evoluzione sociale di un'umanità sempre più volta alla propria autoaffermazione, hanno voluto fuoriuscire dai rigidi schemi che opprimevano la creatività: sono stati dapprima piccoli passi, la Scuola di Barbizon ha portato en plein air gli artisti, che, non più al chiuso di uno studio, si sono potuti ispirare direttamente alla realtà e bellezza della natura.

In seguito, Corot, coi suoi acquerelli veloci e liberi, così diversi dalle opere istituzionali che dipingeva per i committenti, ha presentato un nuovo modo libero di dipingere.

Anche Constable e Turner, con le loro meravigliose opere, il nuovo modo di accostare i colori, meno accademiche e più libere, insieme a Jongkind hanno influenzato Monet, che, uomo del suo tempo, consapevole dei tempi e di potersi permettere di realizzare qualcosa di nuovo, lui grande amico di Courbet, ha dipinto qualcosa di più aderente alla sua passione per l'atmosfera, l'aria attorno a lui e alle loro rarefazioni che rendono meno visibili i contorni.

L'arte di Monet è pura passione, amore ardente, lui stesso ebbe a dichiarare: “Niente al mondo mi interessa più della pittura e dei miei fiori...”, mai soddisfatto delle sue opere, sempre pronto a distruggerle in nome di una pienezza che vuole raggiungere l'irraggiungibile perfezione della natura.

Perchè la sua visione andava oltre ogni capacità umana, era una prospettiva della mente irrealizzabile da una mano umana, benché lui creasse opere che per tutti noi sono meravigliose. Ma non per lui che tendeva alla perfezione assoluta, a fissare le forme labili della realtà, le impressioni soprattutto, legate alla mutevolezza della luce e delle condizioni atmosferiche: un compito immane e inarrivabile. In una lettera del 1908 al critico d'arte Geffroy scriveva: “Questi paesaggi di acqua e di riflessi sono diventati un'ossessione... voglio riuscire a rendere ciò che sento così vivamente...”.

Per lui era diventata un'ossessione dipingere immagini fluide, in movimento, dinamiche, eliminando le ombre più scure, evitando la base del disegno. Rappresentare la realtà in cui siamo immersi secondo una sua personale interpretazione, partendo dal proprio sentire il paesaggio che suscita complessi e diversi stati d'animo in chi lo guarda, quando coglie il messaggio.

Monet dimostra la relatività della visione, che risulta scomposta in movimenti diversi, sempre validi.

I volumi delle sue forme dipinte visti da vicino sono mescolati e incomprensibili, mentre da lontano acquistano una straordinaria e vibrante definizione: il suo miracolo di abilità cromatica lo lascia sempre stremato e mai soddisfatto, tanto alto è il modello che vuole raggiungere. In una lettera del 1884 ad Alice Hoschedè, Monet scrive da Bordighera: “Faccio un mestiere da cani, qui e non risparmio le gambe; salgo, poi ridiscendo e poi ancora risalgo; come riposo, tra uno studio e l'altro, esploro ogni sentiero, sempre alla ricerca del nuovo; e così giunge la sera e ne ho abbastanza...”.

Alla base della sua pittura vi è un modo nuovo di stenderla, le pennellate sono più dense e materiche nelle zone luminose, il primo piano viene allungato, guidando l'occhio verso il centro luminoso, ove spesso si trova un punto di colore rosso, che avvicina l'immagine.

Spesso le pennellate sono lunghe e filamentose, simulano la resa del pastello, il gioco dei colori primari, che vengono contrapposti a quelli complementari, è una strategia che costringe l'occhio ad una visione imprevedibile, magica.

È la magia dell'Impressionismo, una ricerca artistica che ha raggiunto il massimo splendore a cui può pervenire un'arte libera da ingabbiamenti accademici.

E Monet, che credeva nella sua opera, che conosceva il proprio valore, mai soddisfatto veramente dei risultati raggiunti, è il rappresentante più appassionato degli impressionisti, questo gruppo di artisti che ha voluto rappresentare liberamente la gioia di dipingere la bellezza della natura. In una lettera ancora a Geffroy, nel 1889 scriveva: “Inseguo la natura senza poterla fermare! Ah, se potessi contentarmi del possibile!”.

In una dichiarazione pubblica del 1925, ormai ottantacinquenne, ebbe a dichiarare: “Non vorrei morire prima di aver detto tutto quello che avevo da dire...”.

Grazie Monet, per quanto hai saputo raccontarci dipingendo! Un grande dono a noi tutti!