“Presentatevi,” inizio.

Davanti a me ci sono Cristian Porretta, fondatore e titolare della galleria d’arte Faber, e Jacopo Mandich, scultore e protagonista di El Volador, la loro prossima mostra - o come la chiama lui, istallazione immersiva - basata su una graphic novel creata dall’artista stesso.

Attualmente residente a Torino, Mandich è originario di Roma, dove ha frequentato l’Accademia di Belle Arti nel 2005. Un anno dopo, ha vinto il Premio Internazionale di Scultura Edgardo Mannucci. Ha continuato la sua educazione artistica nel 2015 con i corsi biennali di specializzazione all’Accademia di Belle Arti di Urbino e Torino. Nello stesso anno, diventa il primo artista italiano ad essere invitato alla Biennale degli Urali in Russia. Nel 2018, ha frequentato il Master di scultura all’Università di Arte e Design ad Halle, in Germania.

Dopo l’inaugurazione del loro primo progetto A Ferro e Fuoco nel 2014, hanno lavorato ad uno show più “rischioso” chiamato Antinomie nel 2016, un’istallazione complicata ma soddisfacente che, secondo Jacopo, non aveva molto potenziale commerciale. La mostra consisteva nel riempire la galleria con circa 30 tronchi d’albero, smembrato in tal modo da rivelare la fibra del legno, il suo tessuto, di cosa è composto esattamente.

Con questi oggetti, l’artista voleva creare un’analogia fra come gli umani e gli elementi naturali sono costruiti, tra la razionalità e l’irrazionalità. Come aggiunge Jacopo, i tronchi potevano interagire con il pubblico e venivano spesso mossi da un angolo all’altro della galleria, richiamando la dicotomia tra il dentro e il fuori, materia calda e materia fredda, che sono anche il concetto guida dell’artista.

Ad Antinomie è seguito un progetto lungo e peculiare chiamato Forze Invisibili nel 2019, che ha richiesto 6-7 mesi di preparazione per sia Cristian che Jacopo. lo show era diviso in tre parti: Connessioni, Levitatis Bellum e Jackal Project.

Colgo l’occasione per rivelare che, quando sono entrata in galleria, Jacopo sembrava più un operaio che un artista. Mi dice che lo prende come un complimento. Aggiunge di essere consapevole del fatto che la scena d’arte contemporanea metta troppa enfasi sulla presentazione dell’opera invece del proprio messaggio anche se, ammette, rimane sempre un aspetto essenziale.

A me non piace muovere le mani, ma incontrare la materia. Tutto per me si muove sulla dinamica di controllo e non controllo, la parte razionale e mentale che cerca di dominare, come il discorso filosofico tra analitica e metafisica. Il metafisico non può essere definito, ma esiste.

Questo incontro della materia solida ispira l’artista ad ascoltare, a cercare conversazioni, come quando si abbraccia un amico. Oltre al parlare e all’interagire, il contatto fisico gli ha insegnato molto, afferma. Lavorando con il Lego, ha visto come un sistema naturale costruisce la propria fibra, che lo aiuta a creare analogie con molte altre cose durante il processo creativo.

“Questa realizzazione mi ha aperto un orizzonte,” dice. “L’incontro con la materia mi ha fatto vedere altre cose in uno stesso oggetto.”

Dato che Jacopo l’ha menzionato, mi incuriosisco: la pandemia ha cambiato la sua prospettiva sul contatto fisico? Crede che abbia esasperato l’alienazione della società nei confronti del contatto, un’alienazione che esisteva già da prima della crisi. Comunque, ha anche rivelato il bisogno di contatto fisico con altri esseri umani, una realtà meno apparente e ovvia.

Jacopo dice che il lockdown non ha avuto un effetto negativo per lui, ma ha solo costretto il mondo ad invertire i propri ritmi e rallentare.

Sempre aperto alle sfide, confida che El Volador è un progetto che l’ha costretto ad uscire dalla sua comfort zone, soprattutto perché ha dovuto disegnare e creare la propria graphic novel: Cristian mi rivelerà in seguito che Jacopo in realtà disegna da molto più tempo, anche se non a livello professionale.

A questo punto, chiedo a Cristian di ricordare la prima volta che ha incontrato Jacopo, un evento accaduto poco più di dieci anni fa.

Era stato invitato ad una mostra in Via dei Serpenti, al centro di Roma. Si è recato lì con un’attitudine scettica, senza aspettarsi niente dall’evento e di certo non intenzionato ad iniziare una nuova collaborazione.

E poi, giunto lì, la miglior parola per descrivere le emozioni di Cristian era folgorato, folgorato dalla grande forza espressiva dei lavori di Jacopo, che sembravano appartenere all’ambiente in cui venivano ospitate.

“Non era solo una potenza estetica, era qualcosa di più che tu non potevi fare a meno di guardare, percepire, farti domande,” conclude.

Dopo Antinomie, la sua mostra del 2016, Jacopo Mandich ha continuato a sperimentare con tronchi d’albero nel suo progetto consistente in tronchi dalla forma umana intitolato Hug. Il lavoro è stato ispirato dal bisogno di intimità con gli altri e te stesso, per rimediare alle mancanze psicologiche. Questa scultura offriva un contatto con una diversa forma di vita, almeno in senso lato.

In una delle mie visite precedenti alla galleria d’arte Faber, Cristian Porretta mi aveva detto che uno dei lavori interattivi di Jacopo consisteva nel far svestire i visitatori e invitarli ad entrare in uno di questi tronchi, situati in un luogo pubblico. O almeno è così che l’artista l’aveva immaginato. In realtà, questo progetto prese vita in uno dei parchi pubblici di Torino, e non fece mai il suo debutto a Roma.

Ad ogni modo, voglio chiedere a Jacopo cosa l’abbia spinto a creare un’esperienza così unica per i passanti italiani.

Ricorda come le persone entrassero nel tronco spontaneamente e alcuni dei suoi amici accettarono addirittura di entrarvici nudi. Come nota Jacopo, è una scultura che deve essere toccata per poterne sentire i materiali, il caldo e il freddo, come un conflitto tra due forze opposte.

L’artista lo chiama “il simbolo di un’assenza ma anche una riconoscibilità, la sagoma di un essere umano all’interno di un elemento naturale.” Dice che l’esperienza era divisa in tre momenti: inizialmente si ammira la forma umana ritagliata in questo albero, poi si guarda qualcun altro che entra nel tronco ed infine si entra in prima persona. Questi tre momenti sono in sinergia fra di loro per far emergere un senso di coerenza.

Tre esemplari di questa serie di opere sono attualmente esposti al Palazzo Caprioli di Brescia, al Museo d’Arte del Bosco della Sila in Calabria, e al Parco della Goccia a Milano.

Cambiamo argomento e parliamo della mostra itinerante che Cristian e Jacopo organizzarono con successo malgrado i tanti problemi.

Descritta come “un’istallazione modulare itinerante, che voleva cogliere l’osservatore in luoghi non deputabili,” il progetto consisteva nel trasportare sculture di animali da Torino a Roma in treno. Con questo lavoro, Jacopo voleva esplorare la relazione tra arte e contesto, semplificata da contrasto fra l’orinatoio dell’autogrill e l’orinatoio del maestro, un riferimento all’opera Fountain di Marcel Duchamp. Jacopo si chiede, qual è il luogo giusto? Come dimostra lo show, prendere queste sculture fuori dal loro contesto artistico crea nell’osservatore un senso di spiazzamento.

Prima di questo lungo viaggio, però, Jacopo ha sperimentato con diversi mezzi di trasporto - autobus, tram, treno - per esplorare il tema del non-visto dalla società, di come la luce cade su un oggetto specifico preso fuori dal proprio habitat naturale.

La prima volta, cercò di convincere un autista di Flixbus diretto in Italia a far salire una delle sue sculture di animali, creata per il programma di Master ad Halles. Purtroppo, l’autista declinò la richiesta dell’artista e Jacopo dovette lasciare la sua creazione alla stazione per essere in seguito ripresa da un suo amico.

Chiedo a Jacopo del suo viaggio da Torino a Roma, riguardo cui risponde, ridendo: “È stato molto molto divertente. Anche molto complicato.”

Tra gli sguardi incuriositi degli altri passeggeri, il viaggio in treno da Torino a Roma andò bene rispetto a quello da Halles, ma, secondo Jacopo, comportò anche delle negoziazioni con le autorità per convincerle a lasciare gli “animali” nel treno.

Cristian è d’accordo con l’artista sul fatto che, malgrado ci sia voluto molto lavoro, sia stata un’esperienza soddisfacente.

“Tutti i momenti passati con Jacopo in quel contesto lì - preparazione della mostra, viaggi, le varie telefonate - sono stati molto intensi perché, da un punto di vista artistico, è stato un entrare dentro quello che veramente è la cura di una mostra a parte gli aspetti tecnici,” ha detto Cristian. “Capire un artista, perché lo fa e poter condividere il lavoro a stretto contatto è stato fondamentale.”

Cristian semplifica questo sentimento di profondo coinvolgimento con il seguente esempio: è stato come organizzare 4-5 mostre come parte di un corpus sequenziale. È stato, al tempo stesso, un passo importante nel suo processo di crescita da gallerista per conoscere il lavoro di un artista e capire come presentarlo al pubblico.

“Jacopo è un artista molto puro: quello che lui fa è quello che lui è, e rappresentarlo e farlo fruire in una mostro è un lavoro difficile, delicato,” conclude, ricordando i tanti confronti che hanno avuto durante i mesi di preparazione alla mostra itinerante.

Concludiamo la nostra conversazione parlando del potenziale commerciale di un’opera.

La galleria d’arte Faber vuole rappresentare un luogo di promozione e sviluppo dell’arte contemporanea, nonché un punto di riferimento per tutti gli appassionati. “Faber è la capacità di plasmare pazientemente, con entusiasmo e professionalità, ogni progetto espositivo proposto, la cui attenta cura contribuisce a costruire il valore,” dice Cristian Porretta.

Secondo lui, i concetti di commercialità e ricerca artistica non sono completamente opposti, perché, per riuscire a presentare un’opera, ci deve essere un processo dietro che supera il guadagno finanziario.

Tutti gli artisti con cui Cristian ha collaborato stanno ancora sviluppando la propria carriera. “Assecondare l’artista non è solo mettere l’opera al muro; è ricreare la sua idea d’arte,” spiega Cristian, sperando che il suo pubblico possa sentirsi più vicino non solo all’opera come oggetto materiale ma al concetto più ampio di arte.

I collezionisti possono volere un determinato lavoro nelle proprie case non solo perché è esteticamente bello ma anche perché l’artista voleva trasmettere qualcosa, anche opere che, almeno al primo sguardo, non sembrerebbero rientrare in un ambiente domestico come le istallazioni artistiche di Jacopo Mandich. Sono le intenzioni del gallerista che cambiano tutto.

Queste decisioni rischiose sono state accolte positivamente dal pubblico romano, come provato dal successo della loro prima istallazione, la cui ricerca ha ispirato curiosità nei visitatori sia prima che durante l’apertura dell’evento.

“Secondo me, un curatore o gallerista deve gestire il proprio spazio come meglio crede, ed io, in questo momento, è questo che voglio fare. Voglio proporre al pubblico questo,” ha detto Cristian.

È adesso che Jacopo si unisce di nuovo alla conversazione e parla della differenza tra l’aspetto ideale e l’aspetto pratico di un lavoro.

“Proporre questa realtà immersiva è tutta un’altra esperienza. La finalità di venderla è lontana,” dice, descrivendo l’approccio condiviso da Cristian nei confronti del suo lavoro dal loro primo incontro. “Cristian in questo senso è molto coraggioso,” aggiunge Jacopo.

Arriviamo, infine, alla loro prossima mostra, El Volador.

Come spiega Jacopo, il tipo di linguaggio di questo show è relazionato con il loro progetto precedente, dal titolo Forze Invisibili, dato che l’artista voleva parlare dell’inconscio attraverso una narrazione.

Ispirato dai libri di Carlos Castaneda letti durante il liceo, Jacopo è sempre stato affascinato dal discorso delle realtà separate, composta da tanti altri concetti: realtà percepita, realtà oggettiva, realtà individuale, e realtà collettiva. In breve, l’artista chiede al pubblico, chi è che percepisce?

El Volador racconta la storia di un viaggio attraverso i sogni, composto dai vari frammenti che ognuno di noi ricorda immersi dal sogno e sonno. Queste unità formano una storia completa che è essenzialmente l’interpretazione di tutto ciò che ciascuno di noi vede, come gli archetipi, gli scritti psicologici e le manifestazioni.

Cristian conclude la nostra conversazione parlando degli aspetti più tecnici della mostra.

Quando Jacopo propose l’idea al gallerista per la prima volta, Cristian rimase sorpreso dalla scelta dell’artista di costruire una mostra intorno a una serie di disegni, una forma d’arte con la quale Mandich non ha spesso sperimentato in passato. In preparazione alla mostra, hanno parlato di creare un mondo di illustrazioni che si adattino a ciò che chiamiamo arte contemporanea, spesso due concetti separati nella mente del pubblico mainstream.

Invece, l’illustrazione è chiave in El Volador, ed è inclusa in un’istallazione immersiva a cui il pubblico può partecipare: i visitatori possono infatti disegnare su pezzi di carta che saranno parte della mostra stessa quanto i lavori di Jacopo.

Fanno anche parte dello show una scultura in ferro e neon posizionata sul muro più distante dall’entrata, altre sculture in vetrina e altre volanti fatte di ferro, oltre a sketch preparatori, acquerelli, studi di personaggi e ambienti così che i visitatori possano letteralmente perdersi nella storia che Jacopo voleva raccontare.