Per un'antropologia in movimento, alla ricerca delle radici della storia e delle comunità che popolano il pianeta. E’ così raccolta la poetica di uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, Steve McCurry, al quale Palazzo Sarcinelli a Conegliano dedica la mostra “Icons” a cura di Biba Giachetti.

Oltre 100 scatti che, documentano quarant'anni d'intensa carriera nel mondo. Nato a Darby in Pennsylvania nel 1950, McCurry con la sua macchina fotografica ha indagato, in maniera del tutto originale, le guerre e le zone di conflitto nel mondo ma, anche, le persone e le comunità coinvolte. Importantissimi premi hanno scandito il suo percorso professionale: dalla “Robert Capa Gold Medal”, al “National Press Photographers Award”, a quattro World Press Photo.

E a Conegliano, “Icons” testimonia lo straordinario stile di McCuurry e la sua esclusiva visione estetica, in grado di coniugare alle immagini di grande impatto emotivo, fatti e contenuti che investono la scena sociale internazionale: dall’ India all’ Afghanistan dove Steve McCurry seguì i Mujaheddin al tempo della guerra contro la Russia. E proprio dall'Afghanistan, perenne zona di guerra e di conflitti, proviene Sharbat Gula, la ragazza resa celebre dalla prima pagina del National Geographic, conosciuta dal fotografo nel campo profughi di Peshawar in Pakistan.

Ma è l’umanità del soggetto, la sua esistenzialità, il punto centrale della fotografia di McCurry. Infatti, con i suoi scatti ci trasmette il volto umano che si cela in ogni angolo della terra, anche nei più drammatici. Così, come Henri Cartier-Bresson è stato "l'occhio del suo secolo" (il Novecento), McCurry è probabilmente il fotografo contemporaneo più incline a raccoglierne l'eredità, grazie ad spiccata sensibilità che penetra nella profondità dei soggetti, svelando la loro identità e intensità dei loro sguardi. Vite e storie Esperienze ed emozioni con cui il fotografo americano ha scandagliato il mondo: dall’India all’Afghanistan, la Birmania, il Giappone, il Brasile e l'Europa. I suoi ritratti sono l'espressione di uno stile fotografico con cui McCurry ha creato riconoscibilità e affettività nel lettore, in quanto dentro quei volti vive una diretta empatia, un sentire intenso e profondo. E l'esemplificazione di queste straordinarie rappresentazioni è tutta raccolta nel ritratto della ragazza afghana “ Sharbat Gula”, che McCurry fotografò nel campo profughi di Peshawar in Pakistan e che, con i suoi grandi occhi verdi e spettrali, è diventata un’icona assoluta della fotografia mondiale.

Uno sguardo, il suo, che risulta essere allo stesso tempo l'espressione di una bellezza e di una sensualità unica ma, anche di un crudo realismo. Ma questa straordinaria fotografia – già celebre copertina del mensile National Geographic nel 1985 durante l'occupazione sovietica dell'Afghanistan - presenta anche molte analogie con la ragazza con l'orecchino di perla di Jan Veermer. Ed è proprio la luce veermeriana, sorta di musa ispiratrice, a cui fa riferimento nelle proprie fotografie McCurry. Infatti, i caratteri cromatici e luminosi sono i segni coinvolgenti e dirompenti delle fotografie di McCurry, che ha indagato i più diversi Paesi del mondo. Treni e stazioni come luoghi del super affollamento, in un melting pot di culture in movimento. I monsoni in Australia, Indonesia e Sri Lanka con i sopravvissuti e i superstiti di un drammatico destino.

Lo tsunami del 2011 che devastò Kesennuma, provocando nella cittadina giapponese oltre 15.000 morti e migliaia di feriti e dispersi. E ancora, bambini-soldato a Kabul, militari in combattimento a Nuristan in Afghanistan, fino ai pozzi di petrolio in fiamme nei campi petroliferi di al-Ahmadi in Kuwait (1991), tra il fuoco e le nubi di fumo intenso che si sprigionavano alte in un cielo irriconoscibile. Le coste dell'Arabia Saudita di cui documentare i danni alla fauna acquatica provocati dalla guerra. L'Asia e il Medio Oriente fino all'11 settembre 2001 a New York con l'attentato alle torri genelle. Così McCurry, ha scandagliato il mondo e le persone ritraendole nelle loro vesti e identità, facendo sortire un quadro umano d'intenso coinvolgimento, dove l' empatia con l'altro è la sua cifra connotativa ed espressiva. Fotografie come rappresentazione di una realtà interna al dolore e alle sofferenze ma, anche, alla gioia e alla speranza.