Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Roberta Congiu (Cagliari, 1981).

Roberta Corgiu è una disegnatrice. Più precisamente, è una donna che esplora il mondo, dentro e fuori di sé, attraverso la precisione del segno grafico. Un segno pulito, ordinato, e per certi versi fotorealistico. Un segno che traccia, con l’inchiostro di una penna a sfera, geografie umane. Dettagli di una nudità che quasi sempre si staglia su fondali immacolati. Il nitore del bianco, che deve restare tale, sottolinea i volumi chiaroscurati da questa metodica sovrapposizione di segni. Segni delicati e morbidi, mai solchi, carezze piuttosto, che sulla carta si sovrappongono.

Il risultato è ogni volta un’immagine pulita, realistica e al contempo onirica, frutto di una grande e ostinata dedizione. Roberta Corgiu vive e lavora a Ussana (Cagliari). E questa è la sua voce creativa per voi.

Chi è Roberta?

Roberta è un gigantesco e continuo work in progress.

La prima volta che hai impugnato una matita?

Sicuramente durante la mia prima infanzia. Trascorrevo tante ore in solitaria e trafficare con carta e matite ha sicuramente fatto sì che sviluppassi la modalità espressiva più consona alla mia natura: ero una bambina creativa ma riservata.

Il tuo sogno ricorrente da bambina? Il tuo incubo ricorrente da bambina?

Non ho ricordo dei miei sogni di bambina, né dei miei incubi. Avevo delle paure esterne ai sogni, questo sì: le classiche paure infantili dell’abbandono o del buio, per esempio.

Qual è stata la tua formazione?

Ho studiato prima al liceo artistico, assecondando la mia voglia di imparare tutto ciò che potevo sul disegno; successivamente mi sono specializzata in Pittura all’Accademia di Belle Arti. Quotidianamente, però, esiste una formazione continua, che passa dalle letture alla conoscenza dell’operato di altri artisti.

Quando hai scelto il disegno?

Io e il disegno ci siamo scelti da subito e negli anni abbiamo mantenuto uno stretto contatto, ma oramai da un decennio rappresenta una parte fondamentale della mia ricerca. Questo step è avvenuto in un momento della mia vita in cui avevo smesso sia di dipingere che disegnare, anche buttar giù un semplice bozzetto mi mandava in crisi. Avevo bisogno di ordine, di riflessione e di introspezione e carta e penna mi hanno aiutato a fare tabula rasa di un cortocircuito emotivo e pratico che bloccava la mia espressività.

Mentre disegni ti prendi cura dell’immagine che crei, ma qual è in assoluto il momento più intenso?

Quando ho terminato la prima stesura dell’inchiostro: da quel momento in poi si tratta di caratterizzare il soggetto, di estrapolarne tutte le caratteristiche e le peculiarità che lo renderanno inconfondibilmente mio. È una sfida costante: si tratta di scavare a fondo in me stessa e nell’immagine concepita, scaricando sulla carta sentimenti ed inquietudini, con l’intenzione di farle riemergere in un secondo momento, e cioè quando un’altra persona avrà l’opera terminata davanti ai suoi occhi.

Il valore della linea, il disegno come arte autonoma, è una conquista del Rinascimento. Esiste un artista di quell’epoca che è per te un maestro putativo?

Non uno in assoluto, ma non posso fare a meno di citare Michelangelo, per diverse ragioni.

Un disegno della storia dell’arte che avresti voluto realizzare tu?

Scelgo senza pensarci troppo, in caso contrario non saprei proprio decidermi: un nudo qualsiasi di Klimt o di Toulouse Lautrec.

Quali sono i temi che ricorrono nella tua produzione grafica?

Amo il nudo e il binomio forza/fragilità che questo sprigiona, la sua espressività che emerge al di là della superficie bidimensionale sulla quale è tracciato; amo le fragilità, le introspezioni, l’indagine a tutto campo del soggetto e della realtà irreale nel quale lo immergo: questi sono i temi sui quali, oramai, mi concentro sempre più spesso.

Dove passeggeresti per ore a piedi nudi?

Sul bagnasciuga di una qualsiasi spiaggia, al tramonto. Il mare, essendo isolana, è un elemento per me imprescindibile.

Esiste un luogo che ti ispira, che fa fiorire nuove idee e visioni nella tua mente?

Ho una mente piuttosto irrequieta, che mi permette di trarre ispirazione dai posti più differenti, ma credo che i luoghi d’arte siano quelli di maggior influenza: andare per musei e mostre, specie se in solitaria, per me è essenziale.

Quanto contano le tue origini nella tua ricerca artistica?

È una domanda cui è difficile rispondere. Credo che queste abbiano un certo peso, per esempio, nella rappresentazione di soggetti isolati accostati ad elementi naturali.

Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?

Un ruolo basilare. Come ho già avuto modo di spiegare in altre occasioni, considero il mio immaginario come una sorta di grande archivio mnemonico in cui giorno per giorno vanno a sedimentarsi immagini di opere d’arte, fotogrammi di film visti, scene di libri letti, ricordi personali, come fossero vecchie fotografie in bianco e nero conservate in scatole di cartone: tutti elementi dai quali poi attingo per la creazione delle mie opere, inconsciamente o meno.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

È verissimo, e non potrebbe essere altrimenti. Come dicevo prima siamo un grande archivio, siamo il prodotto del nostro vissuto e sempre, anche quando non sembra, il lavoro di un artista è una sorta di diario: basta saper leggere fra le righe e il dato autobiografico traspare in tutta la sua pienezza.

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

Quello che ha in tutti i campi: un ruolo nel quale cercare di non cadere vittima della svalutazione altrui del suo lavoro e della sua ricerca, un ruolo nel quale difendere la propria espressività e scardinare pregiudizi duri a morire. Un ruolo, insomma, nel quale rimanere fedele a se stessa.

Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

Giovanni. È una delle prime opere grazie alle quali ho ricevuto riscontri importanti. Ritrae mio nonno in un close-up di forte impatto. Ne sono così gelosa che non l’ho mai più esposto e lo tengo appeso nella mia camera.

Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Non ho dei testi specifici cui fare riferimento, sono molto curiosa e periodicamente approfondisco nuovi interessi, ma in passato sono state molto importanti le biografie di alcuni artisti che amo.

Scegli tre delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.

Can you see the beauty inside of me? #4 – 2020.
È uno dei lavori dell’ultimo anno del quale sono più soddisfatta. Il primo lockdown sotto Covid-19 ha fatto sì che sviluppassi nuove consapevolezze e nuove soluzioni per la creazione delle mie opere, e credo che questo corpo di ragazza sospeso nel vuoto, con degli elementi geometrici che lo circondano e lo attraversano frammentandolo, rappresenti al meglio quel senso di smarrimento che tutti, più o meno, abbiamo provato allora.

Twins – 2017.
Twins ha rappresentato un nuovo punto di partenza nella mia ricerca, rappresenta due volti di adolescenti coperti parzialmente da dei fiori: un’indagine sull’io e sul suo doppio.

Frammentazione #20 – 2019.
Questo pezzo fa parte di una serie in cui mi sono concentrata sull’universo femminile e le sue fragilità, il punto focale è la mano che copre parzialmente il sesso e concentra tutta la sua forza in questo gesto discreto.

Un o una artista che avresti voluto esser tu.

Tutto sommato credo che Picasso non se la sia passata così male.

Un artista del passato dal quale vorresti essere stata a bottega.

Anche qui rispondo senza pensarci troppo - perché farei una lista sterminata - citando Velázquez e Rembrandt. Se posso permettermi una variante con un artista contemporaneo, invece, scelgo con assoluta certezza Gerhard Richter.

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Vorrei tanto collaborare con uno/a che crede nel mio lavoro e nella mia ricerca tanto da supportarmi promuovendomi attentamente e con passione.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Elitario, contorto e instabile.

La paura che sfidi ogni giorno.

Di perdere interesse ed entusiasmo, di arrendermi all’abitudinarietà.

Work in progress e progetti per il futuro.

Ho in progetto alcune personali e in fase di studio nuove serie e nuove tecniche con le quali concepirle.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

La stupidità deriva dall'avere una risposta per ogni cosa. La saggezza deriva dall'avere, per ogni cosa, una domanda.

(Milan Kundera)