Nel suggestivo Palazzo delle Papesse di Siena è attualmente ospitata (e lo sarà fino al 7 gennaio 2022) la mostra Salvador Dalì. Da Galileo Galilei al Surrealismo, un’esposizione vasta e davvero ben allestita, che permette di approfondire un aspetto dell’artista novecentesco che di solito non è tra i primi ad essere investigati, ovvero il suo rapporto con la scienza.

La scelta della location non è certamente casuale: in questo palazzo Galileo Galilei si rifugiò dal 9 luglio al 15 dicembre 1633, dopo essere stato condannato dal Santo Uffizio, perché sospettato di eresia e di voler mettere in discussione la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture. Nei mesi trascorsi nel palazzo senese, Galilei si fece portare dei cannocchiali e continuò le sue osservazioni astronomiche, fatte dall’altana del palazzo, collocata sul tetto dell’edificio e da cui si può godere di un magnifico panorama della città.

“Misura ciò che è misurabile, e rendi misurabile ciò che non lo è” è una famosa citazione attribuita a Galilei: nei mesi trascorsi a Siena, egli continuò nella sua missione di uomo di scienza, desideroso di approfondire e di investigare quanti più aspetti della realtà possibili. Se proviamo un attimo a chiudere gli occhi, possiamo riuscire ad immaginarci Galilei che cammina nei corridoi di Palazzo delle Papesse, dialoga con conoscenti e allievi sulle questioni scientifiche da lui studiate e, nella sua testa, elabora teorie ed ipotesi.

Ed è stata proprio questa la suggestione che hanno voluto seguire i curatori di questa mostra: ritenendo che le mura di questo palazzo possano quasi “aver assorbito” il pensiero galileiano, lo hanno scelto come location di questa esposizione, che dal Cinquecento ci conduce in pieno Novecento, con le opere di uno degli artisti più eclettici e più geniali dello scorso secolo: Salvador Dalì.

Pensando a lui, ci vengono in mente subito quadri come Il grande masturbatore, La persistenza della memoria, Cigni che riflettono elefanti: tutte opere legate alla corrente surrealista, di cui Dalì fu uno dei massimi esponenti. Forse è meno conosciuto al grande pubblico l’aspetto del Dalì scultore, che invece è quello maggiormente approfondito nella mostra senese e che è ugualmente fondamentale per conoscere a 360 gradi la sua figura e la sua opera. L’artista spagnolo si dedicò alla scultura dal 1934 fino al 1987: più di 50 anni, quindi, un periodo lunghissimo in cui ebbe davvero modo di approfondire tanti aspetti di quest’arte, e di riuscire ad esprimere, tramite essa, le sue geniali intuizioni.

“Datemi due ore al giorno di attività e passerò le restanti ventidue a sognare”, era solito ripetere: e questo aspetto onirico si ritrova perfettamente nelle sue sculture. Dove si ritrovano anche i simboli che più spesso compaiono nella sua opera, come gli orologi molli, che sono diventati quasi “un marchio di fabbrica” dell’artista stesso. Nel suo mondo, il tempo non è rigido: è invece liquido e relativo come lo spazio che ci circonda. Ecco perché lo strumento per eccellenza che segna il tempo, ovvero l’orologio, risentendo di questa malleabilità, non può essere rigido: sarà invece uno strumento “molle”, che non può comunicare certezze, ma solo darci una percezione provvisoria, che cambia a seconda del tempo e dello spazio.

La relatività del tempo, quindi: e sicuramente qui è forte l’influenza di Einstein ma, andando a ritroso, anche le considerazioni di Galilei su questo stesso argomento. Ed ecco, che si inizia a delineare quel filo conduttore che dallo scienziato seicentesco ci porta a questo immenso artista novecentesco: ovvero, la riflessione sullo scorrere del tempo. Ovviamente, in Dalì questa riflessione è molto più accentuata, e riflette inesorabilmente anche di tutte le suggestioni che circolavano nell’Europa di primo e di metà Novecento.

Tra queste suggestioni, una delle prime da considerare è senz’altro quella freudiana: Dalì stesso considera quasi come un padre spirituale Sigmund Freud, la cui opera fu senz’altro una fonte di ispirazione essenziale per tutti i surrealisti, soprattutto per la fondamentale importanza attribuita alla psiche e alla dimensione onirica. Nella teoria freudiana, il sogno è una componente essenziale dell’esistenza umana: assume quasi una funzione compensatoria, riconoscendovi l’espressione di desideri inconsci. Dalì, traendo spunto da questo concetto, si convinse che il sogno, nella vita dell’uomo, aveva un’importanza paragonabile a quella dello stato di veglia: il suo obiettivo fu proprio quello di trovare un punto d’incontro tra questi due stati, dando così luogo a una sorta di “surrealtà”, in cui alle forze dell’inconscio fosse concesso di liberarsi e di esprimersi anche in stato di veglia.

Nella sua Autobiografia, Dalí commenta la teoria freudiana scrivendo: “L’unica differenza tra la Grecia immortale e l’epoca contemporanea è costituita da Sigmund Freud, il quale ha scoperto che il corpo umano, puramente neoplatonico all’epoca dei Greci, è oggi pieno di cassetti segreti che soltanto lo psicanalista è in grado di aprire”. Ed ecco, un altro simbolo fondamentale usato dall’artista: quello dei cassetti, che rappresentano i desideri nascosti e la sensualità segreta delle donne. Essi vengono spesso rappresentati come leggermente aperti, come a dire che i segreti che essi custodiscono sono ormai noti, e non vi è più bisogno di temerli. Una famosa scultura di Dalì in cui ricorre questa simbologia è la Donna in fiamme: una figura femminile con delle stampelle, avvolta dalle fiamme e che ha lungo il suo corpo dei cassetti semi aperti.

Sappiamo che Dalì, fin dal primo diffondersi delle sue teorie, fu desideroso di incontrare personalmente lo psicanalista: a questo scopo, negli anni Venti e Trenta del Novecento, si recò spesso a Vienna, senza tuttavia riuscire mai a conoscerlo. Era però solo questione di aspettare: l’incontro avvenne infatti nel 1938 nella casa londinese di Freud. Com’è noto, quest’ultimo non aveva una grande opinione dei Surrealisti, pur essendo da loro considerato quasi “un padre putativo”. Eppure, su Dalì espresse un buon giudizio; riportiamo le sue stesse parole, che costituiscono anche un veloce ritratto del poliedrico artista:

Ero tentato di considerare i surrealisti, che apparentemente mi hanno scelto come santo patrono, come dei pazzi integrali. Il giovane Spagnolo, con i suoi candidi occhi di fanatico e la sua indubbia padronanza tecnica, mi ha incitato a riconsiderare la mia opinione.

I “candidi occhi di fanatico”: e qui ci sarebbe da aprire un altro capitolo sulla stravagante personalità di Dalì, che ha sicuramente contribuito a renderlo uno dei personaggi più studiati e conosciuti in Europa di tutto il Novecento.

Per adesso, volendo realizzare la chiusura del cerchio, ritorniamo al punto da cui siamo partiti: lo studio del tempo e dello spazio, la teoria della relatività che, in un affascinante continuum, è in grado di legare due personalità che in un primo momento sembrerebbero distanti anni luce tra loro, come sono quelle di Galileo e di Dalì. Due geni, che con la loro opera e il loro pensiero tanta influenza hanno avuto nella cultura occidentale e a cui, per un aspetto o per un altro, siamo tutti debitori.