Mario Vespasiani è uno dei più interessanti talenti della nuova generazione dell'arte italiana. Nato nel Piceno 35 anni fa è uno dei pochi artisti che nel corso quindici anni di pittura ha documentato in modo ineccepibile e costante i suoi studi, coinvolgendo non solo critici e storici dell'arte ma anche scrittori, filosofi e antropologi. Le sue mostre si sono tenute su tutto il territorio nazionale.

Mario, parlaci di com'è nato questo lavoro che ha suscitato tanto interesse anche sul web, ma che in ogni modo sembra distaccarsi dalla tua ricerca nella pittura.
Dovete sapere che ogni progetto è sempre collegato col precedente, a volte in maniera diretta, altre in modo inaspettato, ossia con un criterio discontinuo rispetto a un certo "ordine progressivo", visto che si tratta sempre di un procedere fatto di passi non prevedibili. Questo è uno di quei casi in cui l'oggetto realizzato è completamente diverso delle opere precedenti, in quanto non sono superfici dipinte e bidimensionali ma opere che per certi versi si avvicinano più alla scultura e al design. Concettualmente ho pensato agli scudi dei popoli guerrieri, ai sacchi dei popoli nomadi. Contenitori privati e forse anche simboli, se faccio riferimento all'importanza che ha avuto la geometria durante la progettazione. Il senso è sempre lo stesso: trasmettere la mia identità, che già dalla forma deve essere chiara ed efficace, senza fronzoli. Al tempo stesso mi intriga il significato del bagaglio che il viaggiatore porta con sé, penso a quello dei migranti come a quello dei capi di stato che si spostano da un luogo all'altro. I ricordi, i graffi e gli incontri si imprimono sulla superficie, che chissà all'interno quali oggetti conserva?

Il tuo è anche un tentativo di avvicinare l'arte alla moda?
Per il fatto che le opere possono essere indossate può anche essere, dato che alla fine hanno pur sempre la funzionalità di certe borse: tuttavia la moda è il campo che ha influenzato meno lo sviluppo di questi lavori - per me arte è arte e moda è moda - non mi sono interessato del lavoro degli stilisti, se non quel minimo per evitare di copiare, né quello è stato il territorio da cui ho tratto ispirazione, anche se ho notato con piacere che le proposte più stimolanti arrivano da piccole e giovani aziende. Non è una mia preoccupazione decidere se oltrepasso un confine, penso di fare arte non moda, e mi muovo con libertà. Posso dirvi che mi sono lasciato ispirare dai modi di fare di una ragazza, dalla natura e dall'architettura, dell'arte ovvio, come dalla geometria.

Parli di territori, eppure essendo opere da portare con sé, disegnano a loro volta un paesaggio, un percorso, anche se non chiaramente riconoscibile.
Le composizioni sono essenzialmente astratte e sono state realizzate disegnando tradizionalmente. Tuttavia è variato il supporto strumentale, che non è cartaceo ma digitale. Sono già diversi anni che certe immagini le ottengo lavorando con l'Ipad, che considero uno mezzo straordinario che offre opportunità inedite, ma anche perché mi permette di lavorare quando voglio e in qualunque luogo, anche al buio, e al contempo è un contenitore immenso di stimoli e di foto che in precedenza ho selezionato. Ogni immagine viene poi riprodotta esclusivamente sull'oggetto e non deriva da stampe o da altre riproduzioni, nasce in digitale e viene stampata (in questo caso su eco pelle, in passato è stato su alluminio) solo una volta. Non esistono dunque multipli, ogni borsa è un concetto a sé.

Sei stato tra i primi in Italia a lavorare con questo strumento, come influenza la tecnologia un'opera artistica?
Se si parte dal concetto che dietro la tecnologia ci sono delle persone umane, non si può che condividere la mia idea che alla fine è sempre l'uomo che crea, senza di lui il monitor sarebbe spento o acceso ma fisso su un punto per la durata della carica. Senza idee anche la migliore delle macchine non programmate farebbe ben poco di significativo. Nel corso dei secoli i miglior artisti hanno sempre preso in prestito dalle ultime scoperte i ritrovati più efficaci per le loro opere, dai primi graffiti alla pittura ad olio, dalla camera oscura fino alla serigrafia c'è un progresso che tocca il pensiero come la tecnica. Dunque il linguaggio si evolve, diventa sempre più più complesso e vario, ma semplicemente perché lo è la società. Anche se l'urgenza che l'uomo vuole comunicare resta sempre la stessa, si rinnova con ogni generazione.

Come sei arrivato a questo nuovo ciclo di opere, qual è stato il motivo che ti ha portato a stravolgere la pittura tradizionale?
Dicevo che ogni tema è collegato all'altro e questo non fa eccezione: con Moto perpetuo (il progetto precedente che è stato un particolare libro e non una mostra) ho affrontato il tema del viaggio attraverso il superamento dei confini, sia mentali che geografici, dipingendo su vecchie mappe e su manoscritti recuperati nei mercatini, immaginando nuove direzioni per il genere umano, che si trova - forse per la prima volta dalla sua comparsa sulla terra - di fronte a una svolta antropologica. Pensate: siamo in contatto con tutto eppure distanti da noi stessi, siamo nella condizione di conoscere perfettamente il male e ciò che ci è nocivo eppure non smettiamo di inquinare e di far soffrire le persone che ci circondano. Così ho sentito l'urgenza di segnare un cammino, di indicare una direzione, come di inventare degli strumenti di orientamento, perfino nei sassi, nei legni, nelle ciotole; come nel tracciare nuove costellazioni e dunque altre rotte.

Così hai immaginato un contenitore per portare con te questi oggetti?
Nel viaggio è fondamentale il bagaglio per contenere gli oggetti personali e per raccogliere i segni, per questo ho lavorato su "uno spazio vuoto" a disposizione di ciascuno da riempire innanzitutto con le esperienze, mi è sembrato più naturale questo - specie nel momento storico attuale - che non un quadro per rappresentare l'evoluzione di Moto perpetuo. Un dipinto sarebbe stato ingombrante e poco pratico al trasporto, io invece voglio uscire dalla spazio istituzionale dell'arte e delle sue chiacchiere, così un simile contenitore apre, con l'immagine coloratissima e la forma affilata verso l'esterno con grande facilità e trasmette, anche per il fatto che si tratta di un pezzo unico l'identità di chi lo ha scelto. All'interno presumo un vero e proprio universo segreto, dove ognuno aggiunge ciò che gli serve davvero, in una selezione estrema come di una confusione creativa e di abbinamenti improbabili.

Un posto privato e pubblico, un po' come un museo?
Esattamente. E nel momento in cui i musei stanno perdendo il ritmo della contemporaneità, il laboratorio e con esso la "strada", torna ad essere il luogo dove si susseguono gli stimoli e le persone reali diventano protagoniste dello spettacolo, al pari delle opere.

Come vera è Mara, la donna che ha dato il nome al progetto.
Mara as Muse è il titolo dell'evento composto da quattro parti: un cortometraggio - uscito al cinema il 7 dicembre, è un racconto per immagini in bianconero dal timbro poetico che focalizza la spiritualità delle cose, le quali collegate alle altre uniscono indissolubilmente l'uomo al mondo animale, la ritualità all'innocenza - un videoclip coloratissimo (con la musica del dj Zuccarello e la voce nera di Prince) dove ho cercato di trasmettere insieme al ritmo il flusso creativo della progettazione delle opere, la mostra e il catalogo. Il titolo è anche un suono che mi piace pronunciare. Dedicato alla mia consorte che da sempre ha fatto parte del mio lavoro, sia quando posava per me che in tutte le altre situazioni, in cui è stata sempre protagonista, anche quando ero solo io ad apparire. Mara è una delle poche giovani donne italiane che ha vissuto fin dai tempi della scuola d'arte un simile ruolo e sa cosa vuol dire entrare nel processo artistico, nell'apprezzare la "temperatura" del fare arte, le esperienze, le aspettative e le attese.

Vista la sua innegabile bellezza non pensiamo che ti sia stato difficile apprezzare le sue qualità.
Quando si sta da tanto tempo insieme, se non si è abbastanza intelligenti da evolversi, anche la più persona più affascinante perde di lucentezza e Mara ha avuto la fortuna di non far pesare la sua piacevolezza, è sicura di sé e questo le basta, non ha mai utilizzato la sua avvenenza per bruciare le tappe, ma per aprirsi agli altri con una semplicità tale che sorprendeva prima loro. Il mondo è pieno di belle ragazze, ma la bellezza autentica è rarissima, è una dote che si coltiva anche con lo studio di sé, altrimenti appassisce o peggio diventa volgare, artificiale. Chi ha la possibilità di seguirci sulla fan page di Facebook, vedrà via via oltre alle opere più recenti, anche una selezione di fotografie di Mara che periodicamente vengono aggiunte, con lo scopo di mostrare come muta il linguaggio espressivo, come cambiano gli atteggiamenti e gli animi. Mara non è una modella, né di quelle che amano fotografarsi in posa davanti lo specchio con l'Iphone in mano e la boccuccia, non recita una parte né indossa accessori da promuovere, è lei punto e basta, in tutta la sua carica di femminilità e insieme ne facciamo un processo di continua scoperta, composto da quella sezione fotografica in buona parte visibile in rete, che non è tanto un mostrarsi in diverse situazioni quanto un modo per essere partecipi e presenti dei cambiamenti che avvengono su di noi e intorno a noi.

Infatti vorremmo chiederti la differenza tra Mara e il lavoro con le altre modelle.
Il lavoro che si fa con le modelle ha lo scopo di evidenziare un prodotto o un tema, quindi in base al budget ogni fotografo ha a disposizione un team di persone che si occupano dei vari aspetti della produzione, a me questo non ha mai interessato, lavoro da solo e comunque non sono un fotografo di moda anche se ritraggo modelle, allo stesso modo in cui realizzo borse senza essere uno stilista. L'arte ha la fortuna di attraversare i sapere, di andare oltre, magari di fallire al punto che da quegli errori può nascere la sua fortuna. Con Mara c'è ovviamente un rapporto diverso, cerco di cogliere quello sguardo innamorato che un artista mette in tutto ciò che osserva e in questo caso è anche corrisposto. Voglio mostrare come la sua estetica - che non rispetta i canoni tipici del mondo patinato - possa trasmettere una forza tale che diventa una sintesi tra carattere, identità e coraggio. Fotografando lei, scrivo storie e non solo di una persona quanto di un territorio. Il suo fascino sta nella vivacità del fare italiano, il suo stile nell'asprezza del vivere mediterraneo. Mara la ragazza dal sorriso improvviso e dalle sopracciglia Bold.

Parlando di stile, le tue opere possono essere indossate, mentre le creavi avevi in mente chi poi le avrebbe portate con sé?
Se Mara ha ispirato il progetto, è chiaro che sono borse con un proprio destino e una propria storia, devono uscire dallo studio sulle proprie gambe, che poi sono quelle di chi le associa alla propria vita quotidiana. Se dovessi immaginare una donna ideale con in mano una mia borsa la raffiguro con un completo nero, con guanti e cappello in inverno. Perché è l'opera che la veste e non serve altro. Ora che le vedo tutte di fronte a me, non penso di aver fatto qualcosa di moda, per di più rifiuto il logo, la marca in bella vista, anzi nel mio caso il logo è il prodotto stesso e non serve l'etichetta. Per l'inaugurazione Mara si è vestita con un completo di pelle molto stretto e con un un cappellino che ho disegnato come gadget che aveva delle orecchiette e un pelo da gattina nera: una combinazione perfetta.

Come mai hai voluto presentare la mostra nel tuo studio e non nelle gallerie?
Come i musei anche le gallerie stanno vivendo una fase problematica, se molte hanno chiuso i battenti in genere per poca lungimiranza, altre hanno ridimensionato con gli obiettivi anche l'entusiasmo e questa per un artista è l'unica molla che spinge a condividere i progetti. Così quando non si percepisce quella benedetta follia di osare oltre, quella che è essenzialmente una visione si spegne e con essa la magia e si parla solo di numeri e mercato. Per quanto mi riguarda credo nella provvidenza e quello che ho (può sembrare niente o infinitamente tanto in base allo stato d'animo) è sempre una benedizione. Il motivo principale che mi ha mosso a inaugurare per la prima volta nel mio studio e anche il fatto che in qualsiasi altro spazio, questa mostra, si sarebbe caricata di un significato commerciale che avrebbe appesantito la freschezza della proposta. Ho voluto lo spazio più reale di tutti, dove l'autore è colui che condivide e introduce il pubblico alla corretta comprensione.

Per salutare i nostri lettori, cosa immagini dentro queste borse e chi sono coloro che le indossano?
Ottima domanda. Se il "fuori" è evidente, l'interno è misterioso. Di certo immagino un tipo indipendente, uno che fa ricerca, che ama i rapporti e al tempo stesso tiene alla propria identità. Leggevo che un magazine londinese ha fatto una statistica sul valore medio contenuto in una borsa da donna e sono arrivati a quantificarlo in oltre mille euro, tra cellulari, creme, profumi e trucchi; a me interessa altro, non il costo ma la magia. Lo scrigno che accoglie qualsiasi cosa senza quasi farci caso. A me piace immaginare che ci finiscano briciole e biglietti da visita, gomme da masticare e l'Ipad, un cioccolatino e il passaporto. Tutto sommato vorrei che queste borse parlassero di noi come lo fanno certi dipinti; invisibili, appese o appoggiate da qualche parte, eppure sacre e inviolabili. Conterranno pure degli occhiali da sole, ma dalle lenti colorate mai messe prima, sempre diverse e uniche, perché a ciascuno la propria gradazione.