La costante ricerca di rispondere all’eterno appellativo dell’arte di partecipare alla realtà genera secoli di creatività che si nutre dalla sua storia anche quando la nega. Rispecchiare o interpretare, migliorare o contrastare, amplificare o ridurre la verità è l’oggetto principale di ogni pensiero e azione artistica. Anche se l’artista esplora la propria intimità, essa stessa è prodotto del mondo oggettivo che partecipa, consciamente o inconsciamente, a ogni inventiva creativa.

L’arte, per essere tale, deve morire e rinascere come una vita umana. Nelle mani di Sauro Benassi l’arte è richiamata, appunto, nella sua molteplice esistenza: dal suo stato d’agitazione pura, quello che spruzza materia, alla serena meditazione delle trasparenze. Ma niente è casuale. La vita dell’arte è legata alla vita del suo creatore fino alla loro perfetta coincidenza. Assistiamo,allora a attimi di gioia, esplosi in colori cangianti, o di rabbia, che sputa grumi di colore, o di tristezza che affoga in campi monocromatici. Le figure e le forme che popolano questi umori sono ospiti stranieri di una terra promessa. Il nostro unico compito, dunque, è di essere presenti attivamente allo spettacolo della vita dell’arte.

“Guardami negli occhi!” sembra chiedere l’inquietante e invadente sguardo delle piccole donne ritratte da Glenda Tinti come esili fate dalle teste abnormi. Solo un attimo di pochi anni divide l’infanzia dalla maturità e in quel preciso momento si forma la personalità. Una parentesi temporale che concentra scoperte, dubbi, rivelazioni e che rimane visibile solo per l’occhio “alterato” del creativo. Glenda accoglie con dolcezza ogni turbamento dell’animo puerile e la trasforma nella bella immagine di un angelo nero. Fiaba e incubo, vanità e timidezza, nascita e morte si fondano in un solo atto creativo dissacratorio e, nel contempo, simbolico della grande vita dei piccoli adulti.

L’impressione che la vita sia sfuggevole come un soffio ha attraversato tutti noi. Un’impressione che sembra prenda forma nelle opere di Yajaira Pirela. La pittrice sembra esplorare le vie del vento con una pennellata dinamica e traslucida che anima le forme e li disintegra. Il raggio futurista è accolto dalla brina impressionista per infrangersi in astrazione. Il lirismo poetico che definisce la cromia che, così, vive dolcemente i contrasti improvvisi. Le forme, tanto uguali, ma sempre diverse si consumano a vicenda in una danza concentrica che porta all’essenza delle cose. Sostanze e pigmenti costruiscono il il neosimbolismo astratto e magico della Pirela, intento a disegnare la vera anima e non l’apparenza del creato. La natura rimane sempre nel centro dell’indagine artistica, in quanto motore di ogni gesto creativo.

La trama del tessuto, la fibra della pianta, la cellula dell’organismo sono elementi guida nell’arte di Maurizio Molteni e contemporaneamente la pars destruens e la pars costruens dei suoi lavori. Seguendo la linea baconiana , la "parte che distrugge", consiste nell'eliminare gli idoli dei preconcetti e i pregiudizi e liberare la mente .La parte costruttrice, quella creativa, si può esprimere, infatti, solo sulla tabula rasa del conscio, in quanto agisce con gli strumenti dell’inconscio. I lavori di Molteni viaggiano su i solchi della materia, studiandola da vicino, tanto da perdere la memoria del suo aspetto reale e percepirla come un nuovo fatto del mondo vivente. L’estrazione dell’elemento dalla sua banale esistenza lo porta all’autonomia eccezionale dell’artefatto.

Testo di Denitza Nedkova; mostra curata da Deborah Petroni

Galleria Wikiarte
Via San Felice, 18
Bologna 40122 Italia
Tel. +39 051 5882723
info@wikiarte.com
www.wikiarte.com

Orari di apertura
Martedì e Domenica 15.00 - 19.00
Mercoledì - Sabato 11.00 - 19.00 con orario continuato