Piante e alberi giocano un ruolo importante in quasi tutti i dipinti di Leonardo. Hanno un significato simbolico e trasmettono un messaggio metaforico mentre mostrano la profonda conoscenza dell’artista delle forme botaniche e dei processi ad esse sottostanti. I fiori sembrano essere stati i primi soggetti di Leonardo quando, ancora ragazzo a Vinci, dimostrò un grande talento nel disegno. Nei suoi Taccuini molti anni più tardi egli elencò “molti fiori ritratti di naturale” fra i lavori che aveva prodotto in gioventù.

La sofisticata comprensione botanica ed ecologica di Leonardo è mostrata appieno nel suo primo capolavoro - La Vergine delle rocce. Il dipinto è stato definito un “tour de force geologico” per l’incredibilmente accurata rappresentazione da parte dell’artista delle complesse formazioni geologiche. Potrebbe essere chiamato a ragione anche un “tour de force botanico”. Le piante lussureggianti che riempiono la rocciosa grotta naturale non sono distribuite nel dipinto secondo uno schema decorativo, ma sono mostrate crescere solo in luoghi dove l’arenaria erosa si è decomposta a sufficienza per permettere alle loro radici di attecchire. Sono rappresentate solo le specie adatte all’ambiente umido della grotta naturale, ognuna in uno specifico habitat e in una fase dello sviluppo appropriata dal punto di vista stagionale.

Entro questi limiti botanici ed ecologici Leonardo selezionò specifiche piante che suggerivano nei contemporanei diversi livelli di sottili significati simbolici associati ai temi religiosi della composizione. Dietro alla spalla sinistra della Vergine c’è una elegante aquilegia (Aquilegia vulgaris). Il suo nome latino è derivato da aquila, poichè i fiori sembravano ricordare un artiglio di aquila. Nell’antichità la pianta era anche conosciuta come “erba del leone” e il suo nome comune, “colombina”, allude alla somiglianza del fiore ad un gruppo di colombe. Per la mente rinascimentale queste associazioni erano ricche di simbolismo religioso. L’aquila e il leone erano i simboli degli evangelisti Giovanni e Marco, la colomba personificava lo Spirito Santo e le foglie tripartite dell’aquilegia erano un simbolo perfetto della Trinità. Proprio sopra la mano sinistra della Vergine uno può a malapena vedere un gruppo di piccoli mulinelli formati dalle foglie di una pianta conosciuta come caglio o zolfina (Galium verum). Questa specie in inglese è chiamata Letto della Madonna perché secondo la leggenda, Giuseppe usò il suo strame secco per fare un letto per Maria nella mangiatoia e i suoi bianchi fiori si mutarono in luminoso oro quando nacque Gesù.

La rosetta di foglie sopra il ginocchio di Cristo bambino è stata identificata come appartenente alla primula (Primula vulgaris), che era considerata un segno di virtù per i suoi puri fiori bianchi. Il botanico Emboden sottolinea come la purezza del Cristo era solitamente rappresentata da una rosa bianca, ma che Leonardo scelse invece la primula bianca perché una rosa sarebbe stata inappropriata per l’ambientazione e per la stagione. Varie piante nel dipinto alludono agli stadi della Passione del Cristo. Le foglie di palma sopra San Giovannino, identificate con il genere Raphis, erano un antico simbolo di immortalità ed evidentemente sono state pensate qui per annunciare l’entrata di Cristo a Gerusalemme, proprio come San Giovanni aveva annunciato Cristo come Messia. I tre gruppi di foglie dietro a San Giovannino possono appartenere a varie specie di piante.

Comunque, riferendosi al sottinteso periodo dell’anno, sono state identificate da Emboden come rappresentanti l’anemone noto come trifoglia (Anemone hepatica) grazie alle sue foglie tripartite. Un collegato piccolo gruppo di anemoni o fior di stella (Anemone hortensis) lo si può vedere sotto il Cristo bambino seduto. L’anemone rappresenta le gocce di sangue di Cristo e si credeva che fosse fiorito sotto la croce sul Calvario quando il sangue cadde dalle ferite di Cristo. Infine, la resurrezione è simboleggiata dalle foglie di acanto (Acanthus mollis) tra il ginocchio destro e il tallone sinistro di San Giovanni. Durante il Medioevo e il Rinascimento era una tradizione italiana piantare dell’acanto sulle tombe a simboleggiare la resurrezione di Cristo, poiché avvizzisce interamente in autunno e rinasce rapidamente con una profusione di verde fogliame in primavera.

L’elegante iris nell’angolo in basso a sinistra del dipinto, con le sue notevoli foglie a spirale, è già stato citato. Emboden sottolinea che questo non è la specie Iris florentina, che Leonardo ha spesso rappresentato nei suoi disegni, ma invece la più ecologicamente appropriata specie paludosa Iris pseudacorus. Ci sono molte altre piante rappresentate ne La Vergine delle rocce tutte scelte per le loro particolari virtù simboliche. Queste includono l’iperico (Hypericum perforatum), la pianta consacrata a San Giovanni che si credeva avesse poteri protettivi; un ciclamino (Cyclamen purpurescens) che simboleggia amore e devozione per le sue foglie a forma di cuore; varie specie di felci che si riteneva fossero benevoli repositori di anime; e rami di quercia (Quercus robur) che davano corpo ad una moltitudine di virtù iconografiche.

Ci sono due versioni de La Vergine delle rocce, una adesso al Louvre e l’altra, dipinta vari anni più tardi, alla National Gallery di Londra. È ampiamente ritenuto che Leonardo abbia lasciato eseguire al collega pittore Ambrogio De Predis ampie parti della versione londinese. Questo sembra essere confermato da un confronto dei dettagli botanici dei due dipinti. Come sottolinea il botanico William Emboden ci sono meno specie di piante nella versione londinese e molte di queste sono rese in modo non accurato e senza la raffinatezza dimostrata nella versione del Louvre. Questo porta Emboden alla conclusione che nella versione londinese, “quasi certamente la flora non è di mano di Leonardo. È impossibile pensare che lo stesso pittore che, nella versione parigina dello stesso dipinto, ha avuto tanta cura di rendere le piante con una accuratezza stagionale ed ecologica, per non parlare dell’iconografia, abbia prodotto il paesaggio incerto con convenzioni semplicistiche di presentazioni botaniche”.

Nel 1498, quando Leonardo aveva appena completato L’ultima cena ed era all’apice della fama, decorò una stanza speciale del suo patrono Ludovico Sforza. Conosciuta come la Sala delle Asse, è un ampia stanza nella torre nord nel Castello Sforzesco a Milano, dove quattro lunette su ciascun muro si combinano per produrre un’elaborata volta. La decorazione altamente inventiva di Leonardo mostra un boschetto di gelsi con le radici nel suolo roccioso, i tronchi che si stagliano verso il soffitto come colonne che sostengono la volta reale, i rami che attraversano la volta creando una struttura a costoloni gotici di eleganti curve intrecciate. I rametti più piccoli e le foglie formano un rigoglioso labirinto di intricata vegetazione che si spande sui muri e attraverso il soffitto. L’intera composizione è tenuta insieme da un unico infinito fiocco d’oro che serpeggia dentro e fuori dai rami, secondo i complessi arabeschi dei tradizionali motivi a nodo che erano molto popolari nel quindicesimo secolo.

Il dipinto nella Sala delle Asse è notevole a vari livelli. Con la sua vasta conoscenza di piante Leonardo ha dato ai rami e alle foglie un aspetto realistico di crescita esuberante, e con grazia e armonia ha integrato questi schemi di crescita naturale nell’esistente struttura architettonica e nella geometria della decorazione formale. Inoltre, Leonardo ha inserito significati multipli nel suo frondoso labirinto che sono andati ben oltre l’obbligatoria glorificazione del principe Ludovico. La dedica della stanza alla magnificenza di Ludovico è ovvia. Le iscrizioni su quattro targhe poste in posizioni prominenti lodano la sua politica e uno scudo, che raffigura gli stemmi uniti di Ludovico e sua moglie Beatrice d’Este, adorna il centro della volta. I rami intrecciati avevano la funzione di commemorare la loro unione. Ma ci sono livelli ancora più sottili di significato nel progetto di Leonardo.

L’albero di gelso in se stesso è ricco di simbolismo. L’uso di un albero stilizzato con foglie e radici era uno degli emblemi degli Sforza. Il gelso era un allusione al noto appellativo del principe, il Moro, che significa anche “gelso da more”. Il gelso era anche considerato un albero saggio e cauto dal momento che fiorisce lentamente e matura rapidamente, e quindi era riconosciuto come simbolo di un governo saggio. Inoltre, il gelso era connesso alla produzione di seta, un’industria importante a Milano, che Ludovico incoraggiava energicamente. Questo rapporto con l’industria è rinforzato dal nastro dorato, che non solo evoca l’eleganza della corte degli Sforza, ma ricorda anche la produzione di filo d’oro, un’altra specialità milanese.

Ad un livello ancora più profondo, la decorazione di Leonardo può essere interpretata come un simbolo della sua scienza. I tronchi individuali, o colonne, su cui poggia la decorazione, possono essere visti come i trattati che aveva progettato di scrivere su vari argomenti, fondati sul terreno della conoscenza tradizionale ma intesi a farsi spazio attraverso le rocce della visione del mondo aristotelica e a portare la conoscenza umana a nuove vette. Mentre i contenuti di ciascun trattato si dispiegavano, essi si collegavano l’uno all’altro a formare un tutto armonioso. Le somiglianze di schemi e processi che legano diversi aspetti della natura forniscono il filo dorato che integra le multiple ramificazioni della scienza di Leonardo in una visione unificata del mondo.

Testo tratto da: La botanica di Leonardo: un discorso sulla scienza delle qualità, di F. Capra.

In collaborazione con: www.abocamuseum.it