Robert Irwin e James Turrell, entrambi di Los Angeles, sono tra gli artisti più riconosciuti e innovativi emersi negli anni Sessanta e tuttora attivi. Talvolta descritti dalla critica come esponenti di Light and Space, condividono un forte interesse per la percezione.

Irwin ha lavorato usando media molto diversi tra loro, che vanno dalla pittura all’architettura del paesaggio. Il lavoro di Turrell, invece, è caratterizzato da un consistente interesse per la luce. Entrambi cominciarono negli anni Sessanta a mettere in discussione le visioni più consolidate sulla natura dell’arte e dell’esperienza. Per un breve periodo nel 1969, lavorarono insieme, scambiandosi idee che poi influenzarono le loro carriere e i successivi lavori che ognuno di loro creò in contesti separati e diversi. Irwin e Turrell collaborarono a Los Angeles, a partire dall’estate del 1968, all’interno del programma Art and Technology, organizzato dal Los Angeles County Museum of Art. Irwin, allora quarantenne, era già un artista affermato. Aveva cominciato come pittore per poi dedicarsi in quel periodo alla produzione di dischi che, ispirati al concetto di dematerializzazione dell’oggetto, indagavano i fenomeni puri. Turrell invece, venticinquenne, aveva appena terminato gli studi in psicologia della percezione al Pomona College ed era già conosciuto per i suoi primi lavori, le proiezioni di luce prive di oggetti. La loro ricerca coinvolse fin da subito lo scienziato Ed Wortz, studioso delle risposte percettive dell’essere umano in contesti particolari, come, per esempio, i viaggi spaziali. Insieme i tre studiarono la percezione umana, le esperienze visive e quelle sensoriali.

Giuseppe Panza fu tra i primi collezionisti a credere profondamente nell’arte di Robert Irwin e James Turrell, commissionando loro nel 1973 sei installazioni site-specific per la sua villa di Varese. Questi lavori, assieme ad altri degli anni Sessanta e Settanta e a lavori più recenti, fanno parte di questa mostra che, per la prima volta, riunisce i due importanti artisti. Nel 1973 Panza andò a Los Angeles per la prima volta e visitò lo studio di Turrell a Santa Monica, trasformato dall’artista in una stanza buia in cui la luce si materializzava attraverso piccole fessure che davano sull’esterno. Nello stesso anno acquistò il primo lavoro di Robert Irwin, un disco esposto qui in mostra, e alcune delle prime proiezioni di James Turrell, tra cui una delle versioni del suo primo lavoro Afrum (1967), anch’esso in mostra. Il lavoro di entrambi gli artisti ebbe un forte impatto su Panza e così anche il loro interesse per la filosofia e la scienza che il collezionista condivideva. Panza riconobbe fin da subito la natura innovativa delle loro proposte che andava oltre i confini tradizionali e che lo indussero a considerare per la sua collezione interventi site-specific permanenti piuttosto che oggetti. Uno degli aspetti del lavoro di entrambi gli artisti, che interessò particolarmente Panza, fu proprio la capacità di oltrepassare i confini dell’architettura per entrare in relazione con il paesaggio.

La famosa apertura rettangolare fatta da Irwin in una parete della Villa, così che si potessero scorgere i folti alberi verdi del parco, non è né una finestra né un’immagine – proprio quello, invece, a cui aspiravano i quadri rinascimentali – ma piuttosto l’unione dell’interno della casa con l’esterno. E nella stessa maniera, anche il secondo Skyspace di Turrell, un’apertura quadrata sul soffitto, porta il cielo, così lontano, all’interno della stanza. Il Varese Scrim di Irwin crea uno spazio ambiguo ed etereo lungo il corridoio in cui si cammina e Virga di Turrell rende la luce esterna come fosse una presenza interiore. Le installazioni che i due artisti realizzarono per la Villa ispirarono Panza nella sua visione per una nuova tipologia di spazio espositivo che fosse pensato appositamente per l’Arte ambientale. Ai tempi le sue idee precedettero il progetto di molti musei di arte contemporanea che oggi seguono gli stessi criteri espositivi.

Le idee di Panza sono espresse chiaramente nella corrispondenza che intrattenne con i due artisti, inclusa nella sezione documentaria della mostra. Due nuovi ambienti immersivi sono stati progettati appositamente per gli spazi della Villa. Irwin ha ideato una nuova installazione con un velario nella Limonaia al piano terra in cui una fila di aperture verticali e una complessa serie di piani semi-trasparenti coinvolgono lo spettatore nella percezione di uno spazio che fa eco a se stesso. Il Ganzfeld di Turrell è anch’esso uno spazio leggermente disorientante e indeterminato pieno di colori che cambiano, in cui diventa difficile distinguere l’alto dal basso, la destra dalla sinistra. Turrell lo descrive come il ‘nostro nuovo paesaggio’ senza orizzonte – come lo spazio o il cyberspazio. I colori, alternandosi, si mescolano tra l’ambiente e la nostra mente. Quest’esperienza viene favorita dall’utilizzo di nuove tecnologie, come per esempio l’illuminazione a LED comandata da computer, che negli anni Sessanta, quando Turrell cominciò a pensare a questi lavori, non erano ancora disponibili.

Il colore ha giocato un ruolo molto importante nel lavoro più recente di Irwin, come, per esempio, nell’enorme giardino realizzato per il J. Paul Getty Museum nel 2001. In questa mostra a Villa Panza Irwin presenta un nuovo lavoro fatto di tubi fluorescenti e supporto di metallo verniciato che creano uno splendido puzzle di linee verticali di colore, luce e ombre. Gli artisti hanno anche realizzato alcuni lavori con media nuovi e raffinati. Irwin ha fatto una nuova versione della sua colonna di plastica che aveva ideato nel 1970 e che condiziona del tutto la nostra esperienza dello spazio che la circonda. Turrell, invece, ha reso la materializzazione del colore più intima e portatile nella serie più recente di ologrammi. Guardati a posteriori, i lavori di Irwin e Turrell, pur rimanendo distinti, sembrano condividere molti aspetti.

Ciascuno di questi due influenti artisti è capace di manipolare abilmente molti media diversi, tra cui anche la luce e lo spazio, creando forme estremamente semplici che hanno effetti imprevedibili sulla nostra capacità di osservare e spesso ci consentono uno sguardo sui meccanismi più complessi e affascinanti della nostra percezione. Come sintetizzò perfettamente Panza, “sembra molto semplice, ma non lo è”.

Testo di Michael Govan, CEO e Direttore Los Angeles County Museum of Art e curatore, con Anna Bernardini, della mostra.