È il 15 marzo, alle 14.50 il treno su cui viaggio si ferma ad Arezzo. C'è Ilaria Margutti ad aspettarmi proprio all'uscita della stazione, dopo le intense settimane di lavoro alla comunicazione e promozione del progetto, eccoci, ci siamo. Un'ora di strada ci separa da Sansepolcro e due ore dall'inaugurazione al Museo Civico della mostra con cui Ilaria presenta al pubblico l'edizione 2014 del suo progetto di Incontri al Museo. Dialoghi al presente con l'arte contemporanea. Poi "tutto accadrà come è giusto che accada".

L'incontro indica direzione di movimento, e più in particolare movimento verso persone che siano a loro volta dirette o rivolte verso di noi. L'incontro che ci aspetta è fatto di una grande necessità: agire nella direzione di un dialogo fra l’arte storicizzata e l'arte contemporanea. Nell’attesa che precede ogni inizio le domande cominciano ad affollarsi nella mente.

Ilaria, che cosa serve per far fronte a questa necessità di azione e soprattutto, a cosa deve servire farlo?

Io credo che per agire nella direzione dell’incontro e del dialogo sia necessaria innanzitutto una conoscenza della storia dell’arte. E non lo dico solo come insegnante o assumendo la prospettiva da storica o da curatrice, perché non mi considero né una storica né una curatrice, ma lo dico perché c’è un’urgenza di conoscenza: è necessaria la conoscenza per avere una visione dei contenuti che sia ampia. Questo vale per l’arte proprio come per la vita! Personalmente ho sempre avuto la necessità di cercare delle connessioni tra il passato e il presente... è una necessità che nasce dalla condizione dell’arte stessa, perché l’arte è “nel tempo”, vive nella sua continuità ed è strumento di comprensione del mondo. Avendo a che fare con gli studenti da più di dieci anni, sento la loro necessità di possedere gli strumenti per capire il mondo. Mi sento privilegiata, perché posso far loro conoscere e sperimentare il mondo attraverso l’arte. Il mio ruolo d insegnante mi permette di conoscere la storia dell’arte fino alla modernità (da programma ministeriale), la mia condizione di artista invece, mi permette di conoscere e sperimentarmi con i contenuti dell’arte contemporanea... creare un dialogo tra queste due polarità consente a me stessa di mettermi in gioco nel confronto e nel dialogo. I risultati? Be’, uno (che in un certo senso è quello a cui tengo maggiormente) è l’avvicinamento dei giovani all’arte storica perché è dalla nostra storia che passa la nostra identità presente. L’arte permette di instaurare un dialogo che va oltre l’arte stessa, educare allo sguardo significa educare a una scelta di vita. Cercare una modalità di linguaggio che possa interessarli, coinvolgerli e farli entrare in relazione con me, tra loro, con l’arte e con gli artisti, diventa esso stesso strumento di apprendimento e di apertura di nuove possibilità di dialogo. È un mettersi continuamente in gioco, è un’esperienza intensa! Inoltre, riuscire a trovare un linguaggio che mi permette di attrarre i giovani al museo, significa sensibilizzare gli adulti di domani, sia come fruitori sia come coloro che dovranno occuparsi di tutelare e valorizzare il nostro patrimonio... e trasmetterlo a loro volta!

Voce segreta: L’arte è un’attività umana inscritta nel tempo, è necessario non dividere ciò che è storico da ciò che è contemporaneo. La necessità fondamentale è quindi mettersi in gioco, sia da parte di chi propone degli strumenti di lettura sia da parte di chi è il destinatario di quegli strumenti stessi. È difficile creare un dialogo e non un’esposizione di monologhi, per questo la vera differenza è data dal mettersi in gioco. Mettersi in gioco significa presupporre di non aver ragione. Sicuramente il pubblico che vuole conoscere presuppone di non avere una visione totale. E l’artista riesce? Forse nell’opera l’artista cerca La Verità, ma la possibilità dell’incontro lo mette in discussione, può valutare la propria ricerca, valutare se è ancora valida, perché verbalizzandola la può vedere.

Quasi non riesco a star ferma nel letto, è mezzanotte passata... rivedo e riassaporo le ultime ore di questa giornata. L'emozione di un inizio, l'emozione per l'emozione degli altri, dei loro sguardi alle opere, dei loro commenti partecipi. L'emozione di un lavoro che non smette di darmi spunti di vita; un lavoro che mi apre all'ascolto dell'altro attraverso la visione di chi dell'Arte ne fa un obiettivo, un prendersi cura di se stesso e degli altri. Apro messenger e scrivo a Ilaria (è proprio al piano di sopra, sento che come me si gira e rigira nel letto...), le ri-scrivo una frase che ci accompagna da quando abbiamo iniziato a lavorare insieme a questa edizione degli incontri (ottobre 2013): *Oggi più che mai, l’arte ha molto da dire. "Se diciamo che l'arte, tutta l'arte, non ha più rilevanza per le nostre vite, allora potremmo almeno porci la domanda 'Che cosa è accaduto alle nostre vite?'."

La domanda consueta "Che cosa è successo all'arte?" (Jeanette Winterson, L'arte dissente) rappresenta una via di fuga troppo facile?

... Rispondo con una citazione di Blanchot: “L’opera è opera solamente quando diviene l’intimità aperta di qualcuno che la scrive e di qualcun altro che la legge. Lo spazio violentemente dispiegato dalla contestazione reciproca del poter dire e del poter di intendere, del poter mostrare e del poter guardare”. È la vita. È tutto quell’aspetto invisibile della vita ciò che l’arte ha il potere di mettere a fuoco, facendo sentire, portando alla luce, ciò che non si può dire.

Voce segreta: La vera domanda è: perché ci facciamo domande sulla nostra vita e sull’arte?

Per tutti loro, per i quasi quaranta alunni di Ilaria, io sono “la signora con la macchina fotografica che lavora con la prof”. Ragazzi di diciassette anni che sono lì per il progetto didattico di approfondimento tematico e di lettura dell’immagine pensato per loro, all’interno del progetto degli Incontri, per dar modo di riflettere sui metodi, sulle motivazioni e sui contenuti dell’Arte contemporanea.

Quale importanza hanno la mostra degli artisti invitati e i laboratori all'interno del percorso degli incontri al museo?

Un’importanza fondamentale, perché questo progetto non è solo una mostra, o una visita guidata o un laboratorio per ragazzi. Così come non è un semplice incontro, una conversazione. Questo progetto è uno strumento per una visione di possibilità. Ha tutte le caratteristiche di un’opera d’arte: c’è il momento dello studio, la preparazione necessaria ad accogliere l’idea per poi svilupparla. C’è il momento della relazione, il dialogo al presente con il passato per dar vita a un possibile futuro, infine il momento della creazione del manufatto. Per arrivare all’incontro e partecipare a una conversazione c’è bisogno di sapere cosa si va ad ascoltare e chi lo dice. La mostra, che dispiega nelle sale del museo il dialogo tra passato e presente, tra gli artisti di ieri e quelli di oggi, mi dà la possibilità di far capire che il contemporaneo è sempre collegato al passato e di cercare e dimostrare quali siano le risonanze e perché esistono. I laboratori mi permettono di dare ai ragazzi la possibilità di confermare ciò che hanno visto e studiato, di metterlo in relazione e svilupparlo in un elaborato scritto realizzando, infine, la loro “opera d’arte”. Il piano di dialogo tra me e i miei studenti diventa paritario nel momento in cui loro svelano il proprio punto di vista attraverso l’analisi e la creazione del manufatto. Si arriva poi all’incontro con gli artisti, e il dialogo che nasce in quell’ora o più, può dirsi compiuto, in quanto dialogo aperto e consapevole.

Voce segreta: La relazione è a priori.

Sono le 15.30 del 22 aprile, Giorgio Tentolini è qui a casa di Ilaria Margutti, ci prepariamo per il primo incontro con il pubblico, l'incontro, manca un'ora, il tempo di un caffè e poi ci si muove verso il museo. Entriamo nella Sala del camino, la sala che ospita gli incontri, prepariamo tutto - proiettore, tavolo, sedie. Siamo tesi e in attesa. Ore 17.20, la sala è piena: si comincia. Dalle voci di Ilaria e di Giorgio trabocca la voglia di accompagnare i presenti in un viaggio visivo ed emozionale. Dal posto in cui sono io, ciò che vedo mi dà un senso di vertigine: il Polittico della Misericordia di Piero Della Francesca alla mia sinistra, oltre la soglia che separa le sale, e alla mia destra la proiezione delle opere di Giorgio, quei suoi corpi diafani, legati ai concetti di tempo, memoria, apparizione. L'incontro, comincia a prendere forma: Giorgio, Ilaria, il pubblico... mi è sembrato evidente che tutto si muovesse assecondando il ritmo del tempo scandito dalle immagini delle opere e da un dispositivo di presentazione, di riflessione aperta e consapevole, che ha visto il coinvolgimento in prima persona di tutti i presenti.

Giorgio cosa ti ha spinto ad accettare l’invito di Ilaria?

La possibilità di condividere tempo e spazio creativi è sempre un’opportunità straordinaria e quando mi è stato proposto da Ilaria Margutti di partecipare agli incontri ne sono stato entusiasta. Il progetto in quattro anni ha visto la presenza di artisti, sia quelli che mi hanno preceduto sia quelli che sono miei compagni di viaggio in questa edizione, con i quali sono felicissimo di poter dire di aver condiviso un importante progetto, una nuova entusiasmante sfida per portare l’arte a tutti e tutti all’arte. Inoltre, ovviamente, esporre le mie opere in una cornice come quella del Museo Civico di Sansepolcro, al fianco di alcune tra le opere più importanti della storia dell’arte, è una preziosa occasione di accrescimento individuale, un‘esperienza decisamente importante per un artista.

Ilaria, che tipo di relazione cerchi di instaurare tra te, l’artista che hai invitato e il pubblico? E, a quale pubblico vuoi rivolgerti?

Fra me e l’artista... prende corpo tutta quella mia voglia di indagare il processo di ricerca che porta alla realizzazione di un’opera d’arte. E parlo di processo di ricerca e non di processo creativo, perché quest’ultimo, che è una necessità umana, è un punto da cui partire per realizzare un’opera ma non è il punto in cui un’opera è contenuta, come succede invece nel caso del processo di ricerca. Essere a fianco di un artista mi permette, vivendo entrambi le stesse tensioni, paure, fragilità, di instaurare un processo di comprensione e di svelamento, non solo l’uno nei confronti dell’altro, ma anche di ognuno nei propri confronti... è quasi come poter vedere dove stiamo andando. E il pubblico ha così la possibilità di comprendere e di sentirsi compreso in quello sforzo, nella cura e nell’attenzione necessarie alla creazione dell’opera. E con questo mi riferisco a tutto il pubblico che sente il bisogno di utilizzare uno strumento in più oltre lo sguardo.

Voce segreta: Privato e pubblico. Coperto e svelato. Cerchiamo forse di far parte di qualcosa che è più grande di noi? La parola. L’opera. Ne sono il mezzo?

Il secondo appuntamento con il pubblico è quello del 29 marzo con Marco Baldicchi, l’artista di Città di Castello impegnato in un percorso di ricerca dal profondo significato civile, etico ed estetico. L’inclinazione che occupa e preoccupa più di ogni altra cosa Marco, è, infatti, un’attitudine alla concezione della forma come valore testimoniale: la sua opera non ha cedimenti narrativi, condivide il destino dell’evento con cui si incontra, non emette sentenze, semplicemente celebra il sacro della vita e trasmette un messaggio di bellezza e di speranza.

Marco cosa ti ha spinto ad accettare l’invito di Ilaria?

Mi sono sentito onorato nel ricevere l'invito di Ilaria Margutti a partecipare a Il museo incontra il Contemporaneo, perché la trovo un'iniziativa importante e stimolante, un'idea forte che apre la tradizione di ieri con quella che si spera sarà la tradizione del domani. Inoltre la sede è tra le più prestigiose del mondo, ed è motivo questo di una seria riflessione sul proprio percorso. Tremano i polsi al solo pensare chi alberga in quelle sale.

Ilaria, deve esserci un ben preciso tipo di ricerca in un artista che decidi di coinvolgere?

Con il progetto degli “incontri al Museo” parliamo di far entrare opere d’arte contemporanea in un contenitore immobile di immagini che raccontano la nostra storia, Longhi non avrebbe mai permesso di far dialogare storia e contemporaneo nello stesso spazio, certamente bisogna entrare in questo luogo con molto rispetto e attenzione sia per le opere contenute, sia per i visitatori che non sono preparati al confronto con il presente in un contesto deputato al passato. Gli artisti che fino ad ora ho invitato, sono ancora molto giovani rispetto all’idea che si può avere di maturità artistica, quindi è fondamentale che la loro ricerca possieda quell’onestà intellettuale consapevole delle opere con le quali andranno a confrontarsi e della forma visiva dei loro lavori. Le opere che vengono esposte nel museo, devono quindi tener conto sia dello spazio fisico sia del suo contenuto e la scelta non la faccio mai da sola, ma attraverso un dialogo attento con l’ospite. Cerchiamo insieme la proiezione più adatta alla contingenza espositiva.

Voce segreta: una ricerca personale che permetta una ricerca in relazione. L'artista invitato ci fornisce una lente alla quale ognuno di noi assembla la propria.

Il 5 aprile Federica Boràgina e Giulia Brivio arrivano al Museo per presentare il loro progetto editoriale, Boîte. È la novità di questa quarta edizione: il percorso del museo storico si fa cornice non solo per una possibile lettura dell’opera contemporanea, ma anche per una ricerca-poetica editoriale. Le due storiche dell’arte sono le ideatrici di un innovativo magazine d’arte contemporanea, contrassegnato da un approccio focalizzato sul riconoscimento dell’importanza della Storia e dell’interdisciplinarietà per comprendere la contemporaneità e da una linea editoriale molto originale: tiratura limitata e scatola di cartone per custodire fogli sciolti, scritti con la passione di chi ama l’arte contemporanea e ha voglia di studiarla, di approfondirne la conoscenza, di renderla curiosa, di indagare il suo significato. Un invito a uno sguardo, un suggerimento che punta a coinvolgere il lettore, fino a spingerlo a riempire la scatola di cartone anche con altro, non solo con i fogli della rivista. Federica e Giulia mi raccontano di aver scelto di accettare l’invito di Ilaria per due ragioni: “da un lato perché la rassegna agisce in una direzione a noi molto cara, ossia il dialogo fra la storia dell'arte e l'arte contemporanea; dall'altro perché prevede il coinvolgimento delle scuole: la riduzione delle ore di storia dell'arte priva i giovani di maturare una consapevolezza culturale e nega loro le basi per comprendere l'arte contemporanea. Crediamo che la cultura, in un libro o in una mostra, possa cambiare la vita: è per questo che realizziamo Boîte.

C’è un’osservazione di Federico Ferrari fatta di domande, domande che ho imparato a farmi ogni volta che mi avvicino a un’opera, a una mostra, agli artisti: "Rispetto a quale tempo noi saremmo contemporanei? Esiste un unico tempo uniforme, continuo e sempre identico, con il quale si tratterebbe di mettersi in sintonia? Oppure si danno più tempi, fratture e cesure profonde nella durata e quindi più contemporaneità possibili? E, riguardo al tema dell'arte, rispetto a quale tempo la pratica artistica sarebbe o dovrebbe essere contemporanea? Rispetto al tempo della tradizione della propria disciplina, oppure rispetto al tempo del mondo, alla contingenza dell'oggi?"

#####Ilaria tu che risposte dai a queste domande?
Hai citato Federico Ferrari, ti rispondo con una visione che condivido riguardo al suo punto di vista innovativo rispetto al pensiero di molti intellettuali storici. Il Museo è l’Istituzione che decontestualizza il patrimonio artistico, in quanto tutto ciò che è conservato nel museo di per sé, non dovrebbe essere lì, ovvero le opere non sono state fatte per essere nel luogo immobile che definiamo museo. Lo spazio espositivo, ci permette di conservare e non perdere la memoria storica, ma una volta che l’opera è tolta dal luogo deputato per la sua esistenza, diventa immobile nel suo mostrarsi e resta priva del suo significato intrinseco, per comprenderla nella sua totalità originaria, dovrà dunque essere accompagnata da una narrazione che la spieghi. Per questo lui definisce che l’idea del “Patrimonio Vivente” avrà luogo solo quando si aprirà un dialogo concreto tra presente e passato. Relazionandoci con il passato, conserviamo la nostra memoria in un dialogo continuo e allo stesso tempo ci diamo la possibilità di abitare il presente. Ogni generazione è chiamata a scrivere la storia e i punti cardine che fino ad ora abbiamo ritenuto validi, oggi non possono più essere efficaci per una società completamente diversa da ciò che era nel recente passato. Il patrimonio diventa vivente solo quando ci collocheremo in una posizione differente rispetto al punto di vista dal quale fino ad ora, abbiamo guardato il Contenitore/Museo. Lo spostamento è necessario affinché si crei il dialogo che permetta una visione possibile del presente. Quindi rispondendo alla tua domanda, credo che, sia il tempo che l’opera, debbano fluire di un trascorrere continuo, non immobile e ripetitivo, ma mutabile e consequenziale.

Voce segreta: forma e funzione... Citando Didi-Huberman... Di fronte all'immagine: di fronte al tempo...

Il 12 aprile si conclude con Marcello Carrà il mese di incontri con l'arte contemporanea al Museo Civico di Sansepolcro. L’affermato artista ferrarese noto sia a livello nazionale che internazionale per la sua stupefacente e visionaria produzione artistica, un unicum di opere, di grandi e piccole dimensioni, disegnate a mano libera con il tratto della penna Bic, mi racconta: "Credo che la proposta di Ilaria al Museo Civico di Sansepolcro, che non si ferma alla mera esposizione delle opere di quattro artisti, ognuno con un suo prezioso percorso personale, ma cerca di approfondirne la poetica tramite questa serie di incontri, rispecchi quello che deve essere davvero lo spirito dell’arte contemporanea, ovvero un dialogo reale e reciprocamente utile tra artista e spettatore, che arricchisce i punti di vista di entrambi. Trovo quindi che sia un progetto esaltante, soprattutto per gli artisti, che nel confronto con il loro pubblico ricavano sempre stimoli inaspettati". Incontri al Museo si definisce come una vera e propria pratica creativa, che non si limita ad analizzare il significato dell’arte, ma che lo rende attivo e lo trasforma. È un atto di responsabilità e consapevolezza dell’essere artefici, nel proprio tempo, del confronto e del dialogo tra molteplici temporalità, per mettere in movimento la realtà e suscitare risposte inattese.

Ilaria che valore ha per te il tempo?

Sono qui nel mio tempo per imparare, quindi per me ha un valore evolutivo.

Voce segreta: il tempo è come la riva di un fiume, scorriamo noi, lui è eterno. La ricerca della consapevolezza ci permette di rallentare il nostro scorrere. Di fronte a un'opera si ferma e noi vediamo passato, presente e futuro.

11 maggio 2014, domani: Siamo arrivati alla fine, e anche questo pezzo del mio presente è già diventato passato. Ma questo incontro nel tempo presente dialogando con il passato per la costruzione di una possibile visione del futuro prossimo, sono sicura abbia già determinato un mutamento, un’apertura, uno spostamento e che sia già sintomo, soglia.

Ilaria, per te, artista accanto agli artisti, il progetto degli incontri è un medium, un itinerario di ricerca, un luogo di creazione di un'opera?

Tutti e tre. Come artista, diventa un medium di confronto, profondo e indispensabile, una volontà vitale d’indagine per la creazione di un’opera. Non mi sento la curatrice di un progetto o di una mostra, sento semplicemente di seguire un percorso di ricerca e conoscenza per imparare io per prima, a vedere “l’invisto” (anche qui cito Federico Ferrari il quale ha spesso usato questa parola per definire ciò che dell’opera esiste, ma non vediamo).

Voce segreta: silenzio.