All around me are familiar faces
Worn out places, worn out faces
Bright and early for their daily races
Going nowhere, going nowhere
Their tears are filling up their glasses
No expression, no expression
Hide my head I want to drown my sorrow
No tomorrow, no tomorrow
And I find it kinda funny
I find it kinda sad
The dreams in which I’m dying
Are the best I’ve ever had
I find it hard to tell you
I find it hard to take
When people run in circles
It’s a very, very mad world mad world

(Gary Jules, Mad World)

La sagoma di una donna bianca, con un buco al posto del cuore. E da questo foro sgorga in un flusso inarrestabile, dell’acqua, la stessa acqua nella quale la donna è immersa. No expression, no expression... gli occhi anch’essi fessure so dark, so deep, non sono che ombre, come il naso, i capelli e la camicia dalla quale la protagonista sembra spogliarsi per farci vedere.

Ma per farci osservare cosa? Questo sparo, ferita che è diventato vuoto e accesso di un flusso quasi inquinante. Come non pensare allora alla spersonalizzazione e all’inquinamento semiotico che oggi ci troviamo a subire? Come non ricordare i discorsi di Paolo Rosa nell’"Arte fuori di sé?". Quando l’artista fondatore di Studio Azzurro voleva farci intuire che il pericolo dell’anestesia dilagante è tra noi, e la paura di non riuscire più a sentire niente non è pura retorica.

MP5 street artist italiana, ma non solo, anche illustratrice e scenografa, animatrice e fumettista, ci ha regalato in occasione dell’edizione del Cheap Festival 2013 una sopraffina riflessione sulla società della quale portiamo le mutande, attraverso una serie di poster che avevano come soggetti uomini e donne alienate nel flusso di segni, segnali, informazioni, oggetti, stimoli, idee dei quali quotidianamente siamo sommersi.

Un’eccedere che porta a uno svuotamento. Un sentire che è congelato e sfondato. Con studi di scenografia per il Teatro all’Accademia di Bologna e animazione stop-motion alla Wimbledon School of Art di Londra, MP5 nel 2003 inizia a sperimentare la propria creatività attraverso la Public art, si concentrerà sulla street che la vedrà e la vede tutt’ora protagonista sul territorio europeo. Francia, Svizzera, Italia, Spagna, Germania, Crozia, MP5 lascia sui muri di questi luoghi tracce del suo immaginario calibrato da una cromia à plat, che si staglia tra il bianco e il nero in maniera prevalente. Il suo immaginario bidimensionale attinge dal mondo dell’illustrazione e del fumetto e i suoi personaggi sembrano tanti Donnie Darko alienati.

MP5 narra su grandi dimensioni, e fa del nero un prezioso amante che raramente può bandire all’angolo. Il nero è l’unico despota di questo multi verso. Un elogio al nero. Un nero liquerizia, notte, inchiostro, pece, grafite, petrolio. Un nero senza peso, ombra che delimita e contorna precisamente confini e corpi, volti o animali. Un nero che dà forma al suo opposto, a un bianco, stirato, teso, lavato, accecante, da cancellazione imminente. *The dark side of the moon... *attraverso un'inquietudine costante MP5 ci racconta storie, racconta a noi di noi.

Every year is getting shorter,
never seem to find the time
Plans that either come to naught
Or half a page of scribbled lines
Hanging on in quiet desperation is the English way
The time is gone the song is over,
Thought I'd something more to say…

Scene perturbanti, quasi angoscianti, apocalittiche, paurosamente noir. Scene epiche e ancestrali per il muro in Svizzera, "Minotaur or the red string of fate". Una chiaroveggenza bestiale vede il fato di un rosso vivido, che spacca, o macchia l’equilibrio di bianco e nero, diventando neo carico di sguardo. Un rosso fuoco che si traduce in “Full of fire” a Siviglia, dove un “Donnie” anonimo e spersonalizzato, sagomato, incendia tutto, e allora sì che le fiamme bianche assumono concretamente l’azione cancellante. Il nulla si manifesta anarchico e prende forma tramite l’apatia di un qualsiasi ragazzo con istinti piromani.

I fantocci si assoldano a bulloni, la meccanica sovrasta l’umano come in echi chapliniani l’uomo dei tempi moderni perdeva il ritmo biologico per assumere quasi come un contagio le leggi della produzione meccanica. Così dipinge MP5 in Croazia, sempre attenta all’uomo, all’ambiente e ai reciproci influssi che uno ha sull’altro. Nei buchi dell’esistenza ci sono anche quelli provocati da una pioggia nera e malsana, troppo minacciosa e incisiva per non potere farci i conti. Un’alluvione di colpe, una pioggia acida che si abbatte sui suoi fautori, disperati. Cosa ne è delle risorse in questo… mad mad world?

MP5 dipinge tubi, condotti, ma anche prese elettriche che si snodano come nervi scoperti su sfondi ecologici e troppo green come a l’Aquila. Contrasto e racconto, critica. Personaggi che si snodano nella solitudine del loro grottesco disagio, elevati a grandi icone postmoderne, ormai consce di una perdita di centro, di una confusione palpitante e di una difficoltà dell’esistenza e della definizione di genere che si annienta in fantocci esanimi e stereotipati. Vengono le vertigini a fissare lo sguardo interstiziale di questi popoli erranti (o errati?), precipizi bui, so deep, so dark. Pupi di un teatro di strada a cielo aperto che trovano l’elan vital in quel nero tra il fantastico e l’austero, going nowhere, going nowhere…