Sfuggente, a volte incomprensibile, sempre diversa. È l’arte contemporanea: un mondo straordinario che appassiona e divide, coinvolge e disorienta, crea dibattiti e genera sviluppo.

Può la sociologia aiutarci a comprendere l’arte contemporanea? Ci ha provato con grandi risultati il sociologo francese Pierre Bourdieu che nella sua lunga e variegata carriera ha privilegiato un approccio all’arte e alla cultura in base al quale queste sono state intese come strumenti di dominio e di distinzione. Per Bourdieu il campo dell’arte contemporanea acquisisce una propria autonomia nella Francia di fine ‘800 grazie al movimento impressionista che si libera dalla dipendenza da mecenati e committenti e soprattutto dall’Accademia fino ad allora unica e assoluta detentrice del monopolio di definire cosa potesse essere definito arte e chi potesse essere considerato artista. La fine di quel giudizio dato uno volta per tutte dall’Accademia apre così il campo a istituzioni e artisti che concorrono e lottano tra di loro per la legittimità artistica, cioè per il potere di definire cosa sia arte e chi sia un’artista.

Occuparsi di sociologia dell’arte oggi significa partire proprio dall’eredità culturale di Bourdieu trovando però una strada autonoma e attuale poiché se il modello di Bourdieu elaborato nel periodo d’oro dei movimenti artistici degli anni ‘60-‘70 risulta perfettamente applicabile alla storia artistica sviluppatasi fino a quel momento, che vede contrapporsi movimenti e avanguardie portatori di visioni diverse e contrapposte, con la fine delle avanguardie e l’avvento della Transavanguardia tale modello sembra vacillare in quanto sembra radicalizzarsi una unica e comune visione artistica appiattita sul modello dominante americano. A partire dagli anni ’80 infatti inizia a prendere corpo il cosiddetto “sistema dell’arte”: le gallerie, rendendosi conto che l’investimento su un determinato artista può rivelarsi molto più redditizio solo se basato sull’attività congiunta tra artisti, critici, mercanti e case d’aste (cioè solo se si è tutti d’accordo), si sbilanciano verso investimenti sostanziosi e a breve termine su talenti all’inizio della carriera evitando di attendere il lento processo di consacrazione che fino ad allora aveva trionfato. Gli anni ’80 però registrano un’altra grande trasformazione: artisti dotati di un discreto capitale economico investono su loro stessi e sulla loro arte diventando manager di se stessi a prescindere dall’aiuto di galleristi e critici d’arte. Emblematica in tal senso la figura dell’artista americano Jeff Koons.

Gli anni ’90 sono gli anni della globalizzazione e del multiculturalismo che nel campo artistico significa messa in discussione dell’egemonia culturale europea e nordamericana (in seguito alla caduta del muro di Berlino) e l’inclusione di figure quasi sempre marginalizzate nel passato come le donne e le cosiddette minoranze etniche, sociali, culturali, sessuali, ecc. conducendoci verso una sorta di ampliamento della cittadinanza artistica. Sono gli anni della perdita di fede nella storia e nell’idea di progresso come punto di riferimento cercando di andare oltre i limiti, oltre i confini non solo di tipo geopolitico o culturale ma anche di tipo genetico e umano (come fanno per esempio Mattew Barney, Orlan o Stelarc che modificano la loro umanità a partire proprio dai progressi della scienza oppure come fanno Cristiano Pintaldi, Glenn Brown, Alberto Di Fabio o Alessandro Moreschini che competono attraverso il loro virtuosismo con le nuove tecnologie). Il 2000 se non determina nessuna novità in termini di generi artistici segna invece l’arrivo in occidente di artisti provenienti da territori extraoccidentali come per esempio l’artista cinese Wang Qingsong che riflette nelle sue opere proprio sul rapporto tra Oriente e Occidente.

Com’è cambiato in questi anni il ruolo del museo? Che ruolo hanno oggi i mecenati privati? Il futuro dell’arte sono le contaminazioni artistiche tra il campo dell’arte e gli altri campi sociali? Com’è cambiato il consumo culturale? C’è ancora posto per la responsabilità? Diversi sono quindi gli scenari artistici in trasformazione… per comprenderli dobbiamo avvicinarci al mondo dell’arte senza pregiudizi e con grande umiltà. Dobbiamo registrare i cambiamenti del mondo artistico senza condizionarne con le nostre valutazioni gli esiti. Dobbiamo ascoltare il messaggio degli artisti e credere con loro a un possibile cambiamento. Dobbiamo sostenere una democrazia sostanziale basata sulla formazione libera e sull’esercizio critico e responsabile delle nostre attività.

Raffaele Quattrone (con un’introduzione di Michelangelo Pistoletto e una conversazione con Wang Qingsong), IN ITINERE. Arte contemporanea in trasformazione, EQUIPèCO, Carmine Mario Muliere, 2014.