Le parole e le immagini nascono entrambe dal gesto fluttuante della mano. Nello scorrere su una superficie la mano lascia dei segni, che sono traccia d’idee e memoria di un passaggio. La scrittura è anche desiderio di registrazione e necessità di memoria. Il linguaggio ha un’energia che si sprigiona in molte direzioni, le lettere oltre ad avere un senso e un suono legato alle convenzioni linguistiche, sono anche segni tracciati sul foglio; per questo motivo oltre al significato semantico che possiedono, sono leggibili anche come immagini.

Fare arte con le parole ha del magico, lo avevano compreso gli artisti del passato. Questo gesto antico affonda le sue radici nella storia dell’arte. Quando s’iniziò a incorporare la scrittura nella pittura il fenomeno ebbe un carattere “religioso”, anche se successivamente perse questa connotazione sacra e si continuò con la pratica, giunta fino nella nostra contemporaneità.

In principio la scrittura (presente in molte opere d’arte antica) spesso si rivolgeva a un utente che non sapeva leggere: fare arte con le parole significava quindi sfruttare il potenziale visivo dei testi scritti, lettere e parole assumevano in queste opere una forza magica, sono infatti innumerevoli le opere del passato dove i caratteri sono disposti a formare immagini e architetture di lettere. La scrittura dunque fungeva anche da elemento decorativo. Nel caso della scrittura araba, nell’arte dell’Occidente, è possibile trovarla impiegata come motivo ornamentale in testimonianze che risalgono ai tempi di Giotto. I miniatori medievali avevano compreso che le parole sono fatte anche per essere viste, trasformavano ad esempio il capolettera in un’opera d’arte figurativa utilizzando forme geometriche e motivi ornamentali; questi testi oltre al loro contenuto letterario si prestano tuttora a essere osservati per le loro caratteristiche estetiche.

A ritroso nel tempo, tre secoli prima di Cristo nella Grecia ellenistica, abbiamo la testimonianza delle “poesie figurate”, ad esempio nei componimenti del poeta Simmia di Rodi, che creava opere paragonabili ai calligrammi di Guillaume Apollinaire e alla successiva «poesia visiva». Tra i soggetti raffigurati possiamo ammirare un’ascia e delle ali, e altre testimonianze come la siringa (flauto di Pan) opera del poeta Teocrito. I latini chiameranno queste composizioni carmina figurata: un esempio è l’opera di Rabano Mauro (780-856 d. C).

Durante tutto il Medioevo e il Rinascimento si continueranno a creare componimenti poetici che graficamente si dispongono per creare svariate forme di oggetti. Di fatto non si smette mai di comporre “poesie figurate”, con modalità e finalità diverse secondo le epoche. Nel 1872 Arthur Rimbaud nella sua poesia intitolata Vocali associa in una sola immagine o definizione elementi tratti da campi sensoriali differenti (sinestesia). Il poeta associa nello stesso tempo un suono, un colore e una forma grafica a una vocale (la A è nera, la E è bianca... ); le parole, più che per il loro significato, sono usate perché stimolano l'udito e la vista, evocando una serie di immagini che rinviano ad altre che sorgono misteriosamente per processi inconsci, e diventano simboli di altrettanti stati d’animo. Le lettere e le parole magiche sono una realtà nel mistero, come forse avveniva all’alba dell’umanità, quando ancora le parole non erano caricate del loro valore logico. Rimbaud scegliendo di non motivare le relazioni tra parole ed evocazioni sonore e visive, in un processo personale e magico, ritrova una dimensione originaria delle parole dimenticata da quando gli alfabeti trionfarono sui geroglifici e la scrittura perse parte della sua efficacia visuale.

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
io dirò un giorno i vostri ascosi nascimenti:
A, nero vello al corpo delle mosche lucenti
che ronzano al di sopra dei crudeli fetori,

golfi d'ombra; E, candori di vapori e di tende,
lance di ghiaccio, bianchi re, brividi di umbelle;
I, porpore, rigurgito di sangue, labbra belle
Che ridono di collera, di ebbrezze penitenti;

U, cicli, vibrazioni sacre dei mari verdi,
quiete di bestie ai campi, e quiete di ampie rughe
che l'alchimia imprime alle fronti studiose.

O, la suprema Tromba piena di stridi strani, silenzi attraversati dagli Angeli e dai Mondi:
- O, l'Omega, ed il raggio violetto dei Suoi Occhi!

Arthur Rimbaud (1854-1891), Vocali (1874).

L’eredità poetica di Rimbaud fu presto raccolta. Nel ventesimo secolo il potenziale visivo dei testi scritti si realizza attraverso i calligrammi e la poesia visuale. Gli artisti, mettendo in atto una sapiente disposizione delle lettere e delle parole, danno forma a una composizione figurativa che porta alla realizzazione di innovative opere d’arte. Il poeta Guillaume Apollinaire fu un importante autore di calligrammi: nella sua opera trattava i testi poetici distribuendoli in modo da creare un’immagine che era legata allo stesso contenuto scritto.

Questo passaggio contribuì alla nascita di altre forme di testi visivi, “le parole in libertà”; artisti come il poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti e Fortunato Depero indagarono e svilupparono anche un altro importante potenziale visivo dei testi scritti: il loro suono, che iniziarono a raffigurare attraverso lettere e parole scritte con una grafica nuova. Nei loro componimenti le parole evocano rumori, boati, rombi: le parole non hanno più un significato vero e proprio ma acquistano “voce”.

Durante il periodo delle avanguardie del Novecento molti artisti hanno sviluppato ulteriormente i rapporti che intercorrono tra la scrittura e l’immagine, che nelle varie correnti artistiche sono stati oggetto di indagini e sperimentazioni attraverso mezzi espressivi diversi, un esempio sono i collage cubisti e futuristi, alcuni artisti dell’Unione Sovietica che accolsero le parole libere e inventarono un linguaggio che contaminava parole e immagini, i dadaisti, i surrealisti come il pittore René Magritte che realizzò opere dove comparivano testi, parole e lettere: nella sua famosa opera Questa non è una pipa l’autore (sotto la raffigurazione di una pipa) scrisse negando l’oggetto che compariva raffigurato nel quadro. Magritte dedicò anche un saggio teorico a quest’argomento, Les mots et les images; altri importanti contributi si trovano nell’opera di Duchamp e nella pop art.

Un momento centrale nella vicenda della parola avvenne con le varie correnti concettuali degli anni Sessanta. In questo periodo si iniziò una riflessione sul potere visivo ed espressivo del linguaggio come nuovo medium del fare artistico. Con l’arte concettuale si analizzarono visivamente le problematiche che sono connesse all’utilizzo del linguaggio. Durante questo tempo si ha l’impressione che si sposti l’attenzione dall’arte al linguaggio a causa dell’ampio uso del linguaggio verbale nelle arti. Molti artisti svilupparono opere in cui indagavano e sperimentavano, anche attraverso l’uso dei nuovi media tecnologici, tale tematica; tra questi le opere al neon di Mario Merz, le combinazioni di parole operate da Alighiero Boetti, le parole cancellate di Emilio Isgrò.

L’indagine sulla parola coinvolse importanti protagonisti dell’arte come Joseph Kosuth che nel 1965, realizza l’opera One and Three Chairs (Una e tre sedie), che comprende una vera sedia, una sua riproduzione fotografica e un pannello su cui è stampata la definizione da dizionario della parola “sedia”. L’artista crea in quest’opera un’affermazione tautologica, perché è letteralmente ciò che è affermato sia: Joseph Kosuth intenzionalmente desidera richiamare il fruitore a meditare sulla relazione tra immagine e parola; altri artisti che hanno portano avanti queste tematiche sono Pier Paolo Calzolari, Joseph Beuys, Lawrence Weiner e i vari esponenti di Fluxus.

In questo periodo ci s’iniziò anche a liberare dalla repressione della griglia tipografica; le opere, potendo convertirsi in espressione sonora, presero anche altre forme, grazie alla videoripresa. La parola “acquistò” colore e movimento mediante l’uso di led luminosi e della produzione video, in altre occasioni sembra essersi come smaterializzata, mutata, sonorizzata, e dilatata si unisce alla musica. Le indagini sulla parola hanno spinto, a volte, gli artisti verso il recupero di una forma di prescrittura o una specie di parola originaria, dove comunque resta spazio per frammenti di poesia o per suoni che giungono dal profondo.

Oggi la ricerca di un nuovo linguaggio che coinvolga la parola scritta si unisce a un’inedita realtà del mondo che appare tendenzialmente dominato dall’immagine visiva; in contemporanea si assiste anche a un progressivo e prorompente aumento dell'oralità, abbondantemente adottata anche grazie all'uso del video, delle tecnologie informatiche e dei progetti per il web.

Nella lunga storia che coinvolge la scrittura e l’immagine mi sembra che sia avvenuto un passaggio; prima la scrittura era indirizzata soprattutto a finalità teoriche o ideologiche, poi l'adozione di una parola scritta poetica e figurativa ha aperto la strada al potenziale visivo insito nelle lettere e i grafemi: questo passaggio è in linea con l’evoluzione avvenuta nel linguaggio e la comunicazione. Credo che uno stimolo forte al processo sia avvenuto grazie all’ampia diffusione dei testi scritti avviatasi con l'evoluzione dei mezzi di stampa e il vasto utilizzo dalla grafica pubblicitaria, il tutto mediato dalla possibilità d’uso di nuove tecnologie e della loro potenziale applicazione nelle arti.