Luca Perrone
Collabora con Meer da giugno 2016
Luca Perrone

Luca Perrone non riesce proprio a trovare uno pseudonimo. Inizia a creare adolescente: canta i testi punk scritti di suo pugno e composti con la banda di amici. Qualche mese dopo si appassiona all’arte visiva, crea installazioni concettuali, passa alla pittura. L’Accademia delle Belle Arti di Carrara decide di tentarlo a reagire come Adolf Hitler non ammettendolo, ma Luca non ci casca, è sportivo nella sconfitta e soprattutto pacifista. Il liceo classico ha tentato di storpiarne l’estro reprimendolo nel bigio tanfo stantio della classicità, ma la rivoluzione in petto e le conferme di Mark Twain in merito a quella propedeutica all’ospizio dello spirito ch’è l’istituzione scolastica, l’hanno salvato.

A diciotto anni si iscrive ai corsi della facoltà di filosofia di Genova e continua a cavalcare la spocchia anticonformista finendo per laurearsi a pieni voti praticamente da autodidatta. In quel periodo dipinge fino a tre tavole al giorno con acrilico ad acqua. Seguiranno lunghi anni di ricerca pittorica, accompagnati a quella letteraria. Partecipa entusiasta ad alcuni laboratori teatrali e si avvicina così ulteriormente al linguaggio di una delle forme espressive che considera più sublimi.

Il vezzo principale che distingue Luca Perrone è quello di lasciare incompiuti sparsi per il mondo, che si tratti di narrativa, quadri, installazioni, relazioni amorose. Proprio non riesce a riappacificarsi con disciplina alla compiutezza. La passione per il Genio lo porta a redigere due tesi di laurea sull’argomento. Il rapporto fra il genio e la follia sarà l’oggetto di studio della prima, affrontato a partire dalla vicenda umana del pittore Vincent van Gogh. Si dedicherà poi nello specifico allo studio della malattia mentale e della sua terapia, ottenendo per altro la pubblicazione di un proprio articolo su una rivista specializzata, destinata agli specializzandi in psichiatria.

Purtroppo la formazione di quest’artista impiegato, quella accademica perlomeno, risulterà in definitiva quella fuorviante, caleidoscopica e destabilizzante di un epistemologo, un filosofo della scienza. Fermamente deciso a prestare gratuitamente la propria opera di poeta nel corso della costruzione del ponte per l’Età dell’Oro, egli è alla continua ricerca della mano libertaria e onesta di un saggio editore che pungoli con scadenze e ultimatum la pigra penna e in ultimo, non certo per importanza, di un ristretto pubblico di affezionati in grado di seguirlo lungo gli scoscesi crinali su cui compie acrobazie intellettuali suicide.

Per Luca l’arte è celebrazione, l’unica vera religione. Scaturisce dall’Amore.

Con “Il Matto” si apre la narrazione a capitoli di un memoir incompiuto, che una stronzetta adorabile ha osato definire il mio capolavoro, ma va detto ch’è più amabile che obiettiva.

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