Manuela Tarsi
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Manuela Tarsi

Mi sono laureata in psicologia nel 2007 con una tesi in ambito etnopsichiatrico, considerando indispensabile il dialogo fra discipline. Nel 2009 avevo un master in antropologia delle migrazioni e qualche mese dopo ero alla frontiera tra Guatemala e Messico, pronta ad affrontare il viaggio migratorio verso gli USA, in compagnia di un gruppo di ragazzi centroamericani. Nacque un lavoro fotografico meraviglioso di Gabriele di Mascolo, mentre io mi occupavo del lavoro etnografico. Fu un’esperienza di grande impatto.

Il viaggio è sempre stato vitale, per me. Ma ciò che davvero amo, è convivere la quotidianità con gli eredi di culture millenarie, entrare nella loro cosmovisione, ricercare le radici, perché ritengo che ciò che dura, vale.

Mi fermai a vivere in Messico e là mi venne presentata una curandera, Pilar, una donna di 80 anni. Quel primo giorno, non ci girò intorno, mi disse: ‘Ti stavo aspettando. Fermati a vivere come!’

Ho convissuto con lei per un anno e mezzo. Mi ha iniziata alla conoscenza sciamanica e alla vita spirituale e io divenivo attrice di una profonda trasformazione. Nel tempo i taccuini non bastavano più, allora nel 2012 divenni antropologa visuale. Potevo finalmente riprendere con una cinepresa tutto quello che lei sapeva. E invece no. Pilar aveva lasciato il corpo e Latuvi e la mia telecamera senza un soggetto da riprendere.

Comunque tornai e realizzai un documentario. La gente del suo paese partecipò in coro e nell’assenza ricostruimmo la presenza. Il titolo dell'opera è Pilar, storia di una curandera (2015).

La cinematografia arricchì esponenzialmente il lavoro etnografico, incrementando l’archivio di immagini meravigliose.

Poi, venne l’incarico da parte del Ministero della salute di Oaxaca per realizzare una radiografia della medicina tradizionale in una regione dello stato. Nacque un documentario Ama’Yerba (2014). Il terzo documentario fu Salute dell’anima’, lavoro sulla ska pastora (Salvia divinorum) e sui suoi guardiani (2015).

Aver vissuto per anni in Messico mi ha avvicinata e dato licenza di partecipare alla vita di vari gruppi autoctoni e conoscere le usanze, le credenze, la visione del mondo delle comunità.

Rientrando in Italia ho pubblicato un primo libro dal titolo: Rimedi sciamanici (2016). E ho trasformato l’antropologia visuale in uno strumento di autonarrazione creando un laboratorio con donne vittime di tratta (2017). Nel 2020 ho deciso di professionalizzarmi in ‘Cinema Partecipativo’ affrontando con successo la prima scuola nazionale promossa da Zalab.

Un anno fa, grazie alla quarantena ho ripreso a scrivere, vedendo così rifiorire i miei appunti etnografici tra narrativa e memoria.

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