Il fine ultimo della psicoterapia: il rafforzamento

Normalmente si va dallo psicologo con l’idea di affrontare qualche disagio, più o meno grande e invasivo. L’obiettivo del paziente è perciò quello di “stare meglio”, di risolvere qualche problema che lo assilla, di migliorare i rapporti con gli altri, di sbloccare situazioni ripetitive. Non si pensa alla psicoterapia come a un modo per attivarsi, in maniera appunto “attiva”, rispetto a situazioni e a modalità consolidate, routinarie. Non si pensa alla psicoterapia come a un modo per mantenere una condizione di benessere, di forza, di salute. E non si pensa alla psicoterapia per rinforzare l’organismo nel suo insieme, per contrastare una malattia fisica, un indebolimento del sistema immunitario.

Eppure la relazione biunivoca tra la psiche e il sistema immunitario è ormai data per assodata, e comprovata da numerose ricerche, tanto che la disciplina nota come psiconeuroendocrinoimmunologia non si può più ormai definire una novità. Mai come adesso il tema torna alla ribalta, mai come adesso diviene evidente tale relazione, mai come nella disanima delle malattie autoimmuni. In una visione olistica, l’intervento di psicoterapia – spesso focale, specifico, mirato – diviene un utile strumento per far sì che il soggetto “prenda in mano la situazione”, acquisti capacità di azione rispetto alle potenzialità di difesa mirata dall’esterno.

La flessibilità per sfruttare la propensione al cambiamento

Purtroppo non sempre il desiderio di stare bene, di avere una qualità di vita migliore, trova il paziente disposto a cambiare qualcosa all’interno della propria vita. D’altra parte, i medici e gli psicologi all’interno di un lavoro di tipo olistico hanno ben presente che non si possono ottenere risultati clinici importanti e soprattutto duraturi senza un reale e importante cambiamento nell’ecologia comportamentale del paziente. Ciò è particolarmente vero in presenza di malattie cronico-degenerative. Fermezza e flessibilità sono caratteristiche richieste allo psicologo per occuparsi del paziente in una maniera nuova. Questi sono ingredienti essenziali della strategia per stimolare il paziente a una rapida e consapevole motivazione al cambiamento. La determinazione nel perseguire gli obiettivi concordati è proporzionale alla qualità del rapporto che lo staff clinico è in grado di sviluppare con il paziente; tale rapporto, naturalmente, non può che essere personalizzato.

Lo sfruttamento delle risorse inutilizzate

Già durante il rilievo anamnestico è importante individuare, perlomeno a grandi linee, le risorse di cui il soggetto ha bisogno, o di cui potrebbe disporre:
• le risorse di cui dispone sono quelle personali e quelle attinte dal contesto relazionale nel quale il soggetto è inserito. Sono risorse e possibilità che il soggetto utilizza normalmente o comunque sa di avere a disposizione
• le risorse che potrebbe avere sono quelle capacità o possibilità che il soggetto non utilizza perché non sa di avere, perché non è abituato a utilizzare, perché non ne vede le potenzialità, o perché teme qualche conseguenza.
Esiste insomma tutta una gamma di potenzialità che il soggetto ha ma che si presentano solo in nuce, inespresse, più o meno celate. Una volta individuate, tali risorse vanno “reclutate”, cioè chiamate in causa, visualizzate al soggetto stesso che non le vede o non le valuta appieno.

Non è necessariamente un elenco quello che va fatto al soggetto, spesso si rivela più utile un breve accenno, una considerazione detta “fra le righe”, “tanto per dire”, come sussurrata sotto tono: in questo modo, e con un tempo adeguato, cioè elettivamente quando il soggetto proprio non se lo aspetta, l’effetto è maggiore. Infatti la frase riesce ad agire in maniera per così dire “subdola”, come se un tarlo del dubbio si fosse instillato nella sua mente che, impreparata ad accoglierlo, si ritrovasse obbligata a ragionare su una cosa nuova, fino ad allora non considerata. Si tratta di una sorta di “sì, però”, un “certo che”, un “dimenticavo, stia attento che”, detti fuori tema, mentre si sta parlando di tutt’altro, oppure mentre ci si congeda. Il tarlo si instilla, e il soggetto è obbligato a riflettere per così dire “al contrario”, a ricercare egli stesso dentro di sé ciò che altri hanno visto fuori di lui.

Il reclutamento delle risorse ha così inizio: terapeuta e paziente si ritrovano alleati alla ricerca di strade nuove, inesplorate, attraenti, piene di potenzialità inespresse. L’installazione delle risorse poco o per nulla utilizzate può venire ulteriormente rafforzata con l’utilizzo dell’EMDR, una vera e propria terapia più che una tecnica. Un’azione che è in grado di stimolare le capacità cognitive di elaborazione delle informazioni e di ricerca di soluzioni. Nel suo complesso, questo lavoro sulle risorse permette un rafforzamento dell’Io, un miglioramento della capacità di affrontare le difficoltà che la vita presenta; in altre parole, migliora la cosiddetta “resilienza”, ossia la capacità del soggetto di resistere agli urti della vita, alle inevitabili difficoltà che la vita mette davanti a ognuno di noi.

Il rafforzamento del sistema immunitario

Reclutare le risorse, installare modalità di elaborazione cognitiva, potenziare la resilienza sono tutti interventi che agiscono positivamente sulla psiche del soggetto e che, secondo la dottrina neuropsicoendocrinoimmunologica si riflettono inevitabilmente sul sistema immunitario, ottimizzandone il funzionamento in relazione al contesto nel quale viene chiamato a operare. C’è un’abbondante letteratura su come il sistema immunitario sia strettamente correlato alla componente psicoemotiva di un soggetto. Tali concetti hanno costituito la base della riflessione psicosomatica, che è dottrina ineludibile per chiunque voglia interpretare l’atto clinico attraverso il complesso mondo delle medicine non convenzionali. A tale proposito vale la pena di fare una riflessione: il sistema immunitario di un soggetto ben compensato, meglio ancora, in equilibrio, favorisce il principio dell’adattamento e della selezione ai fini della sopravvivenza ovvero si seleziona chi ha acquisito la capacità di “giostrarsi” nel mondo, di adattare le proprie risorse in base a ciò che la situazione richiede in quel momento, e la finalità non può che essere quella di un dispendio energetico minimo per arrivare a un obiettivo.

Perché, già dall’asilo, si nota come alcuni bambini siano in certo senso predisposti ad ammalarsi spesso, e di certe malattie in particolare, mentre altri, a parità di ambiente sociale nel quale sono inseriti, sembra che siano, per così dire, restii ad ammalarsi? Ciò che fa la differenza è un insieme di fattori, che comprende l’integrità del sistema immunitario, l’equilibrio e la resilienza. Tale mix di fattori rende il soggetto “corazzato”, capace di giostrarsi, di adattarsi, di rendersi flessibile agli urti, non eccessivamente rigido né rigidamente sulla difensiva, non spaventato, bensì al contrario ottimista, fiducioso nelle proprie forze, nella capacità delle cose del mondo di “risolversi” in maniera positiva. Un soggetto in grado di fare così è un soggetto che, ai fini evolutivi, tende alla sopravvivenza, risulta vincente, come si dice “va avanti”. L’obiettivo ultimo è quindi sempre il mantenimento dell’essere vivente e della specie. La flessibilità ne è lo strumento.