Nel mondo antico la medicina laica o popolare praticata negli ambulatori e la medicina religiosa praticata nei santuari non furono in contrasto. Furono piuttosto due differenti modi di esercitare l’arte della guarigione. Se per la medicina laica il modello fu Ippocrate (V-IV secolo a.C.), che per primo fece della medicina un’arte a sé distinguendola dalla filosofia, per la medicina religiosa punto di riferimento fu il dio Asclepio. Attestato fin dal VI secolo a.C. il suo culto si diffuse rapidamente in tutta la Grecia dando origine a una serie di santuari, il più famoso dei quali fu senza dubbio quello di Epidauro nella regione greca dell’Argolide.

Generato dal dio Apollo e da una donna mortale di nome Arsinoe o Coronide, Asclepio apprese dal centauro Chirone l’arte della medicina superando in quest’ambito il padre. Divenne dunque abile nel curare le malattie prescrivendo ai pazienti farmaci medicamentosi, praticando l’incisione, ricorrendo a incantesimi. Proprio questa straordinaria abilità lo portò a superare i limiti del lecito: servendosi del sangue di Medusa, il mostro dalle chiome di serpente ucciso da Perseo, riuscì a riportare in vita un defunto. Suscitò così l’ira di Zeus che lo colpì con un fulmine uccidendolo.

Nei santuari di Asclepio erano presenti i suoi sacerdoti esperti anche essi nell’arte della medicina. Nei suoi interventi il dio era invece coadiuvato dai suoi assistenti: l’oca, il cane e il serpente. Quest’ultimo, rappresentato nell’atto di sormontare il bastone (caduceo) del dio, ancora oggi rimane il simbolo delle farmacie.

I pazienti sceglievano di rivolgersi ad Asclepio piuttosto che ai medici laici per motivi precisi: la gravità della malattia, spesso ritenuta inguaribile; il costo delle cure non sostenibile soprattutto da parte dei ceti meno abbienti; il desiderio di sottrarsi a interventi dolorosi quali l’incisione e la cauterizzazione praticati senza adeguati anestetici.

Arrivato al santuario il paziente seguiva un rituale ben preciso: entrato nella cella cadeva in un sonno profondo durante il quale il dio, personalmente o attraverso i suoi assistenti, lo guariva o gli suggeriva una efficace terapia. Delle guarigioni (vere o presunte) ottenute nei santuari, i pazienti lasciavano memoria su delle tavolette custodite poi nel tempio a prova della potenza del dio. Dalla loro lettura emergono quali erano in linea di massima le patologie per le quali essi si erano rivolti al dio: si trattava di casi di sterilità femminile (in un mondo dalla spiccata mentalità maschilista causa del mancato concepimento era sempre la donna); di calvizie; di gotta; di tumore; di calcolosi renale.

Tra le storie narrate non mancano davvero casi assai curiosi che raccontano di gravidanze straordinarie. Così una certa Cleò rimase incinta per cinque anni fino a quando, per intervento di Asclepio, partorì una bambina che, appena generata, fu in grado di recarsi da sola alla fonte e lavarsi. Allo stesso modo una certa Ithmonica, avendo ottenuto dal dio la grazia di potere concepire, dimenticò di chiedergli anche di potere partorire. Così rimase incinta per tre anni fino a quando diede alla luce una bambina.

Storie dunque intrise di verità e superstizione, generate anche dalla disperazione di fronte a mali ritenuti incurabili dai medici laici e miracolosamente risolti da Asclepio che, nato da un dio e da una donna mortale, appariva come una cerniera tra medicina religiosa e medicina laica.

Per maggiori informazioni sul tema trattato con fonti e bibliografia relativa:
G. Squillace, I balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, San Sepolcro, Aboca Museum, 2015