L’istinto alla cura si è evoluto nella storia dell’uomo in forme, dinamiche e contesti molto diversi diventando nella maggior parte dei casi parte integrante e significante delle caratteristiche culturali, sociali e morali. L’origine ancestrale di questa “predisposizione sociale” è strettamente legata alla sopravvivenza del singolo e della specie e ha trovato la massima espressione nell’istinto di protezione tipico del genere femminile nel momento dell’accudimento della propria prole. Nel maschio la cura si è evoluta invece attraverso la predisposizione al controllo del proprio territorio inteso anche come sistema dominio di un clan o di controllo riproduttivo del proprio “harem”.

Il senso della cura è fortemente presente nei rituali sciamanici e religiosi come del resto in tutte le azioni psicomagiche che connettono l’uomo al mondo misterioso della natura o a quello di altre dimensioni trascendenti tra cui la morte. (Ritroviamo del resto questo concetto in stereotipi del linguaggio comune come: Dio ha cura del proprio popolo, la natura delle proprie creature, la madre dei propri figli).

In questo modello di pensiero però la cura si ritrova quasi sempre calata in un modello bipolare che marca la propria direzione univoca dal più forte (A: latore della cura) al più debole (B: ricevente e bisognoso). In questa modalità a senso unico ritroviamo i binomi di Medico/ Paziente; Dio/Fedele; Nutrice/Cucciolo. Anche se accogliamo l’idea più evoluta di scambio e osmosi tra le parti il modello bipolare si pone fin dalle proprie premesse già orientato dall’alto verso il basso per le ragioni dette, per cui non è facilmente accettabile la visione a ritroso nel momento in cui fosse il Fedele a prendersi cura di Dio; il Cucciolo a nutrire la Madre o il Paziente a guarire il Medico anche se questo è di fatto possibile. Se attribuiamo alla cura un valore semantico differente riusciamo a ridefinire questa predisposizione naturale come il motore necessario che attua la trasformazione sociale oltre a quella personale. Che si tratti infatti di trasformazione fisica o psicologica questa avverrebbe nel momento del cambiamento o dell’adattamento al proprio ambiente/contesto sociale. Vista così, la cura, si perpetrerebbe attraverso un’infinita rete di relazioni nelle quali ci ritroviamo coinvolti e nelle quali coinvolgiamo altri soggetti tra cui il nostro stesso ambiente. Quando però la rete sistemica delle relazioni connesse alla nostra vita crea delle situazioni di conflitto, emarginazione, crisi o rimozione del nostro corpo e della nostra identità ecco che si manifesta la malattia e che si pone improvvisamente la necessità del rimedio per ripristinare la sopravvivenza di ciò che è stato minacciato, eliminato, turbato o corrotto.

La cura nell’accezione sistemica ci riporta però al modello evolutivo naturale dove si realizzano solo gli eventi necessari capaci di generare un nuovo opportuno equilibrio; allo stesso modo anche la cura non può farci regredire a uno stato di partenza ma solo progredire in un nuovo equilibrio, probabilmente l’unico possibile in quel momento. Guardando la dinamica dei rapporti con un’ottica simile a questa si può superare il modello di cura simile a un’azione o a un agente esterno (tipico della prassi medica) che mira a cambiare lo stato del nostro corpo o della nostra psiche per realizzare una regressione inquadrare semplicemente come un’attività di cura per gli esseri umani (da A verso B) in cui il rimedio (C) è sostituito dal cane (pet-terapy).

Tra i ragazzi della Comunità Ippocastano e i cani accuditi dal Canile Municipale non si può tuttavia considerare una direzione univoca dall’alto verso il basso (A-B). In questo caso il paradigma è reversibile perché lo sono anche i ruoli e i contesti: se il Medico cura il Paziente, il Paziente cura il Medico ed entrambi curano Dio, (A=B; A=C; C=B). Questa è l’ipotesi più attendibile che si è rivelata la mattina in cui abbiamo messo in atto il set progettuale. Da due anni alcuni ragazzi in terapia presso la Comunità Ippocastano hanno adottato un cane abbandonato, residente nel Canile Municipale di Curtatone.

Entrambe le strutture (Comunità e Canile) si prendono cura dei propri soggetti e la qualità di vita dei singoli in entrambi i casi è più che buona ma necessita di essere arricchita sul piano delle relazioni. Questi ragazzi infatti si prendono cura dei cani, personalmente scelti, attraverso un’adozione simbolica (Es. non possono portarli fuori dalla struttura canile) e attuano con questi delle pratiche di accudimento semplici ma periodiche (spazzolatura e pulizia, piccola medicazione, preparazione del cibo e lavaggio delle ciotole e suppellettili). Avevo precedentemente informato i ragazzi, senza fornire loro i dettagli, che avrebbero incontrato in modo diverso i loro cani e per questa ragione ciò che è successo nel canile di Curtatone, la mattina in cui abbiamo realizzato il progetto, conferma le premesse sopra dette.

Il giorno fissato per il nostro incontro i ragazzi sono arrivati infatti col pulmino accompagnati dagli assistenti ed educatori del Centro. Avevamo previsto le medesime attività come ogni mercoledì mattina, alla stessa ora e negli stessi luoghi. Ma a cambiare il gioco tra le parti, dimostrando la validità delle premesse, è stata l’introduzione di un’unica variante: l’utilizzo nelle riprese del tavolo chirurgico veterinario in acciaio come supporto. Simbolicamente questo tavolo rappresenta la cura come rimedio medico bipolare (A-B) e non come percorso di trasformazione (A=B=C). L’introduzione di questo elemento fortemente distopico ha generato infatti lo scompenso e la tensione necessaria perché si rivelasse l’accudimento sistemico tra le parti. Per questa ragione sono emerse da entrambe le parti (cani e uomini) reazioni emotive come la paura, l’ansia, la vergogna, la gioia, l’amore e la sorpresa.

È appunto su questo piano che la cura (A=B=C) si rivela completamente differente dal rimedio (A-B); attraverso la cura non solo si possono attuare delle trasformazioni reciproche e delle relazioni sistemiche con l’ambiente (cucina e ambulatorio veterinario) ma si mettono in gioco le emozioni primarie che hanno reso il setting autentico fino al punto di rivelare in forme diverse il processo emotivo in corso tra i ragazzi e i loro cani nel momento in cui entrambi si sono sentiti fragili o esposti. Nella cura intesa come relazione (A=B=C) passa il concetto di completamento e di trasformazione delle parti che rivela un percorso di reciproca guarigione, di superamento del dolore, della solitudine, dell’abbandono e del senso dell’ingiustizia. Nei due set, ambulatorio veterinario luogo della cura-rimedio e cucina luogo del nutrimento, resi distopici dalla presenza disturbante del tavolo chirurgico si sono scambiate energie sottili, emozioni intense e pensieri liberi adottati dalle parti come giusto risarcimento della propria parte sofferente.

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Naked Plants