Oggi, con il tempo come valore fondante della nostra società, ci si interroga su che cosa definisca efficace un’azione, perché spesso si vive o si osserva un “fare” improduttivo. All’interno di un quadro individuale, lavorativo, relazionale o sociale, si innescano infatti dinamiche che spesso deviano dall’obiettivo, facendo perdere vigore, energia, tono e funzionalità stessa al fare.

Il “fare” diventa così inutile, sterile, improduttivo, e questa improduttività richiede un costoso dispendio energetico, che indebolisce non soltanto il soggetto che agisce, ma anche i destinatari dell’azione stessa, fino ad arrivare a tutto il contesto all’interno del quale il soggetto opera. La penalizzazione data dal dispendio energetico eccessivo – rispetto allo stretto necessario – si ripercuote così non soltanto su chi ha generato l’azione, ma sull’intero sistema, anche economico e produttivo, che lo vede coinvolto.

Il processo di azione produttiva, che segue una modalità di creazione di valore – sia esso un valore materiale, intellettuale o spirituale – scorre naturalmente come un flusso, un continuum, che non si caratterizza per un allungamento dei tempi e dei costi, in termini sia energetici che economici. La massima efficacia è infatti data da tre parametri:
• il raggiungimento dell’obiettivo
• la riduzione al minimo degli sprechi durante il percorso
• l’eliminazione o l’aggiramento degli ostacoli.

Se la riduzione al minimo degli sprechi nel percorso e l’aggiramento degli ostacoli sono funzionali al minimo dispendio energetico e di tempo, il primo parametro, cioè il focus sull’obiettivo, rappresenta il punto centrale, fondamentale se si vuole agire con efficacia. Ci si può chiedere a questo punto quale sia il modo per non perdere mai di vista l’obiettivo che si ha davanti. Ebbene, un utilizzo sano e funzionale dell’obiettivo è quello che si ha quando l’attenzione è distribuita in apparenza su tutto: tutti gli elementi che caratterizzano il percorso, tutti gli intoppi, gli ostacoli, tutte le persone, i luoghi e le azioni coinvolti.

Ma – e questo è ciò che fa la differenza – un’attenzione distribuita può andare di pari passo con il mantenimento fermo, stabile e forte dell’obiettivo, come se quest’ultimo fosse il filo conduttore di tutto. Può cambiare il percorso che si era prestabilito, possono variare le energie e i sotto-obiettivi, ma il fine ultimo guida, senza tensione, come una costante. La volontà inevitabilmente fa da traino, e rappresenta l’essenza per il superamento di ogni difficoltà di percorso, come ben sottolineava Niccolò Machiavelli: “Dove c’è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà”.

Ciononostante, la cura e il perseguimento di un obiettivo deve tenere conto anche degli intoppi per raggiungerlo, e deve guidare in maniera adeguata, e con opportuna parsimonia nel consumo energetico, al fine di valutare le possibili strade per il superamento o l’aggiramento degli ostacoli, in modo che il percorso effettivamente non sia irto di difficoltà e di spine, bensì il più fluido e agevole possibile.

La fatica non è una buona consigliera, offusca i dati e la lettura dei fatti, stanca l’organismo senza concedergli il premio e l’appagamento immediato. Se devo fare un percorso X per spostarmi da una stanza all’altra della casa, e sulla strada incontro degli ostacoli legati a cose che “devo fare”, è mio compito valutare se – energeticamente – mi conviene aggirare gli ostacoli e non fare, oppure al contrario deviare dal percorso lineare previsto per occuparmi di cose sulle quali non dovrò più ritornare oltre.

In ogni caso, la mia attenzione, equamente distribuita sul contesto e sull'ambiente circostante, deve mantenersi anche e in ultima analisi ferma sull'obiettivo, in modo tale che di fatto ogni mia azione sia guidata, quasi senza sforzo, verso un fine. Il raggiungimento dell'obiettivo, attraverso un percorso fluido, lineare, con il minore dispendio energetico, decreta l'efficacia vera dell'azione.

Tutto quello che devia dall'obiettivo, ogni azione non guidata, anche se apparentemente vistosa e carica di impegno, costituisce a conti fatti un'inutile spreco di energia, che fa perdere di efficacia la mia azione e penalizza anche gli altri.