Ho deciso di trattare un tema che sento a me molto caro, che mi stimola continue riflessioni, un tema che emerge spesso come mancante o carente quando si lavora con i pazienti in psicoterapia: la vitalità infantile. Per vitalità infantile intendo quella particolare “frizzantezza” che si nota nei bambini: quel guizzo di curiosità, di movimento, quella forza che pare inesauribile, una particolare capacità di curiosare e di cambiare.

Spesso noto che, quando una persona – adulta – arriva in psicoterapia, porta con sé una sofferenza che ha a che fare, in modo più o meno evidente, con la perdita di questa luce e brillantezza dello sguardo e di tutta la persona, come se il paziente si fosse perso qualcosa per strada. Ho notato che questa mancanza, questa perdita, fa riferimento a un mondo vitale che si è andato via via spegnendo.

Ho quindi pensato di descrivere il concetto di vitalità dei bambini, partendo da un presupposto: l’idea cioè che questa vitalità non sia, non debba essere appannaggio esclusivo dei bambini, ma possa e debba al contrario essere tenuta in conto in quanto preziosa e mantenuta nel tempo, per tutta la durata dell’esistenza.

La forza del mondo sono i soggetti in crescita. Essi rappresentano il futuro, le potenzialità del nostro presente. Sui bambini la società ha il dovere di investire il massimo delle risorse a disposizione. E nell’ambito della vita infantile, il punto centrale su cui si basa la realizzazione di opportunità e di tutte le potenzialità di cui il bambino è portatore è rappresentato dall’apprendimento. Il processo di apprendimento, snodo centrale e inequivocabilmente dominante nel processo di crescita individuale e di evoluzione sociale, va favorito in tutti i modi e con tutti i mezzi. Il processo di apprendimento è come una ventata di ossigeno per i bambini. Infatti, imparare cose nuove, curiosare, indagare, esplorare, navigare, muoversi sono per i bambini una forma inspiegabile e indiscutibile per vivere. Sono… il bello della vita.

È inevitabile riflettere sulla bellezza che questa componente vitale e quanto mai vivace del mondo infantile tenda a perdersi nel tempo, offuscando la sua brillantezza iniziale, per asservirsi e adeguarsi a un mondo fatto di prestazione, di richieste, di mercato. In tal modo, la bellezza e lo splendore dell’infanzia tendono a offuscarsi, diventando un pallido residuo del “bel tempo che fu”.

E così, quasi senza neppure accorgersene, l’adulto, il genitore, il lavoratore, perdono ciò che c’è di meglio nella vita: il piacere di guardare il mondo ogni mattina con occhi nuovi, spalancati, desiderosi di acquisire elementi mai visti e mai sperimentati, di percepire con tutti i sensi il mondo che entra dalla finestra. Ogni mattina dalla finestra entrano l’aria fresca, la luce, il sole, il cielo, le nuvole che si muovono, entra la vivacità e la freschezza del mondo. Il gesto di spalancare una finestra per assaporare il cielo che c’è fuori è un’azione esplicita di accettazione del mondo e di curiosità verso l’esterno.

L’adulto non sembra godere più di questa esperienza, perché si opacizza nel processo di asservimento alle regole e alle logiche razionali, che non per questo sono giuste e foriere di positività. Dopo un po’ di tempo, giorno dopo giorno, queste regole e queste logiche diventano “normali”, soltanto perché vengono reiterate: infatti la ripetizione crea sicurezza e implicitamente induce un’idea di normalità, di “giusto” e di “buono”. Si perde anche la capacità di ridere, di prendersi in giro, di farsi prendere in giro, si perde l’autoironia, base fondamentale di ogni percorso di crescita e di apprendimento.

L’adulto, se non si rende conto del processo di perdita della vitalità che ha dentro, rischia di indebolirsi, diventando sempre più arido, curvo, rigido, legato a logiche non sue, debole. Muore giorno dopo giorno, si spegne con gradualità, magari lenta, ma inesorabile. Diventa quindi indispensabile prendere atto di questo processo, per poi mettere in azione una modalità differente, che descriverò nella seconda parte: il recupero della vitalità.