Oggi riflettevo su quanto l’età adolescenziale possa essere un passaggio complesso sia per i ragazzi che la vivono, ma anche – e a volte soprattutto – per i genitori che la subiscono.

Fino a quando il proprio pargolo è un bambino, per quanto vivace possa essere, è generalmente gestibile; poi arriva il momento di transizione: quello cioè in cui è ancora in parte bambino, ma inizia a sentirsi grande e comincia quindi a comportarsi esprimendo i suoi dissensi, le sue idee e le sue pretese rispetto a ciò che vorrebbe.

Il genitore, specie se alla prima esperienza, si trova indubbiamente un po’ spiazzato; perché è vero che è stato adolescente anche lui, ma in quel caso si trovava “dall’altra parte”, cioè era il soggetto di un cambiamento che lo interessava direttamente e che affermava con forza. Ora invece il suo compito è molteplice: deve arginare la voglia di ribellione e di eccessiva libertà del proprio piccolo – che piccolo non è quasi più – e allo stesso tempo instradarlo per evitare che la sua maggiore autonomia pratica e mentale, non porti a conseguenze ben più gravi di un giocattolo rotto. In tutto questo dovrebbe anche tentare di non allontanare il fanciullo, di essere quel giusto mezzo tra il confidente (cosa difficilissima nella percezione di un ragazzo) e il despota di casa!

Poi è chiaro che la serenità di questo periodo di vita dipende moltissimo anche dal carattere del ragazzino (o ragazzina); ma in genere posso assicurare che tutto tende a diventare ben più complesso della “beata spensieratezza” dell’infanzia.

Allora ecco che iniziano le rispostacce, gli atteggiamenti che si collocano tra la strafottenza e l’indifferenza, il nervosismo senza apparente motivo, i segreti, il desiderio di evasione e di trasgressione alle regole… insomma tutte quelle reazioni che personalmente mi fanno venir voglia di rinchiuderlo in casa fino ai trent’anni e farlo uscire solo per comprovata buona condotta. Si può fare così? Assolutamente no, è ovvio. Allora ci sono tre strade:

• la prima prevede il genitore che mantiene saldo il suo ruolo di severo detentore della legge, che infligge punizioni e limitazioni a tutto spiano, con la conseguenza – spesso – che la voglia di allontanamento del figlio aumenti esponenzialmente;
• la seconda è l’accondiscendente: quello che pur di non rischiare di litigare con il pargolo, gli conceda tutto ciò che pretende, chiudendo più di qualche volta non solo uno, ma entrambi gli occhi sulle scelte, le azioni e i comportamenti del pupillo;
• la terza è come al solito il giusto mezzo, quello che ti accennavo poco fa e sul quale voglio soffermarmi un pochino di più… sappi anche che però è la più difficile.

Parto dalla mia esperienza di madre, perché a parlare della teoria siamo tutti bravi; ma le cose invece vanno vissute e solo dopo, semmai, raccontate e condivise. Io ho due bambine e una delle due ormai è arrivata in questa fase critica della sua crescita. Se prima era sempre carina e dolce, ora noto atteggiamenti tipicamente adolescenziali che spesso non mi piacciono. Proprio ieri le stavo chiedendo di andarsi a fare la doccia perché la cena era quasi pronta e lei era tutta presa da alcuni messaggi arrivati sul cellulare, tanto che non mi ha neanche risposto. Le ho ripetuto la richiesta e ho ricevuto un flebile e distratto “Sì”… poi nulla, non si è mossa. Neanche 10 secondi dopo ho tolto il cellulare e le ho detto che lo avrebbe usato quando avrei deciso io e comunque solo dopo aver fatto ciò che le avevo chiesto. Spinta più dal mio sguardo che dalla convinzione di doversi andare a lavare, si è alzata senza dire nulla ed è ritornata poco dopo la sua doccia. Appena tornata stava per riprendere il cellulare in mano e l’ho bloccata, visto che ancora non le avevo detto che poteva utilizzarlo. Senza dire nulla – non serviva: gli sbuffi che si stava facendo nella mente erano più che udibili – si è seduta e ha aspettato.

A quel punto avrei potuto farle una ramanzina sull’atteggiamento poco educato, o fare finta di nulla ridandole il cellulare, oppure optare per la terza scelta. Così l’ho chiamata in disparte in cucina mentre stavo finendo di preparare e le ho chiesto, con tono calmo e confidenziale, se ci fosse qualcosa che non andava. Lei mi ha guardato per qualche secondo – forse si stava domandando come avrei continuato il discorso – e mi ha detto che si sentiva un po’ strana, ma che in realtà non era successo nulla di negativo. Le ho raccontato, quindi, l’accaduto dal mio punto di vista e le ho chiesto se, secondo lei, il suo atteggiamento fosse stato corretto nei miei confronti. Dopo qualche secondo di silenzio, ha abbassato lo sguardo e un po’ timidamente ha ammesso che effettivamente non meritavo quel comportamento. Mi ha abbracciato e mi ha chiesto scusa. Ecco di nuovo la mia bambina dolce.

Certo questo era un episodio semplice e di eventi ben più complicati e impegnativi ce ne saranno diversi; ma nonostante la delusione o la possibile rabbia per qualcosa che noi genitori non accettiamo, credo dovremmo sforzarci prima di comprendere, poi di dialogare e far uscir fuori l’eventuale disagio e poi di spiegare il nostro punto di vista relazionandoci al loro. Non è sempre un procedimento immediato o spontaneo, per questo serve una buona volontà e un’ottima dose di calma aggiuntiva; però è la strada migliore per dar loro l’importanza che meritano – anche per emozioni che a volte per noi sembrano essere eccessive o poco pertinenti – e la responsabilità di un dialogo tra persone coscienti, anche se di età e di mentalità diversa.

Non possiamo pretendere che nostro figlio o nostra figlia si comportino sempre come faremmo noi, anche perché – ammettiamolo – qualche colpo di testa o azione poco intelligente è stata senza dubbio parte del nostro percorso di crescita e poi è necessario ricordarsi che nessuno nasce già “esperto” del mondo: ci si arriva piano piano… quando ci si arriva! Non siamo perfetti neanche noi e per quanto ci sforziamo di essere ottimi genitori, siamo soggetti a scivoloni più che normali; quindi tentiamo di essere più tolleranti, sempre comunque a favore del rispetto che è giusto che un figlio abbia nei nostri confronti e della buona educazione.

Non è semplice, ma se quello dei genitori è stato definito uno dei mestieri più difficili al mondo, un motivo ci sarà… non trovi?!?