Quando un intero continente è in difficoltà, quando le disparità economiche sono enormi, quando lo sfruttamento del pianeta non pare avere limiti, allora nascono le crisi. Perché il plurale? Perché non si tratta soltanto di una crisi economica; quella che caratterizza e accompagna il periodo che stiamo vivendo è una crisi dell’esistenza tutta, una crisi che coinvolge l’intera esistenza e l’intera società.

Le migrazioni sono un fenomeno che può riguardare tutti, che quindi potenzialmente ci coinvolge sempre, in qualunque parte del mondo ci troviamo in un dato momento. Ma che cos’è in realtà un fenomeno migratorio? E perché oggi ne viviamo la portata in modo così forte?

Dal punto di vista psicologico, il fenomeno migratorio rappresenta un netto cambiamento dell’assetto, dell’habitat in cui l’individuo è inserito. Che sia lui a spostarsi, o che arrivi nel suo paese un’ondata migratoria, il concetto centrale rimane lo stesso: il cambiamento. Oggi viviamo in modo estremamente forte la portata del fenomeno migratorio in quanto esso rappresenta uno degli ennesimi cambiamenti sociali e culturali che stiamo vivendo. Essere pronti a gestire il cambiamento non è cosa facile. Soprattutto se siamo diventati stanziali, soprattutto se siamo attaccati alle abitudini, anche quelle piccole e apparentemente insignificanti. Ma poiché il fenomeno delle migrazioni è soprattutto un fatto sociale, la psicologia può e deve far sentire il proprio ruolo, deve mantenere la sua funzione orientata al benessere, alla salute, alla gestione ottimale delle situazioni.

Mi sento particolarmente vicina al concetto di equilibrio, che è quella situazione di armonia e bilanciamento che permette all’organismo di esprimersi al meglio. L’equilibrio non è e non può essere mai statico, ma sempre in divenire, adattandosi al contesto e adattando il contesto a sé. Come rapportarsi dunque al cambiamento dell’ambiente, in particolar modo quello indotto dal fenomeno migratorio?

Una visione olistica sembra richiedere un adattamento al nuovo, espressione di una capacità di tollerare la paura del cambiamento, fino ad accettare che il cambiamento possa avvenire, senza che ne nasca la paura. La nostra mente è vocata all’adattamento, all’accettazione di ciò che è nuovo: questo è un indicatore evolutivo importante. Tuttavia, il cambiamento rappresenta anche un’incognita: chi può dire esattamente che cosa succederà? Chi è capace di un’azione predittiva completa e precisa?

La psicologia ha la funzione di indicare come gestire l’ansia legata al cambiamento, di facilitare il processo di acquisizione del nuovo e di permettere la coesistenza di elementi diversi tra loro all’interno dello stesso tessuto sociale. La psicologia non può tacere davanti all’inasprirsi di reazioni difensive, di chiusura, di presa di distanza, di limitazione, di ostacolo al valico dei confini. Tutti questi fenomeni sono infatti inquadrabili come veri e propri meccanismi di difesa e come tali vanno trattati, inquadrati e gestiti.

È interessante notare come, davanti all’inasprimento dei blocchi ai confini, le reazioni di base siano molto chiare e molto elementari: la modalità difensiva di chiusura sembra rappresentare una reazione iniziale. Dopo, la capacità di adattamento deve progressivamente emergere e permettere la mescolanza dei popoli, segnata dalla libertà.