Non voglio accettare, voglio accogliere e rispondere. Non voglio essere buona, voglio essere sveglia. Non voglio fare male, voglio dire: smettila, mi stai facendo male. Non voglio diventare migliore, voglio sorridere al peggio. Non voglio essere un’altra, voglio adottarmi tutta intera. Non voglio pacificare tutto, voglio esplorare la realtà anche quando fa male, voglio la verità di me. Non voglio insegnare, voglio accompagnare. Non è così che voglio, è che non posso farne a meno.

(Chandra Livia Candiani)

Credo che prima o poi lungo il cammino si apra per noi la possibilità di incontrare l’inevitabilità.

Amo questa parola, perché è il contrario esatto dello schivare, dell’allontanare, del vivere nell’avversione e anche del fare in modo di non incontrarsi (da cui la parola evitarsi).

L’inevitabile è l’incontro con tutto ciò che improvvisamente puoi contenere, con cui puoi stare in contatto senza bisogno di manipolare, distorcere, edulcorare.

Incontrare tutto ciò, significa arrendersi, mettersi a disposizione della Vita, intuire che questa ha un progetto evolutivo in serbo per tutti noi, nel quale siamo tessere di un disegno che quasi sempre ci sfugge ma del quale siamo parte e nel quale abbiamo solo una possibilità: scegliere di farne parte o no.

Se la risposta che intercettiamo e che decidiamo di incarnare nella nostra vita è Sì, ecco che avviene l’incontro con l’inevitabile, perché smettiamo di evitare, ci apriamo al Mistero, all’eventualità, all’essenza stessa della Vita che certo non è controllo, come ci illudiamo che sia fintanto che crediamo in modo piuttosto presuntuoso di poterla governare, la Vita, attraverso scelte.

Io credo invece che la possiamo navigare, che questa sia un mare e che possiamo scegliere se andare controcorrente o se seguire la corrente, assecondarla, aggiustare le vele perché si gonfino quando è possibile o tirarle giù quando è il caso di arrendersi a una tempesta e di aspettare. Aspettare cosa? Che passi la tempesta, che si plachino i venti, che il cielo si schiarisca e lasci intravedere l’orizzonte, che tornino i gabbiani a suggerirci la possibilità di esplorare nuove terre.

Viviamo in un Mondo che ci da l’illusione che siamo nati per essere i fieri e impavidi comandanti della nostra nave e che al grido di libertà assoluta, ci si possa avventurare in ogni impresa, che niente sfugga al nostro (mai pago) desiderio di soddisfare bisogni e che quindi possiamo piegare ogni cosa alle nostre necessità che puntualmente aumentano, alimentate dal sistema che ci vuole infelici e bisognosi di sempre nuovi stimoli.

Io invece direi che personalmente mi sento a mio agio nel vestire i panni meno rutilanti del mozzo che di giorno fa il suo dovere, lo fa al massimo delle sue possibilità stando con ciò che di volta in volta la giornata gli propone perché ci crede e vuole dare il meglio di sé e che la sera sale sul ponte, si arrampica sull’albero maestro a guardare le stelle e a intuire nuove rotte, imparando a leggere i segni e i sogni.

Mi piace sentirmi al servizio della barca, essere in grado di fare quello che serve quando serve, seguire la saggezza della corrente che la spinge e le indica la Via, e al tempo stesso coltivare il desiderio, il sogno, la capacità di guardare le stelle che poi per me è anche la fiducia che queste segnino la via nel migliore dei modi possibili per noi e che la si possa seguire e trovare, imparando a riconoscerla, solo abbandonandosi ma con impegno, alla corrente.

In tutto ciò, la meditazione ha avuto e continua ad avere un ruolo importante per me, perché richiede retto sforzo ma anche una buona dose di morbidezza per accogliere e imparare a stare con quello che c’è.

La meditazione è una pratica di seminagione quotidiana, attraverso la quale impariamo ad avere cura dei nostri semi, degli intenti che vogliamo coltivare con amore, impegno, saggezza ma senza la pretesa che tutti germoglino.

La meditazione insegna a stare con le stagioni, a seguirne il flusso, a rispettarne i tempi e in un certo senso direi che ci rimette in sintonia con il modo di vivere degli antichi, che trovavano nella Natura nei segni e nei sogni, la fonte della guarigione, la via del benessere.

La meditazione (e con lei l’osservazione della Natura per la verità) ci ricorda che una primavera è preceduta da un inverno, che non tutti i semi germogliano, che esistono terreni differenti per diverse colture e che è impensabile e innaturale pretendere che un terreno umido ospiti una pianta grassa.

La meditazione educa all’osservazione attenta dell’infinito ciclo di cause e condizioni che permettono di arrivare a dei risultati che a loro volta si trasformano in cause e condizioni di altri risultati, in un ciclo di infinite interdipendenze.

Non afferra, la meditazione ma sostiene. Non giudica ma osserva. Non pretende ma fa spazio.

In questo movimento di lento, graduale progressivo liberarsi dell’ingombro mentale, la pratica di ascolto nel silenzio aiuta a ricontattare una saggezza antica che ancora ci abita anche se assopita e ricercarla, a rispolverarla, come si farebbe come un oggetto antico che si pensava smarrito e che un giorno si rinviene, per intercettare la lingua con cui da sempre ci si cura, ci si prende cura di sé e degli altri in un continuo passaggio di testimone, di esperienza e di vita.

Sì, perché non voglio essere un’altra, voglio adottarmi tutta intera.

Non voglio pacificare tutto, voglio esplorare la realtà anche quando fa male, voglio la verità di me.

Non voglio insegnare, voglio accompagnare.

Non è così che voglio, è che non posso farne a meno.

È inevitabile.