Se, come dicevamo nell’ultimo dialogo, separare vuol dire controllare, allora negli scambi internazionali, il porre barriere doganali o il ricorrere all’autarchia, sono tentativi di riduzione della complessità del sistema economico per poterlo dominare?

Certo, anche se sono tentativi a cui era più facile ricorrere nei tempi passati, piuttosto che oggi in cui tutto è fortemente interconnesso. Mentre fino all’inizio del ventesimo secolo in qualche modo ci si basava su un mondo talmente vasto da riuscire ad avere il controllo almeno su una parte di esso, adesso – anche grazie a Internet e in generale alle telecomunicazioni che hanno contribuito a incrementare in maniera esponenziale le relazioni – ci si rende conto che il mondo è sempre più piccolo e che siamo sempre più interrelati. Più il mondo si fa piccolo, più è interconnesso, più perdiamo il potere di controllarlo.

Quindi, in questo senso, il concetto di potere come conquista e dominio è un concetto 'vecchio'…

Sì, proprio così! È un concetto che fa parte del mondo – o, meglio, della visione del mondo - come poteva essere certamente nel periodo di Cartesio e Newton nel 1500–1600, in cui si era da poco scoperta la rotta per le Indie e si consideravano le Americhe come proprietà da conquistare, come terre vergini.

Era la visione di un mondo enorme da poter occupare; è un approccio imperialista, durato fino ad oggi, che non è altro che un tentativo di porre sotto il proprio dominio territori che, altrimenti, erano considerati liberi da vincoli, e quindi liberi di essere dominati, non essendo in connessione con altro; la gara era 'chi arriva prima, prende'. C’era un concetto di vastità, di un mondo infinito che aspettava solo di essere scoperto e conquistato.

Più che di una evoluzione, mi sembra si stia parlando di una involuzione dell’uomo…

Purtroppo sì, anche se l’approccio separativo ha comunque consentito scoperte importanti e lo sviluppo di una cultura vasta e utile sotto molti aspetti.

Adesso la prospettiva sta cambiando: ci rendiamo conto in questo periodo che il mondo è molto piccolo che, ad esempio, non possiamo più escludere dal commercio internazionale la Cina, così come era stato in precedenza con il Giappone, o con i paesi del Sud-Est asiatico: ci accorgiamo che siamo connessi, che non possiamo bloccare le merci cinesi alla dogana e rispedirle indietro.

Ci accorgiamo, insomma, di vivere la nostra quotidianità nella globalità. È perciò difficile esercitare quel controllo lineare che poteva essere possibile fin quando i mondi non erano così connessi tra loro.

Allora anche il progresso, che è un concetto che ci è appartenuto dalla rivoluzione industriale ad oggi, è un concetto di crescita lineare da considerarsi superato?

Direi proprio di sì. Il progresso, secondo l’ottica lineare a cui siamo abituati, è qualcosa che avviene secondo modalità prestabilite, e quindi prevedibili. Il concetto di progresso è dunque ben diverso da quello di evoluzione. Quando noi parliamo di evoluzione, parliamo di lasciare che si manifesti da sé la crescita di qualcosa; sono due concetti molto differenti.

Se noi applichiamo a una situazione estremamente relazionata, con molte connessioni, un approccio lineare, continuiamo a usare lo stesso schema di pensiero semplificatore e riduzionista di cui abbiamo già parlato; ciò con la convinzione di poter controllare un processo che invece controllabile non è e di poterne prevedere il risultato finale. Il risultato che otteniamo è invece solo quello di essere frustrati nelle nostre aspettative sia predittive che di progresso.

Se pensiamo alla situazione di un’azienda, così come alla politica di un Paese, come se fossimo ancora agli inizi del ventesimo secolo, con la stessa mentalità lineare di potere e di prevedibilità, non possiamo che rimanere delusi. Questo approccio è ovviamente destinato all’insuccesso.

Quindi, per tornare al discorso sulla complessità, secondo noi è possibile esaminare un mondo complesso continuando ad avere un approccio separativo, ma non si ha nemmeno più il successo che si poteva sperare di avere un tempo, poiché prima si lavorava davvero su situazioni in qualche modo separate, adesso non più. Il progresso, secondo l’approccio di pensiero lineare, è inteso unicamente come una crescita di natura economica?

In linea di massima direi di sì; esso è inteso come una continua crescita di ricchezza, ed è rappresentabile da vari indici numerici, tra cui, ad esempio, il PIL, il prodotto interno lordo di un Paese in un certo lasso di tempo. Una visione lineare di progresso comporta l’idea di una crescita economica che non ammette battute d’arresto; ci si aspetta che continui incessantemente ad aumentare, mantenendo quantomeno lo stesso tasso di crescita.

E quali sono, secondo te, i presupposti che stanno alla base di questo tipo di visione del progresso?

I presupposti, a mio avviso, sono vari e interrelati tra loro. Uno di questi è che il progresso è da intendersi come crescita economica la quale, a sua volta, viene generalmente intesa come crescita di ricchezza; la ricchezza viene espressa in termini di beni e servizi prodotti, ossia in termini quantitativi. Il progresso, quindi, si riduce alla misurazione di quantità di beni e servizi prodotti.

C’è da chiedersi, allora, se il progresso per noi uomini sia solo questo: l’aumentare, senza mai posa, la quantità di beni e servizi da poter utilizzare.

Ma c’è anche chi intende il progresso come nuove scoperte scientifiche, come nuove tecnologie prodotte, come nuove frontiere da poter raggiungere e superare...

Certo, anche questo fa parte del concetto di progresso. Tuttavia, a ben vedere, si tende pur sempre a trasformare tutto ciò in nuovi beni e nuovi servizi, con un contenuto tecnologico e scientifico via via più sofisticato; si ritorna così a un concetto di progresso inteso come quantità di ricchezza prodotta.

C’è da chiedersi se questo è il progresso che desideriamo…

Proprio così. Esso presuppone, inoltre, che a fronte di un continuo aumento di beni e servizi prodotti vi sia un correlato aumento di beni e servizi richiesti, ovvero che vi siano sempre più bisogni da soddisfare. Ma come è possibile avere sempre più bisogni da soddisfare?

Se ipotizziamo che vi siano a livello sociale sempre più bisogni da soddisfare, ciò significa che vi sono sempre più persone che vivono nel malessere! Sembra un paradosso, eppure… Per stare meglio, se intendiamo lo stare meglio con il possedere sempre più beni e usufruire di sempre più servizi, dobbiamo sentirci sempre peggio, ossia sempre più insoddisfatti, con nuovi bisogni, nuove mancanze… È un business loop, un circolo vizioso degli affari!