Mi sento accresciuto da questi bei dialoghi. Sto comprendendo il potere dell’umiltà e della capacità di accettare con gioia l’inatteso. La meraviglia della vita sta proprio nelle sue infinite possibilità, nelle sue magiche sfaccettature che ci possono consentire di star bene anche nelle situazioni più difficili ed impegnative. Credo di poter riassumere così il lavoro da fare: allineare e rendere coerenti i propri comportamenti cercando di agire per raggiungere il meglio per sé ottenendo contemporaneamente il meglio per gli altri, pur non sapendo se l'esito delle nostre azioni sarà quello sperato… insomma provare a mettere in atto le dinamiche dominanti, seguendo l’intuito di Nash!

Proprio così. La vera differenza, una volta compreso che si è inseriti in una grande rete che ci unisce tutti, è che non si è più così soli come abbiamo sempre creduto di essere. L'essere uno interconnesso all'altro comporta da un lato la responsabilità del proprio agire, dall'altro la possibilità che altri seguano il nostro esempio, creando un circolo - anzi, una rete - virtuosa che si amplifica: il contagio, appunto.

Finora il contagio ha comunque agito attraverso comportamenti e convinzioni personali limitanti che sono risultati distruttivi non solo per noi stessi, ma anche per tutto ciò in cui siamo inseriti, come abbiamo purtroppo già sperimentato. La differenza è che, non comprendendo la rete che ci unisce e separando quindi le relazioni tra le persone, si rimane legati ad un modello di pensiero lineare di causa ed effetto, in cui la responsabilità del proprio agire è vanificata dalla ricerca di una causa esterna a noi che ha generato il nostro comportamento ed attraverso la quale tentiamo di giustificarci.

E che ci porta a lamentarci in continuazione, coinvolgendo anche chi ci ascolta a partecipare a questa 'discarica' collettiva di responsabilità. Ci sarà sempre qualcuno o qualcosa che ci costringe ad agire in un certo modo, e noi siamo vittime di un meccanismo perverso che non comprendiamo... la rete, appunto. Però, riuscire ad accettare l'imprevedibilità del proprio agire, pur se questo è per il meglio, non mi sembra per niente facile, anzi...

Sì, non è certo facile, eppure, se ci pensi bene, può invece rendere più leggero il nostro agire. Non doversi sforzare continuamente di avere tutto sotto controllo, così come, d'altra parte, poiché ciò è evidentemente impossibile, scaricare completamente le responsabilità a qualcuno o qualcosa che a sua volta ci controlla, è non solo un meccanismo perverso, ma anche faticoso da sostenere a lungo. È un meccanismo nevrotico e depauperante per la persona stessa, la quale alla fine della giornata dà sfogo alle proprie frustrazioni lamentandosi.

Credo sia molto più sano sia per la persona che per la collettività assumersi la responsabilità dei propri comportamenti; ciò può apparire, è vero, quasi insignificante se consideriamo la persona solo come un anello di una rete che è all'interno di altre reti, e così via... Ma se comprendiamo che è proprio il comportamento della singola persona che genera la possibilità di agire in modo nuovo non solo per se stessa ma anche per chi è in relazione con lei, è possibile che altri agiscano allo stesso modo, imitandone il comportamento, allargando ancor più le nostre possibilità...

È l'imperativo etico di Heinz Von Foerster: 'Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle scelte' che a noi piace molto...

Sì, perché anch'io credo che avere la possibilità di scegliere, così come contribuire ad allargare le possibilità di scelta anche per gli altri, sia il vero senso della libertà e del rispetto reciproco. Cominciamo dalle piccole cose, dai piccoli cambiamenti, come il bimbo che raccoglie le stelle marine sulla spiaggia ogni mattina… Non si può pensare di cambiare il mondo, ma intanto si può cominciare…

Che c’entrano le stelle marine?

È una piccola storia: un bambino ogni mattina si reca in riva al mare ed ogni giorno trova tantissime stelle marine abbandonate dal mare sulla spiaggia che, se lasciate lì, sono destinate a morire entro breve tempo; così, ogni mattina, lui le raccoglie una ad una e le ributta nel mare. Un giorno passa da lì un uomo il quale si ferma ad osservarlo; dopo un po' gli chiede, tra lo stupito e l'ironico: 'Ma perché raccogli tutte quelle stelle marine e le ributti nel mare? Non lo sai che se anche tu riuscissi a lavorare tutto il giorno senza fermarti mai, ne riusciresti a raccogliere sempre troppo poche rispetto a tutte quelle che comunque rimarranno sulla sabbia a morire?' Ed il bimbo gli risponde: 'Non importa! Quelle che ho raccolto le ho comunque salvate rigettandole in mare.'

Non è che non si può fare niente perché c’è troppo da fare, basta cominciare… e forse qualcun altro, osservando il nostro comportamento, potrebbe imitarlo. E più persone seguono un certo comportamento più altre le imiteranno, in una crescita che può divenire di tipo esponenziale.

È quello che, nella teoria della complessità, si chiama soglia critica, ossia il punto oltre il quale può verificarsi una crescita esponenziale di un fenomeno, come il contagio appunto... ed al di sotto del quale un fenomeno tende invece ad esaurirsi, a spegnersi senza diffondersi.

Sì, è ciò che avviene, ad esempio, per il successo di un prodotto o di un attore, di un libro o di un film, per il diffondersi di una malattia come di una nuova modalità di pensiero, di una moda come di un diverso modo di comportarsi. Io credo che la ridondanza in questo senso giochi un ruolo molto importante, ossia la ripetizione più e più volte, senza fermarsi al primo tentativo che non ha avuto immediato successo. Questo, come abbiamo già detto, non garantisce in alcun modo che si superi la soglia critica, poiché nessuno è in grado di definire a priori il momento in cui questa verrà superata. È come una scommessa, una scommessa etica, che vale la pena di fare comunque...

È anche quella ripetizione dei comportamenti che consente di trasformare un'azione che all'inizio è deliberata ed a volte faticosa in un'abitudine di cui pian piano non ci rendiamo nemmeno più conto, che diviene connaturata a noi, incarnata in noi così profondamente da divenire spontanea.

Sì, e inserendo l'azione personale, divenuta abitudine, all'interno delle reti sociali in cui tutti noi siamo inseriti, ecco che il comportamento virtuoso individuale può divenire collettivo. E quando diviene un comportamento collettivo, ecco che ci sembra ancor più naturale, persino ovvio. La vera differenza rispetto alle abitudini che solitamente ci governano è che l'abitudine di essere etici nei propri comportamenti necessita di essere coltivata dentro di noi giorno dopo giorno, momento per momento, consapevolmente, fino a quando diviene una parte così integrata in noi da non esserci più bisogno di prestarvi una tale attenzione.

È forse quell'atteggiamento che i buddhisti chiamano presenza mentale, e che a noi occidentali manca quasi completamente... È il famoso know-how etico di Varela da cui eravamo partiti all'inizio della nostra discussione per definire che cos'è l'etica... Grazie di cuore! Questa chiacchierata con te è stata veramente piacevole e generativa!

Grazie a te!

Dodici dialoghi su Etica e Complessità. Riferimenti bibliografici essenziali:

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