Siamo abituati a considerare la salute e la guarigione come concetti strettamente legati alla concretezza del corpo: la sensazione di piacere e di dolore, gli esami diagnostici strumentali, i farmaci, i controlli.

Se invece consideriamo l’essere umano come un tutt’uno rispetto all’ambiente nel quale egli è inserito, dal quale ha avuto origine, nel quale trascorre il tempo della sua giornata, allora diventa quasi automatico prendere in esame anche il tema ambientale in senso lato.

In una visione olistica, infatti, l’uomo è inserito in un contesto e da tale contesto non possiamo prescindere. L’uomo ed il suo contesto ambientale vivono in sinergia, in un tutt’uno dinamico, perennemente mutevole, costantemente interrelato.

Anche il malessere ed il benessere, la salute e la malattia, l’equilibrio ed il disequilibrio si inseriscono necessariamente in questa visione complessiva e dinamica.

Così pure la psicoterapia, nel momento in cui si relaziona con un paziente concreto, non con un ideale teorico, ma con una persona vera, con tutte le sue caratteristiche, non può esimersi dal considerare anche il versante ambientale. Lo psicoterapeuta quindi non può evitare di porsi tutte quelle domande che hanno a che fare con l’ambiente:

  • Dove abita questa persona?
  • Dove lavora?
  • Da quale zona proviene?
  • Ha fatto traslochi e spostamenti nella sua vita?
  • Come è la sua casa, l’ambiente in cui vive, la stanza in cui dorme?
  • Esiste un’attenzione verso ordine, pulizia, ricambio d’aria, raccolta differenziata?
  • La casa ed il luogo di lavoro sono situati in una zona salubre, ben esposta?
  • Esiste un rispetto degli spazi personali e degli spazi comuni?
  • Esistono inquinanti ambientali nelle vicinanze?
  • La persona ha attenzione e rispetto nei confronti di tutti questi aspetti? Fa attenzione a queste cose o non si è mai posta queste domande da sola?

Tutte queste informazioni riguardano il paziente, la sua vita e la sua storia.

A tutto questo – che rappresenta un bagaglio fondamentale di conoscenze da acquisire in fase diagnostica – si aggiunge poi un’analoga indagine sul terapeuta stesso e sull’ambiente nel quale la terapia ha luogo.

Allora in questo caso il terapeuta stesso deve porsi le stesse domande, ma declinate su di sé e sullo spazio – mentale, fisico, materiale, spirituale – che egli mette a disposizione del paziente e della terapia stessa.

Il terapeuta è egli stesso un animo “pulito”? In altre parole, ci dobbiamo chiedere se la sua vita segue quei princìpi di base, di etica, di comportamento, di civiltà e di rispetto che soli possono permettere di favorire nell’altro un miglioramento di vita.

Il terapeuta è “sostenibile”? In altri termini, la terapia che mette in atto, le azioni che compie, le indicazioni che dà seguono una via di rispetto verso l’altro e verso l’ambiente? Traspare dal comportamento e dall’ambiente stesso una serenità di fondo, una limpidezza, un senso di profondo rispetto per la natura umana e quindi per la natura stessa? Il mondo della terapia è un mondo che rispecchia i princìpi della riduzione dell’impatto, dell’evitamento degli sprechi, dell’utilizzo attento e finalizzato dell’energia del paziente?

La terapia è un’azione pulita, attenta, rispettosa, armonica?

Così infatti ha da essere. Est Modus in Rebus.