Un signore di mezza età, sensibile e colto, che non aveva mai sofferto di alcun disturbo psichico, quattro anni fa subì un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) e fu ricoverato per un mese in reparto psichiatrico. Dopo essere stato dimesso con una diagnosi di schizofrenia, continuò a prendere psicofarmaci, cominciò ad andare in psicoterapia e da allora non è mai più riuscito a tornare a una vita “normale”, senza farmaci, ma soprattutto senza la frustrante percezione di sentirsi “sbagliato”, “malato”, “mentalmente disturbato”.

Ma che cosa successe a quest'uomo quattro anni prima? Un pomeriggio come tanti altri il rispettabile signore, dopo essersi recato al cimitero, scavò con le unghie la terra attorno alla tomba della madre. Poi, in uno stato di onirico appagamento, ma non privo di coscienza, vagò per le strade della sua cittadina fino a tarda ora. La moglie, non vedendolo rincasare e non potendolo raggiungere telefonicamente – l'uomo non possedeva un cellulare – cominciò a cercarlo. Lo trovò alle nove di sera, non lontano da casa, mentre camminava ancora immerso in quello stato sognante. La moglie, sconvolta dalla straordinarietà del comportamento del congiunto, incapace di sostenerne il (non)senso, chiamò un'ambulanza e lo fece ricoverare in psichiatria, dove naturalmente gli fu diagnosticata una psicosi. Così il pover'uomo inaugurò la sua identità e la sua “carriera” di malato mentale.

Ancora oggi è seguito da uno psichiatra e assume psicofarmaci. Ma che cosa successe in realtà? Il signore non aveva fatto nulla di male, il suo comportamento non aveva arrecato sofferenza né a se stesso né ad altri, e se la moglie l'avesse affiancato affettuosamente, se l'avesse aiutato ad assimilare coscientemente il suo gesto, anziché temerne la vergogna e la condanna sociale, forse si sarebbe evitato un altro caso di patologia psichica. Si sarebbe strappato quell'uomo al dominio della malattia, e lo si sarebbe giustamente riconsegnato ai significati di un'esistenza più piena, più profonda e spirituale.

A questo proposito lo storico dell'arte tedesco Wilhelm Worringer nel suo bellissimo libretto Astrazione ed empatia sosteneva che la vera arte, così come la vera religione, nasce per soddisfare profondi bisogni psichici.

La vera arte ha soddisfatto in ogni tempo una profonda esigenza psichica; non così l'impulso puramente imitativo, il piacere superficiale di riprodurre il modello della natura. In base a questa concezione il valore di un'opera d'arte, ciò che noi chiamiamo la sua bellezza, consiste nella sua facoltà di suscitare felicità1.

Ed era questo che evidentemente il signore aveva cercato recandosi presso la tomba della madre, il soddisfacimento di una profonda esigenza psichica. Come l'arte puramente imitativa non può lenire l'affanno di un animo assetato di significati più profondi, allo stesso modo, molto probabilmente, i rituali stereotipi del culto cattolico non sono più in grado di soddisfare la sete spirituale delle persone. Recandosi presso la tomba della madre, e scavando la terra tutto intorno alla lapide, quell'uomo aveva potuto accedere a una gestualità forte, slegata dalla quotidianità, che forse l'aveva aiutato ad appagare il suo bisogno di trascendenza.

Se un gesto fuori dal comune, originale, eccentrico è compiuto da una persona insignita di una qualche forma di autorità – economica, politica, ecclesiastica, artistica, ecc. – allora gode di prestigio e di rispetto, ed è suscettibile di diventare arte, o culto, o religione. Al contrario, se viene compiuto da una persona priva di potere, viene additato, punito, chiamato “follia”, sintomo di una malattia mentale.

I funzionari del culto cattolico si arrogano il diritto e il monopolio del “commercio” col divino, discorrono della natura di Dio, offrono ad altri uomini dischi di pane azzimo sostenendo che si tratti del corpo di Cristo, stilano decaloghi etici di dubbia moralità, ecc. Sebbene molto raramente siano le persone più adeguate ad appagare la sete spirituale dei credenti, sono tuttavia figure rispettate che godono di un grande potere. Invece il signore che si è fatto sacerdote del proprio regno interiore, che ha tracciato con gesti potenti il legame tra mondo dei vivi e mondo dei morti, tra l'al di qua e l'aldilà, si è arreso, ha chinato il capo, ha accettato di essere malato e di essere trattato con psicofarmaci, con grave smacco per il suo orgoglio e per la sua integrità personale. L'unica cosa che si sarebbe dovuta prescrivere a quel signore non era una cura di psicofarmaci, ma un'alta dose di orgoglio e fiducia in se stesso.

(Estratto da: La variabile umana, Eleuthera, 2019. Per gentile concessione della casa editrice)

1 Wilhelm Worringer, Astrazione ed empatia, Einaudi, Torino, 2008, p. 67.