Valuta un uomo [e una donna] dalle domande che pone piuttosto che dalle risposte che dà.

(Pierre-Marc-Gaston, duc de Lévis)

C'è una nuova tendenza in negoziazione che consiste nell’ispirarsi e prendere in prestito tecniche e metodologie tipiche della crescita personale. Per me, che sono nel campo del miglioramento delle persone da quasi trent’anni, è una novità molto interessante perché dimostra che all'approccio classico economico e razionale nella negoziazione finalmente viene affiancato anche un approccio nuovo basato su emozioni, ascolto e motivazione.

William Yuri, professore di Harvard, ha interamente dedicato Getting to Yes with Yourself And Other Worthy Opponents alla negoziazione con se stessi espandendo tutti quegli aspetti di introspezione e di lavoro sulla propria autostima, sulla propria gestione degli stati, sulle proprio credenze limitanti tipiche della crescita personale.

Il professor Michael Wheeler addirittura nel suo libro The Art of Negotiation: How to Improvise Agreement in a Chaotic World si ispira alle metodologie e alle tecniche del teatro dell’improvvisazione, forse la corrente teatrale più vicina in assoluto al miglioramento personale in quanto punta a sviluppare nell’improvis-attore quelle doti di flessibilità, curiosità, creatività, capacità di guardarsi dentro e affrontare e vincere le proprie paure tipiche di un percorso di evoluzione e miglioramento della persona.

Un tempo un saggio disse: “La qualità della tua vita dipende dalla qualità delle tue domande”. E potremmo dire che il tuo destino dipende dalla qualità delle tue domande.

Pensa a Elon Musk creatore di Tesla che si è chiesto: “Come possiamo usare meno petrolio nel mondo?”.

Oprah che ha costruito la sua carriera sulla domanda: “Come posso aiutare le persone ad essere la miglior versione di se stesse nella loro vita?”.

E ancora Steve Jobs che si chiedeva: “Come possiamo mettere un computer in mano a tutti nel mondo?”.

I negoziatori eccellenti hanno attinto al lavoro di giganti come Carl Rogers, per l’ascolto e la riformulazione, Abraham Maslow, per la teoria dei bisogni umani e l’auto-realizzazione ed anche a tutta quella vasta metodologia riassunta sotto la parola coaching.

Il coaching è una delle più efficaci metodologie per facilitare le persone nell’attivare tutte le proprie risorse interiori al fine di raggiungere un determinato obiettivo concordato con il coach stesso, obiettivo che può essere sia nella sfera personale sia in quella professionale.

I negoziatori eccellenti, così come i coach eccellenti, facilitano i processi, lasciando che sia l’altra parte trovi da sé le proprie soluzioni che alla fine sono anche quelle migliori per loro.

Tipico del coaching è l’utilizzo delle domande. Le domande più appropriate per motivare, testare, ispirare, facilitare, celebrare e spronare il cliente. Probabilmente tra gli strumenti di un buon negoziatore, l’abilità nel porre le domande giuste al momento giusto è forse quella più importante.

La potenza e magia nel coaching consiste proprio nell’aiutare il cliente a trovare le proprie risposte. Quando una persona trova le proprie risposte e soluzioni, oltre a sentirsi molto più autonoma e in controllo, è infinitamente più motivata a mettere in atto rispetto a farsi dire da qualcun altro qual è la risposta o soluzione migliore.

Sin dal 1966 Jack e Sharon Brehm hanno studiato quel fenomeno conosciuto in psicologia come “legge di reattanza”, che in breve sostiene quello che tutti sappiamo d’istinto: a nessuno piace che gli venga detto cosa fare, anzi quando qualcuno ci dice cosa fare consapevolmente o più spesso inconsapevolmente facciamo resistenza anche se si tratta di qualcosa che avremmo fatto se non ci fosse stata detta.

Più un persona insiste perché facciamo qualcosa, meno abbiamo voglia di farla, anzi ci vien voglia di fare il contrario. Chiunque abbia dei figli adolescenti può confermarvi l’esattezza di questa legge psicologica.

Il corollario della legge di reattanza è quello dell’autonomia dell’individuo: nessuno è obbligato a far nulla, la scelta è sempre tua.

Quindi se ogni persona è giustamente libera di fare quello che vuole e se la stragrande maggioranza delle persone risponde negativamente a ciò che viene detto loro di fare soprattutto se imposto e sotto minaccia di severe conseguenze, qual è il modo migliore per rispettare l’autonomia delle persone e allo stesso tempo facilitarle nello scegliere le migliori direzioni per tutti in negoziazione (e non solo)?

Sì molto bene, sono proprio le domande.

Perchè le domande rispettano in pieno l’autonomia e la libertà della persona, non impongono ma aprono possibilità e conversazioni, quindi coinvolgono e fanno sentire le persone in controllo. Perché le domande stimolano la persona a trovare le proprie soluzioni e risposte al problema negoziale e ad essere molto più motivate a metterle in pratica perché sono le loro idee, non le tue idee o suggerimenti.

Pensa che la tecnica delle domande è stata tra l’altro utilizzata con successo per ridurre le violazioni alla libertà condizionata dei detenuti nello stato del Connecticut. I detenuti in libertà condizionata devono a intervalli regolari e stabiliti fare visita all’ufficiale proposto al loro caso. La mancata visita senza seri motivi potrebbe avere come conseguenza la sospensione della libertà condizionata ed il ritorno in carcere.

Gli ufficiali di polizia che utilizzano le domande con i detenuti in libertà condizionata hanno molto più rispetto delle visite obbligatorie e molti meno casi di ritorno in carcere rispetto agli ufficiali che minacciavano i detenuti se mai avessero saltato una visita.

Le domande sono talmente importanti e utili che Google ha costruito un azienda mondiale multi-miliardaria creata sulla base delle domande.

Il filosofo americano Sam Keen sostiene che “quello che davvero da forma alle nostre vite sono le domande che facciamo, le domande che ci rifiutiamo di fare, le domande che mai penseremmo di fare.”

Il ricercatore Neil Rackham ha studiato per 9 anni centinaia di negoziatori, quelli mediocri e quelli esperti.

Secondo te chi fa più domande: i negoziatori mediocri o quelli esperti?

Una delle caratteristiche fondamentali dei negoziatori esperti è che fanno il doppio di domande rispetto ai negoziatori mediocri. Le domande costituiscono il 21% del dialogo dei negoziatori esperti mentre solo il 10% del dialogo dei negoziatori mediocri.

Le domande sono in assoluto lo strumento più potente ed efficace per comprendere la prospettiva dell’altra parte. Ci danno un vantaggio fondamentale in negoziazione: facendo parlare l’altra parte, questa ci darà preziose indicazioni da utilizzare successivamente per la negoziazione.

Come mai se le domande sono così potenti non le usano di più tutti i negoziatori bensì solo quelli eccellenti?

Perchè la maggior parte dei negoziatori e delle persone in genere pensa di avere già le risposte. Spesso cadiamo nell’illusione di sapere esattamente cosa pensa e cosa vuole l’altra persona, prendendo delle cantonate pazzesche.

Secondo il neurologo John Kounios uno dei modi che il cervello utilizza per ridurre il nostro carico mentale è accettare le cose senza fare domande o accontentarsi di presupposizioni. Per questo abbiamo bisogno di fare uno sforzo consapevole per allenarci a fare più domande. Certo che sul divano a guardare la televisione siamo più comodi, ma se ci sforziamo di alzarci per andare a camminare, correre o in palestra il nostro corpo e mente ci ringrazieranno dandoci nel tempo maggiore longevità, energia e vitalità. Come dice il mio guru indiano di Bali: “Non tutte le cose piacevoli sono buone e non tutte le cose buone sono piacevoli”.

Paul Harris, psicologo di Harvard, ha dimostrato che un bambino pone circa 40.000 domande tra i due e i cinque anni con una media di circa 100 domande al giorno.

Peccato che già alla scuola media i bambini smettano di fare domande. Purtroppo la scuola, penalizzando le risposte sbagliate, ci allena solo ad avere le risposte giuste, peraltro decise dal curriculum scolastico e dai testi scelti dai professori, spegnendo la capacità di porre domande e quindi di sviluppo del pensiero critico.

Shunryu Suzuki maestro Zen giapponese enfatizza il concetto di “shoshin” ossia “mente del principiante” affermando che: “Nella mente del principiante ci sono infinite possibilità, in quella dell’esperto poche.”

I principianti, come i bambini piccoli, non hanno paura di fare domande, ne pongono diverse perché hanno bisogno di capire e apprendere. L’esperto purtroppo, sicuro della sua conoscenza, tende a porne poche.

La mente del principiante è simile alla mente del bambino dai 2 ai 5 anni, non ci sono preconcetti, né presupposizioni né pregiudizio ma solo una genuina curiosità di comprendere ed imparare.

Steve Jobs era famoso per mettere in discussione tutte i dogmi del mercato e della tecnologia attraverso tante domande volte a decostruire idee e concetti per verificare che cosa si potesse fare di meglio e di nuovo, cosa che gli ha permesso di essere uno dei più grandi innovatori tecnologici a cavallo di due millenni.

Le domande sono la base per le scoperte scientifiche e l’invenzione di nuovi prodotti e servizi.

Nel 1970 Bernard Sadow, che lavorava come dirigente in un azienda di valigie, mentre stava portando di peso due pesanti valigie in aereoporto si accorse di alcuni operai che lavorando in un’area in costruzione dell’aereoporto stavano spostando un pesante macchinario grazie ad un piano dotato di ruote. Si chiese allora come sarebbe stato se avesse aggiunto delle ruote anche alle sue valigie. Fu così che nacque il primo prototipo di valigia a quattro ruote e grazie a Sadow possiamo oggi trascinare facilmente le nostre valigie dotate di ruote.

Capperi ci abbiamo messo solo 200 anni a pensarci e se Sadow non si fosse fatto quella domanda forse saremmo ancora in quelle condizioni (fu nel 1700 che il bagaglio divenne più simile a quello che abbiamo in mente oggi e peraltro la ruota era stata inventata da tempo: nel 3.500 a.C).

E come possiamo usare le domande al meglio?

Le domande più efficaci si basano su due elementi fondamentali. Il primo uno stato mentale di reale curiosità, di non-giudizio, se volete un socratico “so di non sapere”, che ci permette davvero di ascoltare la risposta. Il secondo, il giusto tono, un modo di porre la domanda calmo e rispettoso; una domanda posta con biasimo o accusa perde tutto il suo valore.

Per esempio, confronta: “Perchè non hai riordinato la tua stanza?” detta in tono seccato con: “Cosa può essere detto o fatto affinché tu possa riordinare la tua stanza?” detta con tono calmo e rilassato.

Il rispetto sembra qualcosa di scontato o forse di non così importante, in realtà è più potente della tortura per ottenere informazioni.

Racconta il professor Cialdini nel suo libro, Pre-Suasione, del caso di Abu Jandal, il capo delle guardie di Osama Bin Laden. Jandal, a pochi giorni dall’attacco alle torri Gemelle a New York, veniva interrogato in una prigione di massima sicurezza in Yemen. Nulla sembrava funzionare per farlo parlare fino a quando gli inquirenti si accorsero che Jandal non mangiava mai i biscotti che facevano parte del suo pranzo. Intelligentemente gli agenti che lo interrogavano si chiesero “perché” e scoprirono che Jandal era diabetico.

E decisero durante il successivo interrogatorio di servirgli dei biscotti senza zucchero con il tè. Questo atto inaspettato e soprattutto di rispetto per la condizione di salute della persona di Jandal fece sì che questi iniziasse finalmente a confessare e fornire agli inquirenti informazioni importanti sulle operazioni di Al Quaeda, arrivando a fornire anche i nomi di 7 degli attentatori dell’11 settembre.

Da 0 a 10 quanto sei convinto adesso dell’importanza di porre e porsi più domande?