Siamo nati per ricordarci che siamo perfetti, per guarire da questa dimenticanza, dall’oblio di chi veramente siamo.

E mi sovviene l’immagine del fiore di loto, bellissimo, perfetto, affonda le sue lunghe radici nel fango da cui nasce e in cui vive.

Nel corso dell’esistenza ci ammaliamo, rimaniamo intrappolati nel fango dei vissuti emozionali dolorosi e non percepiamo più la nostra bellezza, e la psiche è il maggiore responsabile poiché regola la risposta alle emozioni.

Ogni cosa ha origine nella psiche.

Buddha ha detto:

Ogni uomo e ogni donna è l’architetto della sua guarigione e del suo destino.

Sappiamo che i pensieri e le emozioni influenzano la salute, ma temiamo che il corpo ci tradisca, non ascoltiamo i suoi segnali, così tratteniamo creando sempre più densità nel corpo. Ma vi è un’intelligenza naturale che sa tutto: guida la ghianda a diventare una quercia, dirige le cellule dall’embrione al bambino, fa rimarginare una ferita. È questa intelligenza che ci fa vivere, battere il cuore, digerire e assimilare le sostanze nutrienti del cibo, essa scorre nel sistema nervoso autonomo che è il più grande guaritore del mondo, dobbiamo solo affidarci e lasciarlo fare.

Il corpo può rigenerarsi qualunque sia la condizione.

Come afferma Deepak Chopra, medico, scrittore, creatore della Meditazione del suono primordiale:

Le emozioni, il corpo, la mente, le esperienze sensoriali: udito, tatto, vista, sono tutte finestre aperte sulla nostra farmacia interiore.

Con il termine GuarirSì intendo due processi; il primo riguarda la guarigione che è sempre un’auto-guarigione, nessuno guarisce nessuno.

Il terapeuta o chi esercita una professione d’aiuto è soltanto un compagno di viaggio, un ponte tra sé e il paziente. Il sottintende la volontà del soggetto di guarire. Senza l’atto di volontà del soggetto la guarigione non accade. Parte da una scelta precisa, consapevole, di iniziare questo viaggio alchemico dentro se stessi, nel profondo per comprendere il fine piuttosto che la causa della malattia.

Cerchiamo di comprendere il processo della guarigione.

La ricercatrice Kelly Turner ha studiato oltre 1500 casi di remissione spontanea, individuando 9 regole che compongono il lavoro emozionale mentale che conduce alla guarigione:

  • modificare la dieta alimentare;
  • assumere il controllo della propria salute;
  • seguire le intuizioni;
  • utilizzare erbe e integratori;
  • rilasciare emozioni soppresse;
  • aumentare emozioni positive;
  • accettare il supporto sociale;
  • approfondire la conoscenza dello Spirito;
  • avere una forte ragione per vivere.

Soltanto due di queste regole riguardano cambiamenti fisici (dieta e assunzione di erbe), le altre sono tutte trasformazioni dei piani mentale- emozionale-spirituale. La parola remissione può essere intesa come ricordare la missione.

E cos’è lo spirito? Nei tempi antichi esso era inteso come “forza invisibile e in movimento che influiva sul regno fisico”. Al tempo attuale la fisica quantistica ha confermato che sono proprio queste forze che controllano ogni cosa, forze che la medicina tradizionale ha ignorato.

E qual è l’energia invisibile per eccellenza? Il pensiero è la forza invisibile della mente che dà forma al corpo ma anche al rapporto con il mondo in cui viviamo. E così come un pensiero positivo placebo può guarirci da ogni malattia così un nocebo, ossia un pensiero negativo, può davvero causare qualsiasi malattia e portare alla morte solo per il fatto di crederci. I pensieri vitali producono sostanze chimiche vitali, i pensieri tossici producono sostanze tossiche.

Se pensiamo all’effetto placebo possiamo constatare quanto la fede può modificare la biologia! Se credo che quello che sto assumendo è un farmaco la biologia del mio corpo si attiverà come fosse davvero in circolo, ciò spiega inconfutabilmente l’innata capacità del corpo di guarire attraverso il pensiero.

La fede si può riassumere in questa frase: “Se ci credo posso farlo!”.

Bruce Lipton, biologo cellulare statunitense convinto che i pensieri possano modificare i geni e il DNA, afferma:

Se cambio la mia percezione, la mia mente, se cambio il mio pensiero sulla vita, cambio i segnali che penetrano e che regolano le funzioni delle cellule.

La medicina tradizionale però non ci aiuta a conoscere la complessa connessione mente-corpo-emozioni. Michael Bernard Beckwith, fondatore del Agape International Spiritual Center lo spiega molto bene:

Abbiamo un sistema sanitario malato, in cui dottori e compagnie assicurative trattano i sintomi senza arrivare davvero alle cause primarie e in molti casi non trattano la persona nel suo complesso. Trattano i sintomi, per cui poi prescrivono un medicinale che ha degli effetti collaterali e così è il cane che si morde la coda. Più tossicità, più disturbi, più problemi di salute.

La medicina tradizionale certamente è efficace con gli eventi fisici traumatici, essi rappresentano il 10% delle malattie acute che necessitano di un intervento urgente e immediato ma col restante 90% di malattie croniche è sprovvista di strumenti che non siano i farmaci, l’industria farmaceutica diviene così la ‘grande salvatrice’.

La malattia cronica necessita di un approccio olistico che comprenda mente-corpo-emozioni e come le esperienze influenzino su quest’asse.

Perché diamo più autorità a un camice bianco piuttosto che all’intelligenza del corpo?

Joe Dispensa, chiropratico, scienziato e ricercatore, fornisce una risposta:

È importante che la gente capisca che quando riceve una diagnosi, se cade vittima della prognosi senza considerare davvero se ci siano altre opzioni, senza realizzare davvero che possano fare qualcosa di diverso, che potrebbero operare delle scelte nuove, che dovrebbero andare oltre alcune emozioni e superare i limiti del loro pensiero, se possono capire questo, se riescono a farlo, si apriranno nuove possibilità grazie ai loro cambiamenti personali. Ed è in quel momento che iniziano ad apparire cose magiche di ogni genere nella vita di una persona.

Vi sono due elementi interdipendenti che lavorano insieme: la mente cosciente e la mente subcosciente. Quante volte vi è capitato di guidare mentre state pensando intensamente a qualcosa, vi accorgete all’improvviso di aver guidato in modalità pilota automatico, ecco questa è la mente subcosciente che contiene tutte le programmazioni, mentre il processo ideativo, la creatività è affare della mente cosciente.

Quando guardiamo al mondo stiamo operando attraverso la mente subconscia con i suoi programmi che sono prodotti dall’assunzione di comportamenti altrui, dei genitori, dei fratelli, della comunità nei primi sette anni di vita.

Se cresciamo in un ambiente familiare conflittuale, rabbioso e non abbiamo gli strumenti per elaborare le emozioni nel preciso momento in cui le esperiamo, quella emozione diventa una memoria, vediamo il mondo come se avessimo ancora quattro anni. Immaginiamo, ad esempio, che da piccoli all’uscita di scuola il nostro genitore è arrivato in ritardo a prenderci, aspettando abbiamo provato un senso di abbandono, paura, sconforto, abbiamo memorizzato quella risposta. Se succede ora, da adulti, che aspettiamo una persona che ritarda, si riattiva quella risposta emotiva, viene rievocata; ecco, dobbiamo lavorare su questo ‘nel qui e ora’.

Cercare di evitare la mente subconscia è come sfuggire alla propria ombra, è impossibile! Devi affrontarla, guardare al problema come una porta e riconoscere che i sintomi e le cause dello stress hanno un significato e sono un’occasione di risveglio.

È fondamentale, quindi, entrare in osservazione di se stessi e decidere di guarire.

Come disse Ippocrate:

Prima di cercare la guarigione di qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare.

Nella frase di Ippocrate è sotteso quello che Freud chiamava “il vantaggio secondario della malattia”; sto male, sono arrabbiata, vivo nel conflitto e la malattia fa avvicinare i familiari, gli amici che cercano di consolarmi, di aiutarmi, di sostenermi ma ciò mi deresponsabilizza dal lavoro interiore, divento la mia malattia. Oppure la malattia può servire a ‘mettersi in pausa’ da eventi stressanti, evitando così di compiere azioni, scelte atte alla risoluzione della malattia stessa.

Nella mia esperienza decennale con i malati oncologici terminali ho potuto constatare proprio questo processo, ho conosciuto persone che erano diventate la loro emozione repressa.

Ricordo una paziente di 66 anni, tumore al colon con metastasi epatiche e ossee, stadio terminale. La sua ferita iniziale era collegata alla madre che lei accusava di non averla amata e riconosciuta come persona, di essere anaffettiva. Tale emozione repressa, non nominata, era mutata in proiezione; accusava i suoi familiari delle stesse mancanze, nutrendo da tempo la “forma pensiero” rabbia che aveva completamente risucchiato come un buco nero tutta la sua luce, coprendola come un’ombra, riducendola a un corpo rinsecchito, immobile, preda di quella energia negativa: era diventata la sua rabbia.

Qual è la principale causa della malattia? Certamente lo stress che si divide in tre tipi: stress fisico come incidenti, traumi, cadute. Stress chimico ovvero batteri, virus, cibo, metalli pesanti, livelli di zucchero nel sangue. In ultimo ma non meno importante è lo stress emotivo; tragedie familiari, separazioni, divorzi, perdite di lavoro o problemi finanziari, per citarne alcuni.

Gli stressor causano un disequilibrio nel cervello e nel corpo. La malattia è come subire un colpo, gli ormoni dello stress inibiscono il sistema immunitario che interviene cercando invano di ritornare all’omeostasi, all’equilibrio. Se vivi in modalità attacco e fuga, i livelli del cortisolo aumentano e compromettono il funzionamento di tutto l’organismo. Nei tempi antichi il pericolo erano le bestie feroci, le intemperie, adesso è il capo, la moglie, il mondo stesso è diventato un luogo pericoloso e i media non fanno altro che diffondere la chimica della paura. La risposta al pericolo è la medesima, cambiano solo i fattori ambientali.

Quindi favorire il processo di conoscenza del complesso funzionamento delle parti che compongono l’unità ritengo sia fondamentale per rendere la persona padrona della propria salute psico-fisica-spirituale. Bisognerebbe potenziare il ruolo dello psicologo, così sfocato nell’approccio sanitario attuale, come agente di prevenzione del ben-essere, esistere al meglio e vivere la vita pienamente significa proprio questo: cominciare a pensare alle emozioni in termini positivi, a viverle come una risorsa.

In questa società anestetizzante si tende ad allontanare il dolore, a reprimerlo, negarlo addirittura. Se invece lo accogliamo con l’amore sfumerà come la nebbia.

La parola “trauma”, a mio parere, ha un’accezione negativa che attiva una posizione deprimente, ha un effetto deresponsabilizzante, il soggetto potrebbe dire: ho avuto questo trauma da piccolo e sono il risultato dello stesso. Guarire da tutti i traumi è difficile, perciò resto nella malattia, nel conflitto. Parlerei, invece, di nodi da sciogliere, di risorse, di opportunità: si è creato un nodo nella relazione con l’altro, ad esempio con i genitori che sono maestri per i figli perché sono i primi con i quali si sperimentano le emozioni, quell’emozione esperita serviva a lavorare con quella parte di noi che voleva essere ascoltata.

Difendendoci nel tempo dal dolore, questi nodi aumentano fino a diventare come Dart Fener, il personaggio della saga di Star Wars, blindato nella corazza delle numerose difese come la negazione, la fuga, la proiezione che è quella più utilizzata; proiettiamo sull’altro o sul mondo esterno la causa dei nostri mali. Se invece spostiamo il locus of control da fuori a dentro iniziamo il lavoro interiore e smettiamo di attribuire al destino, alla sventura, alla sfortuna gli eventi della vita, prendiamo consapevolezza di avere un ruolo in ciò che ci accade. All’interno della corazza di Dart Fener vi è un bambino impaurito, che soffre e vuole essere ascoltato.

La sofferenza è necessaria, è maestra, permette di percepire la gioia, la gratitudine, la compassione, la soddisfazione, sentimenti così ambiti ma che spesso allontaniamo per paura.

È importante, quindi, focalizzare l’attenzione sul ‘qui e ora’, su come la persona regola e integra le emozioni, come fa fluire la sua energia vitale, non è essenziale ricercare l’origine dell’evento traumatico ma come il corpo adesso manifesta i conflitti che la coscienza, nega, reprime o rifiuta.

Affidarsi è fondamentale, la fede è stare nel mistero, sapere di non sapere. Fidarsi di se stessi, degli altri, ci salva dall’angoscia provocata da eventi o moti interiori e ci pone in una condizione di accoglienza e di ricevimento dell’aiuto necessario per il nostro viaggio in questa dimensione. La consapevolezza ha il potere di guarire.

Concentriamoci sulla vita, su ciò che ci rende felici, sull’amore, ogni giorno facciamo qualcosa che ci rende gioiosi!

Il tuo scopo nella vita è quello di trovare uno scopo e dargli tutto il tuo cuore.

(Buddha)