Ipnotizzato dalla propria immagine riflessa, l’uomo contemporaneo-Narciso si culla in un circuito egotico che lo tiene lontano dalla durezza creativa del contatto con la realtà. Il narcisista, in fondo, è un uomo che ha paura: il mondo là fuori, che lo chiama come fa la ninfa Eco, rappresenta in verità una minaccia, un’incognita che si preferisce non affrontare. Perdersi per perdersi, tanto vale perdersi in sé stessi! Fa meno paura.

(Mauro Magatti, Chiara Giaccardi, Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, 2014)

L’uomo è un soggetto sociale: la cultura è ciò che determina nelle persone il senso di appartenenza al gruppo, alla comunità. La cultura è il “terreno comune” di confronto tra le persone, perché è attraverso l’adesione ad una cultura condivisa che esse si riconoscono come appartenenti ad una medesima identità sociale.

Il termine cultura è di origine latina e deriva dalla radice colere, che significa coltivare: può essere interpretato come il processo di coltivazione dei campi, in cui le variabili necessarie sono il tempo e la condivisione di esperienze tra più persone che si adoperano insieme per l'ottenimento di un risultato finale comune: il raccolto. Al concetto di coltivazione - e quindi di coltura/cultura - è associato anche quello di crescita, sviluppo, miglioramento: da qui l'idea di cultura come processo di coltivazione della mente umana, il processo educativo, che consente l'acquisizione e il miglioramento dei saperi e dei comportamenti delle persone inserite in un dato contesto sociale.

La cultura che si manifesta in una collettività rappresenta il processo di organizzazione delle idee che circolano tra le persone, ed è proprio attraverso tale processo di adesione ad un medesimo paradigma culturale che esse possono riconoscersi come membri di una stessa comunità.

Il paradigma culturale

Il concetto di paradigma - termine derivato dal greco paradeigma che significa modello, progetto, esempio - fino alla metà del '900 viene generalmente utilizzato per definire le regole grammaticali di un verbo o, nella retorica, come termine per indicare un argomento fondato su un esempio, come avviene nelle favole o nelle parabole. Solo dal 1962, con la pubblicazione di The Structure of Scientific Revolutions di Thomas Kuhn, esso assume un’accezione ben precisa: con il termine paradigma ci si riferisce ad un modello di pensiero in uso in qualsiasi disciplina scientifica e, più in generale, in qualunque contesto epistemologico.

Il paradigma scientifico, nell'accezione introdotta da Kuhn, non rappresenta solo l'insieme delle regole su cui è fondata la ricerca scientifica, agevolmente esplicitabili e riconoscibili come tali: esso rappresenta anche, e soprattutto, ciò che non è esplicitamente indicato, ma che tuttavia garantisce l'appartenenza al gruppo di ricerca ed il suo riconoscimento come tale e da cui scaturiscono le regole stesse.

Il concetto di paradigma scientifico si è esteso agevolmente al concetto di paradigma come "visione del mondo" o Weltanschauung: esso viene usato per descrivere l'insieme di credenze, valori ed esperienze che definiscono il modo in cui una persona - o una collettività - percepisce la realtà circostante e risponde ad essa; diviene così la lente attraverso cui la persona, o una comunità, percepisce sia la realtà che la circonda, sia sé stessa inserita in questa realtà. Il concetto di paradigma scientifico viene così esteso agevolmente alla definizione di paradigma sociale.

All’interno di una data comunità, il paradigma è rappresentato da ciò che viene dato per acquisito a livello culturale - presupposti su cui normalmente non ci si sofferma - e che determina un insieme di comportamenti sociali che a loro volta confermano il sistema di credenze di appartenenza. I valori e le credenze condivisi possono essere considerati alla stregua di un sistema di percezione sociale, poiché diventano come delle lenti attraverso cui la persona vede il mondo ed interpreta le proprie esperienze; attraverso queste lenti si decide quali siano le esperienze rilevanti, tali cioè da poter esprimere un significato comune. La percezione della persona si allinea a quella dominante nella comunità di appartenenza; i comportamenti si assimilano per senso di appartenenza e per timore della diversità. Questo sistema percettivo sociale condiziona la rete di comunicazione tra le persone attraverso lo svolgimento di un processo circolare di influenza e di auto-rinforzo.

Come sistema di percezione sociale, la cultura genera una propria rappresentazione del mondo che è condivisa da tutti gli appartenenti alla comunità. Tale sistema viene utilizzato dalla stessa comunità per distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è, definendo in tal modo il proprio confine identitario; ovverosia, ponendo delle delimitazioni alla propria identità culturale e generando in tal modo un senso di appartenenza per chi ne è incluso.

Separazione, individualismo, senso di impotenza

Si parla di paradigma dominante per sottolinearne la pervasività, spesso occulta, nei confronti di chi ne è soggetto. Il radicamento di una comunità in un paradigma dominante genera una condizione di potere della cultura sulle persone che appartengono alla comunità; un potere delle idee che conferisce uno stile univoco alla comunità.

Qual è il paradigma dominante, la cultura in cui siamo immersi e che pervade le nostre menti e i nostri comportamenti, allontanando tutto ciò che non le corrisponde, tutto ciò che è radicalmente diverso nei suoi presupposti fondanti?

Sono innumerevoli i contributi su questo tema, anche molto profondi, che hanno evidenziato in questi anni i diversi elementi che costellano la nostra cultura. Ma qui, in questo breve scritto, possiamo scegliere solo alcuni di questi elementi: la separazione, l’individualismo, il senso di impotenza. Sono elementi coerenti tra loro: l’uno implica e rafforza l’altro.

La separazione è pervasiva ad ogni ambito della nostra cultura: sono separati i saperi, per cui ognuno è specialista della sua piccolissima fetta di conoscenza. Sono separate le persone tra loro, poiché il benessere è esclusivamente personale e ottenibile a scapito degli altri. È separata la persona stessa, in quanto la razionalità non può essere influenzata o, peggio, deviata dai sentimenti e dalle emozioni personali.

L’individualismo è la leva fondamentale di questo paradigma culturale: siamo individui compiuti in sé, e la nostra auto-realizzazione è l’aspirazione più grande a cui possiamo tendere.

La società non esiste. Esistono soltanto gli individui: uomini, donne e le loro famiglie.

È una frase lapidaria, e non è stata detta da una persona qualsiasi, magari con difficoltà a relazionarsi socialmente. È stata affermata da Margaret Thatcher, leader politica del Regno Unito dal 1979 al 1990. Questa frase rappresenta molto bene il paradigma culturale che ci ha dominato fino ad oggi, non solo nei suoi risvolti culturali, ma anche nelle sue ricadute evidenti nella pratica politica, nel modello economico, nelle modalità di organizzare l’istruzione, nella vita quotidiana. La politica, l’economia, l’istruzione, possono esistere solo in funzione dell’utilità che è in grado di trarne ciascun individuo, atomo sociale tra miliardi di altri atomi sociali.

Passare dall’individualismo ai suoi estremi, come il narcisismo e l’egoismo, è piuttosto facile, con un effetto amplificato sui conflitti tra le persone e, più in generale, tra i diversi gruppi sociali.

Il senso di impotenza diviene così l’effetto quasi scontato dell’individualismo e della separazione. Individualmente, possiamo soddisfare dei piaceri passeggeri, cercando ciò che può essere utile al nostro benessere personale, ma una volta soddisfatto un bisogno dobbiamo ricominciare a cercare nuovi piaceri, in una rincorsa faticosa e senza scopo. Sappiamo bene che per essere felici bisogna essere almeno in due: il desiderio di felicità che connota la nostra esistenza umana fin dalla nascita rischia di diventare solo frustrazione e senso di impotenza nel non riuscire a realizzarlo, una chimera irraggiungibile.

Se volessimo racchiudere i tanti elementi che costellano il paradigma dominante in una sola parola, la più appropriata potrebbe essere “Io”. “Io” come unico e solo punto di partenza e di arrivo. Null’altro esiste se non in funzione di questo io, così grande come l’ego, così piccolo come il bambino spaventato che è in ognuno di noi.

Il contesto in cui ci troviamo oggi a vivere non ci consente più di portare avanti il paradigma precedente; il modo di pensare che ci ha governato sino ad oggi, ora non è più adeguato. Siamo ormai immersi in una realtà che risulta non più sostenibile nel tempo che abbiamo ancora a disposizione per noi e per le generazioni che seguiranno, per cui la necessità di dover cambiare i nostri presupposti è sentita in modo diffuso tra sempre più persone.

È arrivato il momento di prendere coraggio e di abbandonare il paradigma in cui siamo ancora immersi, allargando lo sguardo oltre il nostro io.

Ecco perché è così importante comprendere quali siano le capacità che ognuno di noi deve sviluppare per acquisire maggiore consapevolezza delle relazioni all’interno delle quali è inserito e di quali possano essere gli effetti sia nello spazio che nel tempo del proprio agire.