Il binomio luce-vita è insito nelle nostre coscienze. Ci sono motivazioni culturali di vario tipo alla base di questa correlazione; si pensi al modo in cui varie religioni e spiritualismi associano la luce al bene e le tenebre al male. È interessante scoprire però come ci siano anche prove naturali e scientifiche a dimostrazione di questo spontaneo dualismo. Un gruppo di ricerca statunitense della Northwestern University in Illinois nel 2014 riuscì a catturare, nel corso di una fecondazione in vitro, un fotogramma dell’istante del concepimento: nel momento esatto dell’incontro tra spermatozoo e cellula uovo milioni di atomi di zinco sprigionano la loro energia dando vita a un’esplosione di luce simile a fuochi d’artificio. Tra l’altro, la preziosità di questo esperimento risiede nella possibilità di valutare la vitalità dell’embrione concepito, a seconda dell’intensità luminosa del bagliore liberato.

Sappiamo che l’elettricità è un’invenzione recente, che ha rivoluzionato le nostre vite. Un tempo l’orologio biologico dell’essere umano era perfettamente sintonizzato con l’alternarsi delle ore di luce e delle ore di buio, che scandivano nelle giornate delle persone le fasi di attività e quelle di riposo. La luce artificiale, invece, ci consente di prolungare le nostre giornate fino a notte inoltrata, per rispettare quella o quell’altra scadenza, o fare una bella maratona di serie tv. È inevitabile che tutto ciò abbia ripercussioni sulla nostra salute psicofisica. Per addurre una motivazione fisiologica, l’ipotalamo, che è l’area del cervello deputata alla regolazione di processi fondamentali per la vita - tra cui anche quelli emotivi - ha bisogno della luce naturale per secernere i suoi ormoni, quelli che in parole molto povere ci forniscono l’energia necessaria per non sentire troppo la stanchezza incombere su di noi. E il sole non si può sostituire con una lampada a LED sulla scrivania.

Ma il tentativo prometeico di illuminare il buio nella storia dell’umanità è da ricondurre a tanto tempo prima della scoperta dell’elettricità. Con le risorse naturali a sua disposizione l’essere umano si è sempre ingegnato per adottare sistemi di illuminazione, privati prima e pubblici poi. Alcuni tra questi hanno resistito abbastanza bene all’onda travolgente del progresso e dell’evoluzione tecnologica, mantenendo pressoché inalterato il loro fascino. Mi riferisco alle candele, rifunzionalizzate e risemantizzate nel corso del tempo da elementi essenziali, fonti di luce domestica, a elementi accessori e decorativi, ma comunque indispensabili per creare l’atmosfera. Vorrei approfittare dello spazio di queste righe per ripercorrere, anche se in maniera non esaustiva, le origini spesso sconosciute di quest’oggetto così familiare.

Molte civiltà antiche testimoniano dell’utilizzo di tecniche diverse per la fabbricazione di candele. Più di 3000 anni avanti Cristo, i Romani erano soliti fondere il sego e immergervi rotoli di papiro. In Cina, invece, lo stoppino era realizzato in carta di riso e la cera veniva ricavata da un insetto autoctono. Il principale impiego di queste candele rudimentali era nelle cerimonie religiose: l’elevarsi della fiamma e del fumo è tutt’ora metafora della preghiera rivolta verso il cielo.

Per secoli in Occidente la maggioranza della gente continuò a utilizzare cera a base di grasso animale, perché più economica, anche se assai maleodorante. Nel XIII secolo la creazione di candele era diventata un vero e proprio business redditizio in Francia e Inghilterra dove i fabbricanti si recavano persino nelle case delle persone per creare candele a partire dagli scarti grassi della cucina che venivano conservati a tal proposito. Il Medioevo vide la comparsa di un’importante innovazione rappresentata dalla cera d’api, la quale bruciava in maniera più pulita e gradevole all’olfatto. Essendo più costosa restò tuttavia appannaggio degli individui più facoltosi.

Per la vera e propria industria delle candele bisognerà aspettare il contributo scientifico della chimica nei primi dell’Ottocento con la scoperta della stearina e col brevetto della prima candela moderna di Chevreul e Gay-Lussac nel 1825. Nel 1846 è attribuita a Newton la prima macchina per candele.

La candela contemporanea, invece, si deve all’introduzione della ben nota paraffina, sostanza cerosa derivante dalla raffinazione del petrolio. La pecca di quest’ultima, però, è quella di avere un punto di fusione basso. Ad oggi i piccoli e molto spesso giovani artigiani, con un occhio di riguardo alle questioni dell’ecosostenibilità, sono tornati a prediligere l’utilizzo di cere di origine vegetale come quella di soia, che tra l’altro ha la proprietà di bruciare più lentamente.

È così che la candela si è saputa caricare di nuovi significati, divenendo anche un po’ un emblema dello slow living. Il calore e la luce sono sempre più spesso accompagnati dal profumo che stimola i sensi consentendo un’esperienza più coinvolgente. Anche in questo caso, il primo esemplare di candela profumata è da attribuire ad un chimico francese, Rigaud, che nel 1852 aprì una profumeria a Parigi e una decina d’anni più tardi riuscì a trasferire le sue essenze naturali all’interno di una cera che era in grado di valorizzarle. Si tratta non di fragranze casuali, ma studiate e miscelate secondo i principi dell’aromaterapia, per suscitare effetti benefici sull’umore e non solo. Una candela può aiutare a rilassarsi, allentare la tensione alla sera, ma anche a rigenerarsi al mattino, a seconda delle specifiche proprietà degli oli essenziali in essa contenuti. È una piacevole compagna di quelle coccole che ognuno di noi dovrebbe concedersi giornalmente in segno di benevolenza e rispetto nei confronti della propria persona, anche per il solo fatto di essere viva.