Quest’articolo è dedicato ad un’esperienza vissuta in studio con una persona che seguo da diversi anni e voglio raccontarla perché credo possa aiutarti in qualche modo.

Era una mattina di inizio estate, un lunedì, fisicamente scarsa di energia dal periodo ricco di impegni lavorativi e universitari, mi presi il mio caffè delle 6 con l’intento di ricaricarmi il più possibile per sostenere una giornata in studio.

Come al solito mi recai in ambulatorio per iniziare la giornata di lavoro: in agenda notai la stessa persona che ama raccontarmi le sue vicissitudini, come fosse un appuntamento fisso mensile, una sorta di diario parlante.

Accesi lampada di sale, vaporizzai l’aria con incenso di lavanda e lei entrò dalla porta. Faceva caldo.

Venni inondata da un’energia potente, sottile, alta come il volo di un’aquila: bellissima lei come sempre, molto semplice come outfit, pantalone morbido svolazzante, sandalo estivo con i lacci pronti per essere tolti senza tante fatica e t-shirt, quelle che tanto mi piacciono, dal sapore francese, con la manica svolazzante. Era svolazzante.

Svolazzò sul lettino senza fare tante storie: “Hai qualcosa da raccontarmi vedo? Su cosa lavoriamo oggi?”.

E iniziò a raccontarmi di quanto si sentisse leggera: aveva fatto un bel lavoro, scardinato vecchie credenze disfunzionali non sue, messo al proprio posto tutte le persone che la circondavano limitando le entrate nel suo territorio e tagliato quei legami che tenevano la sua zampa legata.

Aveva imparato a dire un “no” sano, senza rabbia e senza paura, ma un no consapevole, un no che non ha bisogno di insegnare qualcosa a qualcuno, tanto meno voler cambiare qualcuno. Uno di quei no detti, vissuti, interiorizzati per dare un sì a sé stessa, un no pacifico, un no visto egoistico dall’esterno, ma che importa, un no dove si dice: “No, non voglio, non fa per me”, non un: “No non posso, mi dispiace, scusa, perdona ma sai io…”. Un no sano perché sai che quella cosa o quella persona non fanno per te, perché sei entrata/o in contatto così intimo con te stessa/o da capire che non è quello che desideri per te.

E dalla reazione isterica degli altri, capì che è cosa loro, un problema loro, di come si rapportano a quella situazione secondo le loro credenze e nel suo campo quell’energia non serve perché non è sua.

Riuscì in quel momento ad annusare l’essenza al limone, che rappresenta la gioia cosa che in passato non sopportava, un odore così forte perché spiritualmente non aveva fatto quel passaggio e non poteva essere pronta per comprendere, accogliere e accettare un’emozione tanto forte. Non è scontato.

E un tratto di catena cominciò a spezzarsi.

Passò poi ad un’altra tematica. Comprese come dare una funzione per ogni membro della sua famiglia: le insegnai ad immaginare di vedersi dall’alto e visualizzare chi stava accanto a sé, di fronte, di lato, in primo o secondo piano. E del cerchio ve ne riparlerò.

Il sole cominciava a scaldare la stanza: abbassai le tendine e tornai ai suoi racconti. Mi rilassavo.

Mi raccontò di aver visualizzato diverse persone e dato un ruolo a tutte loro: ciò le permise di vederle in maniera oggettiva osservandole da fuori con le loro debolezze e potenzialità. Staccò quel filo conduttore che dalla pancia e dal cuore non le permetteva di agire secondo il suo sentire. Riuscì infatti a trasformare i disturbi colici intestinali lasciandoli dissolvere fino ai piedi quando, in passato, permetteva agli altri di entrare nel suo campo energetico senza proteggersi. Un successone. Si era persino asciugata.

Osservare senza giudizi tutte le persone della sua famiglia, cosa tanto efficace tanto difficoltosa all’inizio: sviluppò un certo grado di compassione e comprensione, il che non significa accettare passivamente ogni loro manipolazione, accusa, richiesta, ma poter comprendere la debolezza dietro i loro comportamenti e lasciando a loro il compito di sbrigarsela.

Capì infatti che non era di certo lei la persona che doveva occuparsi di risanare le ferite degli altri e che le richieste di attenzione si mascheravano sotto varie forme.

Per quanto si faccia non si è mai abbastanza per l’altro. È quantomeno impossibile ed improbabile avere la stessa lente di lettura per soddisfare i bisogni degli altri. Fanno parte di loro, non sono nostri!

E così ciò che viene rimproverato, le nostre mancanze, ripiegando su sensi di colpa per farci cambiare idea, è loro, stanno parlando allo specchio.

Le persone con un Sé esterno si comportano così: guardano al di fuori del Sé, dando la colpa agli altri del loro mal-stare, non girano la telecamera verso se stessi, fa male, oppure si è troppo rigidi “sono fatto/a così”, “si fa così”, è logico “così”. Danno agli altri la colpa, gli altri sbagliano, il mondo fa schifo, è tutto sbagliato. Di chi è la responsabilità della propria felicità?

Osservare dall’alto facendo fino di essere un’aquila, regina dei cieli, che osserva senza giudizio e valuta la prossima mossa, se andare oltre, se scendere in picchiata: lei ora si stava trasformando mantenendo sempre vivida l’anima felina.

L’aquila è un animale sacro nelle culture sciamaniche, radiosa, indipendente, sa ciò cosa è meglio per sé, guida sé stessa e il suo viaggio e non ha bisogno: è l’equivalente terreno del leone, è detta “uccello di fuoco” perché può sfidare il sole senza perdere la vista quando lo osserva.

Poiché si libera nel cielo riesce ad avere la visione distaccata e spirituale degli accadimenti umani poiché non ne viene influenzata, l’aquila può vedere anche l’ombra che si nasconde negli avvenimenti senza la quale non si può apprendere nulla in questa vita giacché senza il male non potrebbe esistere il bene e viceversa.

Capito questo si staccò un altro pezzo di catena.

La miscela di fiori aveva funzionato bene, con un ghigno interno soddisfatto vidi la sua trasformazione, da gatto zoppicante, semi libero ad aquila reale.