Il genere umano, pur essendo onnivoro, è condizionato nelle sue scelte alimentari da numerosi fattori di tipo ambientale, storico, culturale, psicologico e spirituale. In tradizioni diverse dalla nostra, ad esempio, molti animali sono più apprezzati in cucina, nella preparazione di prelibate e costose pietanze, che come compagni di vita. Per noi occidentali risulta gradito consumare lumache, rane e cervello di manzo e di vitello ma siamo decisamente restii a mangiare insetti, rettili e cervelli di primati, considerati una ghiottoneria da alcuni popoli asiatici. I vegetali, al contrario, sono diffusamente apprezzati e il loro consumo alimentare riscuote unanime consenso. Per la civiltà umana le piante, attraverso i semi, i frutti, le foglie e le radici, hanno rappresentato la prima e la più importante fonte di cibo.

Si stima che i popoli antichi potessero fare affidamento su più di 1500 specie di piante selvatiche, mentre oggi la sopravvivenza di gran parte della popolazione mondiale è legata a un numero ridotto di vegetali, tra i quali primeggiano grano, riso, orzo, mais, miglio e patata. Le attività agricole industrializzate hanno un impatto enorme sull'ambiente naturale, per cui modelli alternativi di coltivazione fondati sui principi dell'etica della sostenibilità, possono garantire forme di sfruttamento eco-compatibili e maggiore sicurezza per la salute dei lavoratori e dei consumatori. Il ritorno ai saperi e ai sapori tradizionali e all'apprezzamento delle risorse naturali locali e delle potenzialità umane e culturali ad esse legate, rappresenta una scelta di fondamentale importanza, uno stimolo per le generazioni future a impegnarsi nella costruzione di un mondo più equo e sostenibile. Le erbe spontanee utilizzate in alimentazione sono un patrimonio ereditato dalle generazioni passate, una grande ricchezza biologica e culturale che merita di essere valorizzata a vantaggio di tutti.

Dalla memoria rivivono immagini di donne che lentamente si muovono tra prati incolti, lungo filari e le strade di campagna, intente a raccogliere le herbe bone o erbe di campo. Durante la celebrazione della festa di San Giovanni ancora si raccolgono numerose piante, tra cui le foglie di noce con cui preparare un liquore (nocino) dalle proprietà stomachiche e digestive, e l'Iperico (Hypericum perforatum), dalla cui macerazione in olio di oliva si ricava un rimedio contro le piaghe e le scottature; la stessa erba trovava impiego come “cacciadiavoli”, bruciata sull'uscio delle case per allontanare ogni forma di negatività.

La “gente di campagna” è affascinata dai “fatti della vita”, s’immerge nella Natura, si lascia trasportare dall’unicità di un evento e rincorre il legame che unisce il mondo delle cose a quello degli gli esseri viventi. Le somiglianze su base antropomorfica (o zoomorfica) sono una fonte di ispirazione diretta e immediata, come ad esempio l'antica teoria delle “segnature delle cose” (signatura rerum): una sorta di filosofia della Natura in base alla quale tutto risulta governato da una grande armonia, da una speciale empatia che unisce le forme e le “qualità interne” della realtà materiale (minerali, metalli, piante e animali) agli esseri umani.

Applicata al mondo vegetale, questa visone individua nell'aspetto esterno delle piante (forme, colori, consistenze, ecc.) delle precise corrispondenze con la morfologia degli organi e apparati del corpo umano; allora gli stessi vegetali si trasformano in materia prima da cui ricavare indicazioni e specifici rimedi terapeutici. Ad esempio, il gheriglio della noce era associato al cervello e utilizzato come rimedio per alcune patologie legate a quest'organo. L'Epatica (Hepatica nobilis), per la sua particolare conformazione rappresentava un ottimo rimedio per il fegato, mentre le foglie della Polmonaria, tipicamente chiazzate di bianco, erano impiegate per curare le malattie polmonari. Vegetali colorati di rosso erano considerati utili per le malattie del sangue (Sanguisorba, Poligono, Melograno, ecc.) mentre quelli con i fiori gialli (Tarassaco, Celidonia, Gentiana, Crespigno, Aspraggine, Agrimonia, ecc.) erano impiegati per curare l'itterizia.

Oggi si parla molto dell'importanza di un'alimentazione varia ed equilibrata, caratterizzata da un giusto apporto di fibre, e principi nutritivi. Si discute anche sul ruolo che la dieta mediterranea svolge nella prevenzione di numerose malattie degenerative, quali aterosclerosi, ipertensione, obesità, diabete, cancro, patologie cardiovascolari metaboliche. Da queste considerazioni emerge la consapevolezza che il confine tra cibo e salute è molto sottile e merita una particolare attenzione. Ciò dovrebbe far riflettere sull’importanza di una sana alimentazione incentrata, soprattutto, sulla qualità e varietà dei cibi vegetali presenti sulle nostre tavole.

In questa ottica, le piante selvatiche costituiscono una grande risorsa nutrizionale, medicinale e culturale. Infatti oltre ad essere gustose e facili da cucinare, sono una preziosa fonte di fibre, enzimi, vitamine, polifenoli, flavonoidi, carotenoiodi, acidi grassi della classe omega-3, oligoelementi e principi attivi dotati di specifiche proprietà medicinali. Molte erbe e frutti spontanei contengono sostanze amare che aiutano i processi digestivi e sostanze antiossidanti capaci di contrastare la degenerazione cellulare. Alcune di esse, come il Timo (Thymus sp.), Origano (Origanum vulgare), Santoreggia (Satureja montana), Menta (Mentha sp.), Mentuccia (Calamintha nepeta), Finocchio (Foeniculum vulgare), ecc., presentano proprietà stomachiche e digestive (i loro principi attivi stimolano la produzione della saliva e dei succhi gastrici, e l’attività epatica e intestinale). Altre, come il Tarassaco (Taraxacum officinale), la Bardana (Arctium lappa), il Cardo mariano (Silybum marianum), il Carciofo (Cynaria cardunculus), il Rosmarino (Rosmarinus officinalis), l’Ortica (Urtica dioica) si contraddistinguono per le loro virtù disintossicanti, depurative, toniche e rigeneranti.

Molte erbe di campo contengono principi amari che svolgono un'azione aperitiva (scialagoga), digestiva e stimolante della cistifellea, favorendo la produzione (azione colagoga) e il deflusso della bile (azione coleretica). La Melissa (Melissa officinalis) è apprezzata per risolvere problemi digestivi di origine nervosa e per combattere il gonfiore e i dolori addominali (spasmi della muscolatura liscia). Senza dimenticare le piante e i frutti selvatici ricchi di sostanze antiossidanti, capaci di contrastare gli effetti negativi dei radicali liberi. Quest'ultimi composti sono responsabili di alterare in maniera irreversibile le normali funzioni vitali della cellula, incrementando il rischio di danni al Dna, con conseguente insorgenza di tumori e malattie cronico-degenerative. Tra le specie spontanee contenenti sostanze ad azione antiossidante meritano una particolare attenzione le seguenti: Aglio (Allium sp.), Erba agliaria (Alliaria petiolata) Pimpinella (Sanguisorba minor), Finocchio selvatico (Foeniculum vulgare), Cicoria (Cichorium intybus), Radicchiella (Crepis vesicaria), Lattughino (Reichardia picroides), Aspraggine (Picris hieracioidies), Lattugaccio (Urospermum dalechampii), Crespigno (Sonchus oleraceus), Tarassaco (Taraxacum officinale), Rosa selvatica (Rosa sp.), Prugnolo (Prunus spinosa), Corniolo (Cornus mas), Olivello spinoso (Hippophae fluviatilis), Mirtillo (Vaccinum sp.), Ribes, ecc.

Inoltre un’alimentazione ricca di specie vegetali selvatiche, come la Malva (Malva sylvestris), la Boraggine (Borago officinalis), la Piantaggine (Plantago sp.) e il Lino (Linum sp.), ricche di fibre e mucillagini, favorisce la funzionalità, l’assorbimento e il transito intestinale. Anche alcune piante notoriamente velenose vantano un uso culinario consolidato nel tempo: i giovani getti di Brionia o Zucca matta (Bryonia dioica), del Tamaro (Tamus communis) e della famosa Vitalba (Clematis vitalba), vengono consumati senza riserva alcuna. L’impiego di parti vegetali tossiche vanta una solida tradizione popolare, infatti, pur nella totale ignoranza di nozioni botaniche e dei processi biochimici legati al fenomeno della termolabilità, le nostre nonne hanno sempre saputo che i germogli di alcune piante velenose sono commestibili (contengono percentuali ridotte di principi attivi tossici), a patto di sottoporli a una preventiva e adeguata cottura (il calore disattiva gran parte della tossicità).

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