Il terrore ancestrale radicato nell'inconscio di ogni uomo che, anche se fugato nell'epoca moderna dall’idea di poter controllare in un modo o nell’altro la natura selvaggia, riemerge ogni qualvolta ci troviamo immersi in essa, è quello di essere inseguiti e aggrediti da una belva feroce.

Ebbene ci fu un tempo in Europa in cui quell'incubo si materializzò nella Francia centromeridionale, tra il 1764 e il 1768, nella regione allora chiamata Gevaudan, proprio sotto i lumi di quel secolo che di lì a breve avrebbe ritenuto di spazzare via la superstizione e l'ingiustizia dal mondo. A quel tempo un essere misterioso di un’astuzia e una ferocia inaudite uccise, dilaniandole vive, almeno quattrocento persone, in prevalenza donne e bambini, e ne ferì gravemente almeno duecento prima di essere presumibilmente abbattuta.

Così è scritto nell’archivio di Montpellier: Une douloureuse nouvelle s’ètait rèpandue sur les confins de Gévaudan et de Vivarais: on racontait que le 3 juillet 1764 ai village des Habates une jeune fille de 14 ans venait d’ètre soudainemenet dévorée. Come raccontano le cronache, la Bestia- così venne chiamata tra la gente- si fece beffe di un esercito di cacciatori scelti, di manipoli di Dragoni Reali armati di tutto punto e di decine di migliaia di volontari reclutati tra i contadini della regione. Il Re in persona, Luigi XV, irritato dal dileggio che la Francia subiva dall’Europa intera per essere tenuta in scacco con tutta la sua grandeur da un insignificante lupo un po' troppo cresciuto, aveva offerto un’altissima taglia a chi fosse riuscito ad abbatterlo. Un evento così eccezionale, accaduto in un’epoca relativamente recente e quindi circostanziato da una ricca documentazione custodita negli archivi dei comuni e delle parrocchie della regione, oltre a fiumi di sangue fece versare fiumi d’inchiostro negli anni a venire.

Partendo dalle reminiscenze di uno strano monaco vagabondo, la storia lascia ipotizzare oggi, in un presente intriso di fanatismo e di odi religiosi, un suo autonomo spazio di possibilità. Infatti tra le molteplici ipotesi che seguirono, a quegli accadimenti non fu mai trovata una spiegazione e un autore convincenti: a colpire era stata una bestia, un uomo o piuttosto forse una sorta di demone? Infatti, senza voler minare la suspence che merita un vero noir, si può notare come il cieco fanatismo che si manifesta in alcuni dei protagonisti del nuovo romanzo, unito a un nichilismo sottilmente presente, riportino alla mente sia lo Stavrogin di dostoevskjiana memoria che le atmosfere neopagane di alcuni romanzi di Steinbeck. La natura infatti, pur se celebrata in pagine di appassionato lirismo non riesce però a mitigare il disagio e l'orrore che suscita l'intera vicenda anzi, sembra sottolinearne ancor più l’irragionevole distruttiva follia.

E’ così che nelle prime righe si fa largo, nel mondo del lettore, il protagonista Stefan: Quell’uomo che avanzava un po’ curvo sotto la pioggia barcollò a un tratto per una folata di vento più forte, ma non cessò di avanzare con la determinazione di un misterioso automa sonnambulo (…). C’era nella sua persona qualcosa di estremo, di assoluto: una malattia dell’anima, un miraggio del piacere o, forse, dell’amore, in una parola, il sentimento della vita, calato, nella precarietà dell’esistenza. In questo suo essere stava tutta la sua vulnerabilità e insieme la sua forza.

Per maggiori informazioni:
Morte nei Boschi, Ed. Mursia, 2011, scritto con Giorgio Celli