A mezzanotte e un quarto del 24 gennaio del 1894, a Venezia, Constance Fenimore Woolson si getta a capofitto giù dalla finestra della sua camera, dal terzo piano dell’antico Palazzo Orio Semitecolo affacciato sul Canal Grande a pochi passi dall’Accademia e dalla Chiesa della Salute.

La sua fama in Italia non era sicuramente al pari di molti scrittori del suo tempo di provenienza anglosassone, benché facesse parte degnamente di questa compagine, tant’è che successivamente fu annoverata tra le autrici ottocentesche più prolifiche e stimate dalla critica letteraria. Una recente mostra tenutasi a Venezia alla Biblioteca Nazionale Marciana mi dà l’occasione per apprezzare finalmente una retrospettiva sulla vita e sulle opere della scrittrice e il titolo molto opportunamente leva la necessità e il dovere della città di concederle un tributo: Sorprese e inediti: da Byron a Constance Fenimore Woolson. La donazione Clare Rathbone Benedict alla Biblioteca Marciana. [1]

Rimane un mistero la fine del suo breve ciclo terreno, nonostante gli interrogativi e le riflessioni di biografi e critici letterari su un suicidio che rimase tra le righe di un cronista veneziano: “SUICIDIO. Una letterata americana da sette mesi abitante a Venezia, certa signora Woolson, …”. Henry James, suo amico intimo e insostituibile, lo definì mirabilmente “atto di follia certa” e la sua affezione verso la scrittrice fu sentimento così irrisolto e anomalo che non tollerò di assistere alle sue esequie.

Come afferma lo scrittore Marco Tornar, raro studioso italiano delle sue opere, in Visioni veneziane, la “Woolson ha affidato la sua anima pionieristica al paesaggio attorno a Venezia, ha spinto le sue parole oltre la foschia con un coraggio che nessun altro autore ha mai avuto”. Proprio su questi paesaggi, resi eterni dai più grandi scrittori di ogni tempo, Woolson si sofferma sulla natura e la solitudine di un luogo: la laguna. Per merito di due donne, Clara Woolson Benedict (1843) e Clare Benedict (1868-1961) sorella e nipote di Connie, così la chiamavano, buona parte delle “cose” rimaste di proprietà della scrittrice furono preservate, contrariamente all’intenzione di Henry James, con cui le eredi si trattennero a Venezia ben cinque settimane per occuparsi dell’incredibile massa di manoscritti, testi e libri che manteneva con sé nelle ultime abitazioni veneziane.

Le descrizioni che Constance Fenimore Woolson fa di Venezia e del suo paesaggio lasciano trapelare l’animo trepidante di una mente raffinata, sollecitata fin dall’infanzia dalle profondità degli spazi aperti, le immense praterie, le isole, i Grandi Laghi e “particolarmente in mezzo allo scenario splendido di Mackinaw , nelle strade tra Michigan e Huron” [2] (James H. 1888). Constance nasce nel New Hampshire, nipote del grande scrittore James Fenimore Cooper (1789-1851), autore de L’ultimo dei Moicani (1826), e ben presto la sua vita sarà immolata alla scrittura e al viaggio che da Cleveland, New York fino al Sud, Florida, Carolina e Virginia, - insieme alla madre precocemente vedova - diventerà per lei opportunità di ambientare racconti, articoli, lettere, sketch e romanzi.

La perdita della madre e il desiderio di Europa e Mediterraneo la conduce dal 1879 a un costante girovagare prima con la sorella Clara e la nipote Clare poi anche da sola. Francia, Inghilterra, Italia, Svizzera, Mar Mediterraneo, Corfù, Cairo e Gerusalemme per approdare poi definitivamente a Venezia dopo puntate a Firenze e Roma. Nei pochi racconti pubblicati in Italia, Via del Giacinto (Sellerio, 2002) ambientato a Roma, Per il maggiore (Sellerio, 2005), Il giardino davanti casa, (Sellerio, 2007), Vigilia di Natale (Sellerio, 2009), emerge il suo stile forte, per niente in sintonia con quello delle scrittrici del suo tempo, spesso “dolce e grazioso”.

La tenacia, la ricchezza di personalità inusuali e caratterizzate, nella scelta dei suoi personaggi, trovano spunto dal suo profilo biografico, dalle rinunce e dai conflitti interiori, le grandi perdite e delusioni affettive. Quale luogo più adeguato di Venezia per una giovane donna - per l’epoca già anziana, avendo poco meno di quarant’anni - “appassionata di irreparabili fallimenti personali, di gente che ha dovuto perfino rinunciare alla memoria della felicità. […] Lei è interessata in generale alle storie segrete, alla “vita interiore” dei malati, dei superflui, dei delusi, degli orbati, dei non sposati. Lei crede nella rinuncia personale, nella sua frequenza come pure nella sua bellezza” (James H. 1888).

Woolson allo stesso modo con cui ha propensione a dar voce agli afflitti, i minori, i traditi, così rende vita a giustizia ai luoghi minori veneziani, a quei paesaggi meno consumati dalle penne dei Browing, James, Ruskin e Byron. La laguna scintilla sotto barche vuote o piene di frutta, condotte da uomini a piedi nudi… “Bassa marea e uomini a gambe nude in cerca di cose nelle alghe marine e isole.” ”Reti da pesca stese ad asciugarsi, disposte a festoni tra gli alberi di due navi da pesca come lavori di merletto.” Atmosfere lagunari ed effetti del cielo autunnale: “3 settembre alle 6 di sera. Caldo, quieto, niente affatto ardente, autunnale. L’acqua di colore di perla e colomba. La linea splendida dei Colli Euganei come velluto blu scuro. Il sole viene fuori da sotto le nuvole dietro San Giorgio in Alga, illuminata di profilo coi suoi alberi e prati. Il sole nei raggi. La barca da pesca. Le due palafitte d’inchiostro nero.”

Spirito pionieristico quello di Woolson quando come nessun altro si mette alla scoperta di tutte le più piccole e sconosciute, dimenticate isole della laguna. Molte sono scomparse, altre disabitate, altre sono lembi di terra che nessuna guida del tempo né di oggi menziona. Le chiama Lista di isole della Laguna ora scomparse. La nipote Clare Benedict, che in seguito farà un lascito alla Biblioteca Marciana di oggetti appartenuti alla zia (tra cui 75 libri di o su Byron) e sue lettere inedite, annota nel 1930: “Questa lista è stata fatta da mia zia per un'altra residente a Venezia, Mrs. Katherine Bronson. E’ attentamente compilata su antiche testimonianze, e in alcuni casi anche rispetto alle antiche vestigia di quel che ancora rimane in situ.”

E sono Barbania, San Pietro (di Olio ?), Falconera, Belforte, Baseggia, Olivaria, Costanziaga, Castrasia. E poi le altre isole come Murano: “Mi addentrai sulla sponda nord-occidentale e vidi la Laguna in quella direzione con la terraferma e un alto campanile stretto; tre piccole isolette; i campanili di Mazzorbo e Burano e la torre di Torcello. Le splendide montagne interamente bianche di neve, ora di nuovo provocatoriamente mezze visibili - due masse splendide del tutto distinte e superbe; il resto della catena poteva esser tracciato nella foschia.” E a Campalta “ Il mio argine domina la Laguna – presumo la Laguna morta, dove non arriva la marea. Questa strana terra d’acqua, con molti canali, e prati umidi coperti da erba marrone. […] Sulla via di casa, venne una fitta nebbia bianca. Poiché non era fredda, mi piacque, e quasi sperai che i gondolieri perdessero la strada, siccome era crepuscolo. Penso che giungessero quasi a questo una volta. Ma subito trovarono di nuovo i pali, e noi avanzammo furtivi vicino a essi, sentendo la nostra strada sulla Laguna dall’uno al successivo! Entrammo a Venezia dalla Casa degli Spiriti – una villa adatta per tali sere spettrali.”

Leggendo Constance Woolson ebbi la sensazione che poteva essere annoverata in una antologia come quella intitolata Americana Verde pubblicata nel 2009 in memoria della più nota di Elio Vittorini (1908-1966) Americana (Bompiani, 1940), ove sono riproposti alcuni autori che attraverso la letteratura hanno intercettato tematiche universali e centrali per l’uomo, che trascendono la fugacità delle epoche storiche. Tra questi Hawthorne (1804-1964), Melville (1819-1891), Twain (1835-1910) e James (1843-1916). In quegli autori cioè in cui “si coglie lo stretto legame della letteratura americana con la terra, che spesso si trasforma in personaggio in grado di nascondere la tradizionale prepotenza dei personaggi umani.”

Le visoni veneziane di Constance Woolson rimangono ancora oggi nel misterioso specchio della laguna che accolse molte delle sue suppellettili secondo le sue ultime volontà. Toccò proprio al più intimo amico Henry James – che amò così profondamente – questo straziante compito, un estremo tributo, forse un contrappasso per non essere stato presente in troppi momenti della sua disperata solitudine. Quel macabro compito lo portò negli anditi più reconditi della laguna con un gondoliere insieme a cose e abiti di lei, neri per lo più; questi appena li gettava risalivano a formare palloni tutti intorno a lui come orribili esseri animati. Fuggì così da Venezia come “Apollo che fugge dalle Furie”, aveva perso una grande amica. “Conoscevo Miss Woolson da molti anni e le ero molto affezionato – era la più dolce e tenera delle donne, e piena di intelligenza e condivisione.”

Tornando a Palazzo Orio Semitecolo ho scorto quella calle dove al numero 187 un elegante portale con un elegante grata nera nasconde il palazzo che Constance ha abitato e amato. “…Un balcone e un caminetto sono le due cose che si cercano a Venezia. I balconi abbondano ma i caminetti...! Tutta questa sofferenza… in qualche […] il dolore era diabolico! Finalmente grazie al cielo, è finito. Nel mezzo delle mie stesse [molto più lievi ] sofferenze, il mio cuore…” (Frammento 3, C. Woolson).

Note:
[1] Catalogo della mostra a cura di Campana C., Dowling G., Mamoli Zorzi R., Supernova, 2014, Venezia. [2] James H. 1888 – Partial portraits. Raccolta di saggi su autori anglosassoni tra cui quello su Woolson tradotto da Tornar in Visioni veneziane, 2013, Tabula Fati, Chieti.